Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/335: differenze tra le versioni
m Bot: template SAL |
m Removing/replacing Template:SAL |
||
Corpo della pagina (da includere): | Corpo della pagina (da includere): | ||
Riga 1: | Riga 1: | ||
mie azioni; prima era un operaio povero affaticato ma intelligente e libero, allora era un coso di legno ben inverniciato ben accarezzato perchè mi curvassi metodicamente e stupidamente a parar innanzi una macchina. Pure volli star saldo per non precipitare un giudizio, certo oggimai che non sarei sceso un passo più giù in quella scala di servilità. |
mie azioni; prima era un operaio povero affaticato ma intelligente e libero, allora era un coso di legno ben inverniciato ben accarezzato perchè mi curvassi metodicamente e stupidamente a parar innanzi una macchina. Pure volli star saldo per non precipitare un giudizio, certo oggimai che non sarei sceso un passo più giù in quella scala di servilità. |
||
Quando arrivò la notizia del mutamento della Repubblica in un Regno d’Italia, presi le poche robe, i pochi scudi che aveva, andai difilato a Milano, e diedi la mia dimissione. Trovai altri quattro o cinque colleghi venuti per l’egual bisogna e ognuno credeva trovarne un centinaio a fare il bel colpo. Ci ringraziarono tanto, ci risero in grugno, e notarono i nostri nomi sopra un libraccio che non era una buona raccomandazione pel futuro. Napoleone capitò a Milano e si pose in capo la Corona Ferrea dicendo: « Dio me l’ha data, guai a chi la tocca! » Io mi assettai povero privato nelle antiche camerucce di Porta Romana dicendo a mia volta: Dio mi ha dato una coscienza, nessuno la comprerà! — Ora i nemici di Napoleone trovarono ardimento e forza bastante a toccare e togliergli del capo quella fatale corona; ma nè la California nè l’Australia scavarono finora oro bastante per pagare la mia coscienza. — In quella circostanza io fui il più veritiero e il più forte. |
Quando arrivò la notizia del mutamento della Repubblica in un Regno d’Italia, presi le poche robe, i pochi scudi che aveva, andai difilato a Milano, e diedi la mia dimissione. Trovai altri quattro o cinque colleghi venuti per l’egual bisogna e ognuno credeva trovarne un centinaio a fare il bel colpo. Ci ringraziarono tanto, ci risero in grugno, e notarono i nostri nomi sopra un libraccio che non era una buona raccomandazione pel futuro. Napoleone capitò a Milano e si pose in capo la Corona Ferrea dicendo: « Dio me l’ha data, guai a chi la tocca! » Io mi assettai povero privato nelle antiche camerucce di Porta Romana dicendo a mia volta: Dio mi ha dato una coscienza, nessuno la comprerà! — Ora i nemici di Napoleone trovarono ardimento e forza bastante a toccare e togliergli del capo quella fatale corona; ma nè la California nè l’Australia scavarono finora oro bastante per pagare la mia coscienza. — In quella circostanza io fui il più veritiero e il più forte. |