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NOVELLA I
latine e volgari ornata, che a la vostra divina bellezza maggior grazia accrescono, io nondimeno me ne tengo sempre da pi, co noscendo lacutezza del vostro ingegno, la erudizione, la dottrina e tante altre vostre singolari ed eccellentissime doti. Ogni eli facil cosa a veder la profonda conoscenza che in voi de le buone lettere, essendovi di continovo, ora portati versi latini ed ora vol gari, i quali subito voi, con una volta d’occhio leggendo, il senso loro penetrate di modo che par che altro non facciate che attender agli studi. Pi e pi volte vho io veduta disputando venir a le mani col nostro eruditissimo messer Girolamo Cittadino, che in casa con onorato salario appo voi tenete, se talora occorreva passo alcuno recondito ne la lezione o di poeti o distorici, e cosi dottamente lopenion vostra con vere ragioni dichiaravate, che era stupore e miracolo a sentirvi. Ma che dir io del giudi cioso vostro giudicio, intiero, oculato e saldo e non pieghevole in qual banda si voglia gi mai, se non quanto la ragione del vero il tira? Meravigliosa cosa certo quanto profondamente e con sottigliezza grandissima talora certi passi degli scrittori cribriate, ventiliate e a parola per parola e senso per senso andiate di ma niera interpretando, che ogni persona che vi sente ne rendete ca pace. Questo mi fa veggendo che, quando un poema od altra scrittura avete in mano, scegliete il buono ed il meglio che v dentro e fate differenza da stile a stile, lodando ci che merite vole di lode, di modo che Momo il giudicio vostro morder non saperebbe mi fa, dico, credere che, dicendo voi bene de le cose mie, laffezione che mi portate non v’inganni, essendo il giudicio vostro così sincero e da ogni parte dritto e fermo. Ora, chi udita vavesse quel giorno che il dotto dottore e poeta soavissimo mes ser Niccol Amanio venne a farvi riverenza, e che furono letti i dui sonetti, uno de la signora Cecilia Bergamina, contessa di San Giovanni in croce, e l’altro de la signora Camilla Sca rampa, quanto accomodatamente disputaste de lufficio del poeta e de le parti che deve avere chi vuol versi latini o volgari com porre, e quanto acutamente faceste chiari i dubi che proposti vi furono, e con quanta copia di parole pure e proprie, e con quanto bellordine il tutto dichiraste, averebbe egli nel vero
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latine e volgari ornata, che a la vostra divina bellezza maggior
grazia accrescono, io nondimeno me ne tengo sempre da più, co¬
noscendo l’acutezza del vostro ingegno, la erudizione, la dottrina
e tante altre vostre singolari ed eccellentissime doti. Ogni eli facil
cosa è a veder la profonda conoscenza che in voi è de le buone
lettere, essendovi di continovo, ora portati versi latini ed ora vol¬
gari, i quali subito voi, con una volta d'occhio leggendo, il senso
loro penetrate di modo che par che altro non facciate che attender
agli studi. Più e più volte v’ho io veduta disputando venir a le
mani col nostro eruditissimo messer Girolamo Cittadino, che in
casa con onorato salario appo voi tenete, se talora occorreva
passo alcuno recondito ne la lezione o di poeti o d’istorici, e
cosi dottamente l’openion vostra con vere ragioni dichiaravate,
che era stupore e miracolo a sentirvi. Ma che dirò io del giudi¬
cioso vostro giudicio, intiero, oculato e saldo e non pieghevole
in qual banda si voglia già mai, se non quanto la ragione del vero
il tira? Meravigliosa cosa certo è quanto profondamente e con
sottigliezza grandissima talora certi passi degli scrittori cribriate,
ventiliate e a parola per parola e senso per senso andiate di ma¬
niera interpretando, che ogni persona che vi sente ne rendete ca¬
pace. Questo mi fa — veggendo che, quando un poema od altra
scrittura avete in mano, scegliete il buono ed il meglio che v’è
dentro e fate differenza da stile a stile, lodando ciò che merite¬
vole è di lode, di modo che Momo il giudicio vostro morder non
saperebbe — mi fa, dico, credere che, dicendo voi bene de le cose
mie, l’affezione che mi portate non v'inganni, essendo il giudicio
vostro cosi sincero e da ogni parte dritto e fermo. Ora, chi udita
v’avesse quel giorno che il dotto dottore e poeta soavissimo mes¬
ser Niccolò Amanio venne a farvi riverenza, e che furono letti
i dui sonetti, uno de la signora Cecilia Bergamina, contessa di
San Giovanni in croce, e l'altro de la signora Camilla Sca¬
rampa, quanto accomodatamente disputaste de l’ufficio del poeta
e de le parti che deve avere chi vuol versi latini o volgari com¬
porre, e quanto acutamente faceste chiari i dubi che proposti
vi furono, e con quanta copia di parole pure e proprie, e con
quanto bell’ordine il tutto dichiàraste, averebbe egli nel vero