Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/8: differenze tra le versioni

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delle particelle congiuntive, o separative. A dir la verità, se io mi fossi provato a metter la falce nel campo germanico, avrei potuto far tale una mèsse di questioni catulliane, di citazioni, di lezioni, di cifre, di abbreviature, di numeri arabici e romani, e di altri simili fiori, da inzeppare più d’un volume, meritarmi l’ammirazione dei più, che sogliono levare a cielo e guardare con religioso stupore tutte quelle cose, che non son buoni a comprendere. Ma siccome io non credo aver tanto di attitudine e di forze da mettermi a codesta fatica sublime, fatto prima di cappello a tutti quei bravi Tedeschi, i quali han così bene notomizzato il corpo del povero {{Ac|Gaio Valerio Catullo|Catullo}}, mi son con­tentato d’un lavoro assai più modesto: ho interro­gato più il mio poeta, che i suoi cento interpreti e chiosatori; più l’umana natura che i libri; ho studiati i suoi tempi, i suoi costumi, i suoi amori, l’anima sua, la sua vita, e mi son data ragione dei suoi carmi, dei suoi versi, delle sue parole: i critici hanno spezzettata la statua, ed io mi sono studiato a rimetterla in piedi.
li epiteti e delle particelle congiuntive, o separative.


Intenda, o faccia altri la critica in diverso modo, alla guisa dei Tedeschi, o dei Turchi, io non voglio sapere; a me pare, che le opere d’arte, che sono figlie del sentimento, non s’abbiano a studiare e spiegare che col sentimento; che lo studio dei nomi, delle date, delle parole per medesime, sia un lavoro che prepara la critica, non la critica stessa; la scorza e le foglie, non l’albero.
A dir la verità, se io mi fossi provato a metter la falce nel campo germanico, avrei potuto far tale una mèsse di questioni catulliane, di citazioni, di lezioni, di cifre, di abbreviature, di numeri arabici e romani, e di altri simili fiori, da inzeppare più d’un volume, meritarmi l’ ammirazione dei più, che sogliono levare a cielo e guardare con religioso stupore tutte quelle cose, che non son buoni a comprendere.


Con questo intendimento io ho dovuto, o far brevissimo cenno, o passarmi affatto di certe questioni,
Ma siccome io non credo aver tanto di attitudine e di forze da mettermi a codesta fatica sublime, fatto prima di cappello a tutti quei bravi Tedeschi, i quali han così bene notomizzato il corpo del povero {{Ac|Gaio Valerio Catullo|Catullo}}, mi son con­tentato d’un lavoro assai più modesto: ho interro­gato più il mio poeta, che i suoi cento interpreti e chiosatori; più l’umana natura che i libri; ho studiati i suoi tempi, i suoi costumi, i suoi amori, l’anima sua, la sua vita, e mi son data ragione dei suoi carmi, dei suoi versi, delle sue parole: i critici hanno spezzettata la statua, ed io mi sono studiato a rimetterla in piedi.

Intenda, o faccia altri la critica in diverso modo, alla guisa dei Tedeschi, o dei Turchi, io non voglio sapere; a me pare, che le opere d’arte, che sono figlie del sentimento, non s’abbiano a studiare e spiegare che col sentimento; che lo studio dei nomi, delle date, delle parole per medesime, sia un lavoro che prepara la critica, non la critica stessa; la scorza e le foglie, non l’albero.

Con questo intendimento io ho dovuto, o far brevissimo cenno, o passarmi affatto di certe questioni,