Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/54: differenze tra le versioni
m Bot: template SAL |
mNessun oggetto della modifica |
||
Corpo della pagina (da includere): | Corpo della pagina (da includere): | ||
Riga 1: | Riga 1: | ||
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|522}}-->{{ZbPensiero|522/1}} Nisi quod magnae indolis signum est |
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|522}}-->{{ZbPensiero|522/1}} Nisi quod magnae indolis signum est sperare <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|523}} semper. {{Sc|{{AutoreCitato|Floro|Floro}}}} IV, 8. |
||
{{ZbPensiero|523/1}} Sed quanto efficacior est fortuna quam virtus! et quam verum est quod moriens (Brutus) efflavit, «non in re, sed in verbo tantum esse virtutem.» {{Sc|{{AutoreCitato|Floro|Floro}}}} IV, 7. |
{{ZbPensiero|523/1}} Sed quanto efficacior est fortuna quam virtus! et quam verum est quod moriens (Brutus) efflavit, «non in re, sed in verbo tantum, esse virtutem.» {{Sc|{{AutoreCitato|Floro|Floro}}}} IV, 7. |
||
{{ZbPensiero|523/2}} {{Sc|{{AutoreCitato|Floro|Floro}}}} IV, 6 |
{{ZbPensiero|523/2}} {{Sc|{{AutoreCitato|Floro|Floro}}}} IV, 6: ''Quid contra duos exercitus necesse fuit venire in cruentissimi foederis societatem?'' Trasponete l’interrogativo dopo ''exercitus''. Cosí vuole il contesto e anche la semplice osservazione di questo passo, perch’io non so come il ''venire in foederis societatem'' con due eserciti (di Antonio e di Lepido), s’abbia da poter dire ''contra duos exercitus''. Vedi le ultime edizioni di Floro (18 gennaio 1821). |
||
{{ZbPensiero|523/3}} Molto acutamente {{AutoreCitato|Floro|Floro}} dice di Antonio il triumviro: ''Desciscit in regem: nam aliter salvus esse non potuit |
{{ZbPensiero|523/3}} Molto acutamente {{AutoreCitato|Floro|Floro}} dice di Antonio il triumviro: ''Desciscit in regem: nam aliter salvus esse non potuit nisi confugisset ad servitutem'' (IV, 3). Ottimamente di un uomo corrotto e depravato come Antonio; non poteva essere se non signore o servo; libero e uguale agli <section end=2 /><section begin=3 />{{ZbPagina|524}} altri, non poteva. E cosí quasi tutti i Romani di quello e de’ seguenti tempi: cosí la massima parte degli uomini d’oggidí. Non c’é altro stato che non convenga loro, fuorché l’uguaglianza e la libertà. Non saprebbero se non regnare, o come fanno, servire; ma servendo, sarebbero piú adattati al regno che alla libertà. E tale è la natura degli uomini servi per carattere e corrotti dall’incivilimento, spogli di virtú, di magnanimità, di entusiasmo, di sentimenti e passioni grandi, forti e nobili, d’integrità, di coraggio, d’ingegno, di eroismo, capacità di sacrifizi ec. ec. Tutte cose necessarie a mantenersi individualmente e a mantenere relativamente e generalmente lo stato uguale e libero di un popolo. In chi domina, l’egoismo non può che servire o regnare. <section end=3 /> |