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ordinari, oppure all’uno degli straordinari, succeduti nelle calende di luglio, i quali si tiene che fossero Lucio Anneo Seneca maestro di Nerone, e Trebellio Massimo. Nel gennaio dell’anno presente406 accusato fu e convinto Antistio Sostano pretore, d’aver composto dei versi contro l’onor di Nerone. I senatori più vili, fra’ quali Aulo Vitellio, che fu poi imperadore, conchiusero dovuta la pena della morte a questo reato. Non osavano aprir bocca gli altri. Il solo Peto Trasea ruppe il silenzio, sostenendo che bastava relegarlo in un’isola, e confiscargli i beni, nel qual parere venne il resto dei senatori. Nondimeno fu creduto meglio di udir prima il sentimento di Nerone, il quale mostrò bensì molto risentimento contra d’Antistio, eppur si rimise al senato, con facoltà ancora di assolverlo. Si eseguì la sentenza del bando. In quest’anno ancora il suddetto Trasea, uomo di petto, e rivolto sempre al pubblico bene, propose che si proibisse ai popoli delle provincie il mandare i lor deputati a Roma, per far l’elogio dei loro governatori; perchè questo onore sel procuravano i magistrati colla troppa indulgenza, e col permettere ai popoli delle indebite licenze, per non disgustarli. L’ultimo anno fu questo della vita di Burro prefetto del pretorio, uomo d’onore e di petto, che avea finquì trattenuto Nerone dall’abbandonarsi affatto ai suoi capricci, e massimamente alla crudeltà. Restò in dubbio s’egli morisse, di mal naturale, oppure di veleno, per quanto ne scrive Tacito407; poichè, per conto di Svetonio408 e di Dione409, amendue crederono che Nerone, rincrescendogli ormai d’aver un soprastante che non si accordava con tutti i suoi voleri, il facesse prima del tempo sloggiar dal mondo. Gran perdita fece in lui il pubblico, e molto più, perchè Nerone in vece d’uno creò due altri prefetti del pretorio, cioè Fenio Rufo, uomo dabbene, ma capace di far poco bene per la sua pigrizia, e Sofonio Tigellino, uomo screditato per tutt’i versi, ma carissimo per la somiglianza de’ depravati costumi a Nerone. Con questo iniquo favorito cominciò Nerone ad andare a vele gonfie verso la tirannia e pazzia. Allora fu, che Seneca conobbe che non era più luogo per lui presso di un principe, il quale si lascerebbe da lì innanzi condurre dai consigli de’ cattivi, e già cominciava a dimostrar poca confidenza a lui. Il pregò dunque di buona licenza, per ritirarsi a finir quietamente i suoi giorni, con offerirgli ancora tutto il capitale de’ beni a lui finquì pervenuti o per la munificenza del principe, o per industria propria410. Nerone con bella grazia gliela negò, ed accompagnò la negativa con tenere espressioni d’affetto e di gratitudine, giungendo sino a dirgli di desiderar egli piuttosto la morte, che di far mai alcun torto ad un uomo, a cui si professava cotanto obbligato. Quel che potè dal suo canto Seneca; giacchè non si fidava di sì belle parole; fu di ricusar da lì innanzi le visite, di non volere corteggio nell’uscire di casa; il che era anche di rado, fingendosi mal concio di salute, ed occupato da’ suoi studi. Si ridusse ancora a cibarsi di solo pane ed acqua e di poche frutta, o per sobrietà o per paura del veleno.
ordinari, oppure all’uno degli straordinari, succeduti nelle calende di luglio, i quali si tiene che fossero {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|''Lucio Anneo Seneca''}} maestro di Nerone, e ''Trebellio Massimo''. Nel gennaio dell’anno presente<ref>{{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacitus}}, lib. 14, cap. 48.</ref> accusato fu e convinto ''Antistio Sosiano'' pretore, d’aver composto dei versi contro l’onor di Nerone. I senatori più vili, fra’ quali ''Aulo Vitellio'', che fu poi imperadore, conchiusero dovuta la pena della morte a questo reato. Non osavano aprir bocca gli altri. Il solo ''Peto Trasea'' ruppe il silenzio, sostenendo che bastava relegarlo in un’isola, e confiscargli i beni, nel qual parere venne il resto dei senatori. Nondimeno fu creduto meglio di udir prima il sentimento di Nerone, il quale mostrò bensì molto risentimento contra d’Antistio, eppur si rimise al senato, con facoltà ancora di assolverlo. Si eseguì la sentenza del bando. In quest’anno ancora il suddetto Trasea, uomo di petto, e rivolto sempre al pubblico bene, propose che si proibisse ai popoli delle provincie il mandare i lor deputati a Roma, per far l’elogio dei loro governatori; perchè questo onore sel procuravano i magistrati colla troppa indulgenza, e col permettere ai popoli delle indebite licenze, per non disgustarli. L’ultimo anno fu questo della vita di ''Burro prefetto del pretorio'', uomo d’onore e di petto, che avea finquì trattenuto Nerone dall’abbandonarsi affatto ai suoi capricci, e massimamente alla crudeltà. Restò in dubbio s’egli morisse, di mal naturale, oppure di veleno, per quanto ne scrive {{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacito}}<ref>{{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacitus}}, ibid. cap. 51.</ref>; poichè, per conto di {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio}}<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Sueton.}}, in Nerone, cap. 35.</ref> e di {{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dione}}<ref>{{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, lib. 61.</ref>, amendue crederono che Nerone, rincrescendogli ormai d’aver un soprastante che non si accordava con tutti i suoi voleri, il facesse prima del tempo sloggiar dal mondo. Gran perdita fece in lui il pubblico, e molto più, perchè Nerone in vece d’uno {{Pagina Annali|Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/142|224}}creò due altri prefetti del pretorio, cioè ''Fenio Rufo'', uomo dabbene, ma capace di far poco bene per la sua pigrizia, e ''Sofonio Tigellino'', uomo screditato per tutt’i versi, ma carissimo per la somiglianza de’ depravati costumi a Nerone. Con questo iniquo favorito cominciò Nerone ad andare a vele gonfie verso la tirannia e pazzia. Allora fu, che {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|''Seneca''}} conobbe che non era più luogo per lui presso di un principe, il quale si lascerebbe da lì innanzi condurre dai consigli de’ cattivi, e già cominciava a dimostrar poca confidenza a lui. Il pregò dunque di buona licenza, per ritirarsi a finir quietamente i suoi giorni, con offerirgli ancora tutto il capitale de’ beni a lui finquì pervenuti o per la munificenza del principe, o per industria propria<ref>{{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Sueton.}}, in Nerone, c. 35.</ref>. Nerone con bella grazia gliela negò, ed accompagnò la negativa con tenere espressioni d’affetto e di gratitudine, giungendo sino a dirgli di desiderar egli piuttosto la morte, che di far mai alcun torto ad un uomo, a cui si professava cotanto obbligato. Quel che potè dal suo canto {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}}, giacchè non si fidava di sì belle parole; fu di ricusar da lì innanzi le visite, di non volere corteggio nell’uscire di casa; il che era anche di rado, fingendosi mal concio di salute, ed occupato da’ suoi studi. Si ridusse ancora a cibarsi di solo pane ed acqua e di poche frutta, o per sobrietà o per paura del veleno.

Già dicemmo, che Ottavia figliuola di Claudio Augusto, e moglie di Nerone, era per la sua saviezza e pazienza un’adorabile principessa; ma non già agli occhi di Nerone, troppo diverso da lei d’inclinazione e di costumi. Certamente egli non ebbe mai buon cuore per lei, e dacchè introdusse in cortePoppea Sabina, cominciò anche ad odiarla411 per le continue batterie di quell’impudica, che non potea stabilire la sua fortuna se non sulle rovine d’Ottavia. Tanto disse, tanto
Già dicemmo, che ''Ottavia'' figliuola di Claudio Augusto, e moglie di Nerone, era per la sua saviezza e pazienza un’adorabile principessa; ma non già agli occhi di Nerone, troppo diverso da lei d’inclinazione e di costumi. Certamente egli non ebbe mai buon cuore per lei, e dacchè introdusse in corte ''Poppea Sabina'', cominciò anche ad odiarla<ref>{{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacit.}}, lib. 14, c. 60. {{AutoreCitato|Cassio Dione Cocceiano|Dio.}}, lib. 61. {{AutoreCitato|Gaio Svetonio Tranquillo|Suetonius}}, c. 35.</ref> per le continue batterie di quell’impudica, che non potea stabilire la sua fortuna se non sulle rovine d’Ottavia. Tanto disse, tanto