Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro I/Capitolo IV: differenze tra le versioni

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{{smaller|''Esame del secondo libro delle Memorie geografiche di Eratostene - I.° Sulla larghezza della Terra abitata - II.° Sulla sua lunghezza - III.° Sulla sua divisione in tre continenti - IV.° Sulla divisione morale de’ suoi abitanti.''}}
 
Nel secondo libro Eratostene tenta di rettificare la geografia, e manifesta le opinioni sue proprie; intorno alle quali noi pure dobbiamo fare sperienza di recar in mezzo una qualche rettificazione, se ve n’ha mestieri. In quanto dunque al porre per fondamento principj matematici e fisici, Eratostene ragiona dirittamente; così parimenti ove dice che se la terra è sferica come il mondo (cioè come l’Universo), debb’essere tutta ugualmente abitabile nella sua circonferenza; ed altre cose consimili. Ma che la terra poi sia così grande com’egli afferma nol consentono quelli che vennero dopo di lui, nè approvano la misura ch’egli ne dà. Nondimeno Ipparco si valse di quelle distanze a indicare i fenomeni de’ varii luoghi, dicendo che qualora si piglino sul meridiano di Meroe, d’Alessandria e del Boristene esse allontanansi poco dal vero.
Nel secondo libro
 
Più a lungo poi parla Eratostene della figura della terra; ma nel dimostrare che la terra insieme colle acque è sferica, e così anche il cielo, pare cha vada alcun poco vagando; mentre in ciò bastavano poche parole.
 
Appresso determinando la larghezza della terra abitata, dice che misurandola sul meridiano di Meroe, da questa città ad Alessandria v’hanno dieci mila stadj; da Alessandria all’Ellesponto circa ottomila e cento: di quivi poi fino al Boristene cinquemila: poscia fino al parallelo di Tule (che Pitea fa distante dalla Britannia quanto si naviga in sei giorni verso il nord, e vicino al mare agghiacciato) altri undicimila e cinquecento. Qualora dunque si aggiungano tre mila e quattrocento altri stadj al di là di Meroe per arrivare all’isola degli Egizii, al Cinnamoforo<ref>Cioè: Al paese in cui cresce la cannella.</ref> ed a Taprobana, si avranno trentotto mila stadj.
 
Ora gli siano concedute le altre distanze, intorno alle quali tutti vanno abbastanza d’accordo; ma chi mai che abbia senno gli consentirà rispetto a quella dal Boristene al parallelo di Tule? Perocchè Pitea il quale ne parla è tenuto in conto d’uom mendacissimo; e coloro che videro la Britannia e l’Ierna<ref>L’''Ierna'' è l’''Irlanda'' - La ''Celtica'' nominata subito dopo è la ''Gallia'' o ''Francia''.</ref> non dicono cosa alcuna di Tule, comunque parlino di altre piccole isole di colà intorno. La Britannia poi nella lunghezza è presso a poco uguale alla Celtica rimpetto a cui si distende, ma non ha più di cinquemila stadj, ed è commisurata al paese che le sta di fronte: perocchè si corrispondono entrambe nelle estremità; le orientali colle orientali; e quelle all’occidente fra loro: e le orientali sono vicine quanto si stende la vista, e sono Canzio da un lato e le bocche del Reno dall’altro. Ma Pitea afferma la lunghezza dell’isola essere più che ventimila stadj, e dice che Canzio è distante dalla Celtica la navigazione di parecchi giorni. Ed anche intorno agli Ostici ed ai luoghi al di là del Reno infino agli Sciti, egli disse il falso. Ora colui che asserì tante falsità parlando di luoghi conosciuti, difficilmente potrebbe dire il vero intorno a quelli che sono da tutti ignorati.
 
Che il parallelo del Boristene sia quel medesimo che attraversa Bisanzio lo hanno congetturato Ipparco ed anche alcuni altri dall’avere osservato che il parallelo di Bizanzio e quel di Marsiglia è uno stesso: perocchè Ipparco dice trovarsi in Bizanzio sotto uguali condizioni di tempo la stessa relazione fra il gnomone e l’ombra che Pitea aveva osservata in Marsiglia. Ora da questa città fino al mezzo della Britannia non v’ha più di cinque mila stadii: e dal mezzo della Britannia procedendo per lo spazio di non più che quattro mila stadii, si troverebbe un paese appena abitabile, quale sarebbe quello di Ierna; sicchè i luoghi ancora al di là, tra i quali pone anche Tule, non si potrebbero abitare. Per quale congettura pertanto egli potesse dire che dal parallelo di Tule a quello del Boristene v’hanno undici mila e cinquecento stadii, nol veggo.
 
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