Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/14: differenze tra le versioni

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{{ZbPensiero|2811/1}}Alla p. {{ZbLink|2775}}. Il verbo δείδω che oggi si pone come tema, non è certamente altro che reduplicazione di un tema piú semplice, il che è dimostrato sí dalla voce δέος, sí dal verbo δίω presso {{AutoreCitato|Omero|Omero}}, sí dalla voce δεῖσJαι usata piú volte da Plutarco per ''temere''. <ref>Κάρχαρος, χαρχαρέοι, καρχαρίας da χαράσσω per reduplicazione. ὀπιπτεύω da ὀπτεύω. βέβαιος da βαίνω o da βέβαα. Vedi p. {{ZbLink|4109}}.</ref> Anche in latino ''titillo ''é fatto per duplicazione da τίλλω. E altre tali duplicazioni alla greca si trovano pure in latino (come quelle de’ perfetti ''memini, cecidi'' ec)., sieno veramente latine di origine, o greche, o comuni anticamente ad ambe le lingue, ec. ec (23 giugno 1823).
{{ZbPensiero|2811/1}}Alla p. {{ZbLink|2775}}. Il verbo δείδω che oggi si pone come tema, non è certamente che reduplicazione di un tema piú semplice, il che è dimostrato sí dalla voce δέος, sí dal verbo δίω presso {{AutoreCitato|Omero|Omero}}, sí dalla voce δεῖσJαι usata piú volte da Plutarco per ''temere''. <ref>Κάρχαρος, χαρχαρέοι, καρχαρίας da χαράσσω per reduplicazione. ὀπιπτεύω da ὀπτεύω. βέβαιος da βαίνω o da βέβαα. Vedi p. {{ZbLink|4109}}.</ref> Anche in latino ''titillo ''é fatto per duplicazione da τίλλω. E altre tali duplicazioni alla greca si trovano pure in latino (come quelle de’ perfetti ''memini, cecidi'' ec.) sieno veramente latine di origine, o greche, o comuni anticamente ad ambe le lingue, ec. ec. (23 giugno 1823).




{{ZbPensiero|2811/2}} Institutum autem eius (Moeridis in Ἀττικιστῇ) est annotare et inter se conferre voces quibus Attici, et quibus Graeci in aliis dialectis, maxime illa κοινῇ utebantur: interdum notat et κοινὸν vulgi, illudque diversum facit non modo ab Attico sed etiam ἑλληνικ, ut in ἐξίλλειν, εὐφήμει, κάJησο, λέμμα, οιδίπουν, οἶσε, σχέατον. {{Sc|{{AutoreCitato|Johann Albert Fabricius|Fabricius}}}} ''Bibliotheca Graeca'', edit. vet. l. V, c. 38, § 9. num. 157, vol. IX, p. 420 (23 giugno 1823).
{{ZbPensiero|2811/2}} Institutum autem eius (Moeridis in Ἀττικιστῇ) est annotare et inter se conferre voces quibus Attici, et quibus Graeci in aliis dialectis, maxime illa κοινῇ utebantur; interdum notat et κοινὸν vulgi, illudque diversum facit non modo ab Attico sed etiam ἑλληνικ, ut in ἐξίλλειν, εὐφήμει, κάJησο, λέμμα, οιδίπουν, οἶσε, σχέατον. {{Sc|{{AutoreCitato|Johann Albert Fabricius|Fabricius}}}} ''Bibliotheca Graeca'', edit. vet. l. V, c. 38, § 9. num. 157, vol. IX, p. 420 (23 giugno 1823).




{{ZbPensiero|2811/3}} Alla p. {{ZbLink|2776}}. margine. Lo stesso discorso si può fare di βαΰζω, il quale è pur verbo esprimente un suono, e fatto per imitazione di questo suono; il qual suono come è similissimo a quello di βαὑω, cosí non ha niente che fare con βαΰζω. Ma questa e simili interposizioni della lettera ζ <section end="2" /><section begin="3" />{{ZbPagina|2812}} e d’altre tali, sono state fatte o per evitare l’iato o per altre diverse cagioni, nel processo della lingua, quando già non v’era piú bisogno che il vocabolo per essere inteso, esprimesse e rappresentasse collo stesso suo<section end="3" />
{{ZbPensiero|2811/3}} Alla p. {{ZbLink|2776}}, margine. Lo stesso discorso si può fare di βαΰζω, il quale è pur verbo esprimente un suono, e fatto per imitazione di questo suono; il qual suono come è similissimo a quello di βαὑω, cosí non ha niente che fare con βαΰζω. Ma questa e simili interposizioni della lettera ζ <section end="2" /><section begin="3" />{{ZbPagina|2812}} e d’altre tali, sono state fatte o per evitare l’iato o per altre diverse cagioni, nel processo della lingua, quando già non v’era piú bisogno che il vocabolo, per essere inteso, esprimesse e rappresentasse collo stesso suo<section end="3" />