Discorso sopra la Batracomiomachia: differenze tra le versioni
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Quando, dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo interessante e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiosità a ricercarne lo scrittore. Avendone rilevato il carattere dall’opera stessa, bramiamo avere un nome a cui applicarlo. Ci duole d’ignorar quello di una persona che c’interessa, e di dover lodare e stimare un Essere anonimo e sconosciuto. Forse il suo nome non ce lo farebbe conoscere più di quello che può fare l’opera stessa, ma noi crediamo di essere abbastanza informati intorno ad uno scrittore, quando ne sappiamo il nome. Riguardo alle opere antiche, questa curiosità va ancora più avanti. La difficoltà di conoscere l’autore di qualcuna di esse, non fa che aumentarla. Pochi sperano di acquistar gloria collo scuoprire l’autore di uno scritto moderno, ma ogni scoperta fatta nei campi dell’antichità è creduta interessare tutta la Repubblica dei Letterati. Il solo aver tentata un’impresa di questo genere senza mancare di qualche successo, basta talvolta a render famoso il nome di uno scrittore. Intelligenza di antichi linguaggi, esame di vecchi libri, acutezza di critica, finezza di giudizio, tutto si pone in opera per ottenere l’intento desiderato, o per persuadere ai lettori d’averlo ottenuto. Una scoperta difficile è sempre bella, se non per la sua utilità, certamente per la sua difficoltà, poiché l’ingegno fu sempre stimato più della sodezza, e lo strepito più della riflessione.
La ''[[Batracomiomachia]]'' però, ossia la Guerra dei topi e delle rane, può veramente dirsi un’opera interessante. La bassezza dell’argomento non può farle perdere nulla del suo pregio. Il Genio si manifesta dappertutto, e tutto è prezioso ciò che è consacrato dal Genio. Boileau non è meno famoso per il ''Lutrin'' che per l'''Arte Poetica''; la ''Dunciade'' e il ''Riccio Rapito'' sono parti del traduttore dell’''Iliade'' e dell’autore del ''Saggio sopra l’uomo''; e l’{{
</ref>. Martino Crusio analizzò la ''Batracomiomachia'' con tutte le regole della critica, e la trovò Poema Eroi-Comico esattamente corrispondente a tutte le leggi dell’arte poetica, e perfetto in tutte le sue parti. E già senza il voto del Gaddi e l’analisi del Crusio, il disegno, l’invenzione e la condotta del poema, la felicità e lepidezza dei ritrovati, e quell’acconcia mescolanza di cose basse e volgari con parole, e cose grandi e sublimi, dalla quale nasce il ridicolo, fanno conoscere ad ogni uomo di gusto che la ''Batracomiomachia'' non è parto di un poeta mediocre.
Si desta quindi in noi il desiderio di sapere il nome di questo poeta. Già da molti secoli il poema porta quello di Omero, a cui espressamente lo attribuì {{
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:Perlege Mæonio cantatas carmine ranas,''
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:Cachinnavit proelio.
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Stazio volendo mostrare che i maggiori poeti, prima di esercitarsi in oggetti grandi, aveano preso a cantare cose basse e pedestri, citò la ''Zanzara'' di {{
</ref>, con che diè a vedere che riguardava questo poema come opera di Omero, il quale solo potea citarsi al fianco di {{
Ciò è verissimo, ma prova solo che Omero poté scrivere un poema giocoso, non che egli è in effetto l’autore della ''Batracomiomachia''. Sarebbe un pazzo chi negasse la prima proposizione, non però certamente chi negasse la seconda, la quale ha avuti in realtà moltissimi oppositori. Proclo parla della ''Batracomiomachia'' come di opera attribuita ad Omero solamente da alcuni. "Scrisse", dic’egli di Omero<ref>''Proclus'', in Vita Homeri.</ref>, "due poemi: l’ ''Iliade'' e l’ ''Odissea''. Alcuni gli attribuiscono ancora dei poemi giocosi, cioè il ''Margite'', la ''Batracomiomachia'', l'''Entepazzio'', la ''Capra'', e i ''Cercopi vani''." Così anche Eustazio. Il primo dei due autori anonimi delle Vite di Omero, pubblicate dall’Allacci, sembra rigettare espressamente la ''Batracomiomachia'' come supposta e di autore differente da Omero, poiché dice di questo poeta: "Nulla gli si deve attribuire, fuorché l’ ''Iliade'' e l’ ''Odissea''. Gli Inni e gli altri poemi che gli si ascrivono, si hanno a tenere per opere di altri autori, a cagione della differenza, sì del carattere che della bellezza degli scritti. Alcuni gli vogliono attribuire anche due opere che vanno intorno coi titoli di ''Batracomiomachia'' e di ''Margite''. Quanto ai poemi che veramente gli appartengono, essi si cantavano un tempo qua e là spartitamente, e furono riordinati da Pisistrato l’Ateniese." E certamente, leggendo gli antichi scritti, si trova che l’antichità era in dubbio intorno all’autenticità della ''Batracomiomachia'', forse niente meno di quello che lo siamo noi al presente. Gli Scoliasti di {{
Fra i moderni, Daniele Heinsio, Giovanni le Clerc, e molti altri contrastarono ad Omero la ''Batracomiomachia''. Madama Dacier dicendo che i migliori critici riconoscono quel poema per falsamente attribuito ad Omero<ref>Le combat des grenouilies et des rats est fort douteux, aussi bien que ses hymnes à Apollon, à Mercure et à quelques autres Dieux. Les plus savans critiques estiment que ces ouvrages ne sont pas de lui. - Dacier, Vie d’Homère.</ref>, mostra di non pensare essa stessa in diversa guisa. Stefano Bergler<ref>''Bergler'', Præf. ad Hom. edit. Wetsten. tom. II, pag. 14 seq.</ref> conta fino ad otto parole della ''Batracomiomachia'', che non sembrano essere state in uso al tempo di Omero, il quale non se ne serví mai nell’ ''Iliade'' e nell’ ''Odissea'', benché spesse volte avesse occasione di farlo; e rileva alcuni modi di dire usati nello stesso poema che non paiono propri di Omero. Fa rimarcare che i Grammatici, per testimonianza di Eustazio, osservarono non essersi quel poeta servito della voce ἥλιος che una sola volta, cioè nel libro ottavo dell’ ''Odissea'', e che nondimeno quella voce s’incontra nel penultimo verso della ''Batracomiomachia''. Trova che presso Omero la lettera α del verbo ἱκάνω, e dei casi formati dallo stesso è sempre lunga, e la υ dell’aoristo secondo, e futuro secondo del verbo φεύγω è sempre breve, mentre nella ''Batracomiomachia'' si ha ἵκανεν colla sillaba κα breve, ed ἀπέφυγεν colla sillaba φυ lunga. Finalmente sospetta che l’autore della ''Batracomiomachia'' abbia tratto dalle Nubi d’Aristofane il pensiero delle zanzare, che colle loro trombe danno alle armate dei topi e delle rane il segnale della battaglia. {{
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:::Venne la razza
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:Ottipede, bicipite, intrattabile.
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L’uso di queste bizzarre parole sembra esser venuto molto più tardi, e se ne hanno esempi presso {{
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:Silonicaperones, vibrissasperomenti,
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Nell’antico bassorilievo rappresentante l’apoteosi di Omero, opera di Archelao di Priene figlio di Apollonio, trovato nel territorio di Marino, Feudo della casa Colonna, lungo la predella, che il poeta ha sotto i piedi, si vedono due topi. Alcuni hanno creduto che essi indicassero la ''Batracomiomachia'', ma madama Dacier<ref>''Dacier'', Vie d’Homère.</ref> ha stimato più verisimile che lo scultore volesse rappresentare con quei topi i cani di Parnaso, detrattori di Omero, e nemici impotenti della sua gloria. "Si Batrachomyomachia innueretur", dice Gronovio<ref>''Gronovius'', Thes. Antiquit. Græc. T. II, num 21.</ref> parlando di quei topi, "cur ranæ quoque non conspiciuntur? Subest aliud: et sive mures sunt, sive glires, per eos licet colligere captam Trojam præbuisse occasionem divinis illis operibus: ad quam explicationem faciunt, quæ viri docti protulerunt de Smintho et Apolline Smintheo". Sminto, a dire del Pseudo-Didimo<ref>''Pseudo-Didymus'', Schol. ad Hom. II, Lib. II.</ref>, era un luogo della Troade, in cui trovavasi il tempio di Apolline Smintio. Σμίνθος vale topo, e a Crisa nel tempio di Apolline Smintio vedevasi, al riferir di Strabone<ref>''Strabo'', Geograph. Lib. XIII.</ref>, la statua di quella Divinità con un topo ai piedi. Certo nel marmo, di cui parlo, sotto le figure corrispondenti si legge: "ΙΛΙΑΣ" - ''Iliade'', "ΟΔΥΣΣΕΙΑ" - ''Odissea'', ma in niun luogo si trova scritto: ΒΑΤΡΑΧΟΜΥΟΜΑΧΙΑ - ''Batracomiomachia''.
La proposizione di Cesarotti, il quale sospetta che la ''Batracomiomachia'' appartenga al secolo di {{
Quanto allo scopo che egli si prefisse nel comporlo, noi lasceremo ai Conti e ai Gebelin il seguire la opinione di Filippo Melantone, che si persuase aver voluto il poeta con quello scherzo ispirare ai giovinetti l’odio delle sedizioni e delle risse, e col far vincere le rane insegnare che sul capo degli autori delle contese ricade il danno che essi volevano recare altrui. Più ingegnoso è il pensamento di Pietro la Seine. Egli crede che il poeta voglia insinuare ai giovani la temperanza nel vitto, sicuramente perché resta inferiore nel combattimento la ghiottissima armata dei topi, avvezza a guerreggiare nelle dispense e nelle cucine, e rimane vittorioso l’esercito delle rane che si contenta di bever acqua, e non ama che cibi pitagorici. Daniele Heinsio dice che la ''Batracomiomachia'' fu composta per uso ed esercizio della gioventù, affinché fosse letta prima dei gravi poemi di Omero, e servisse come d’introduzione ai medesimi. Giovanni le Clerc è di opinione ben diversa. Egli pensa che la ''Batracomiomachia'' non sia che una perpetua beffa e una parodia dell’ ''Iliade''. Infatti è evidente che quel poema è scritto ad imitazione di Omero e col suo stile, e che vi si volgono in ridicolo molti pensieri e molte espressioni che Omero applica alle cose più serie. Gonfiagote è il Paride, e Rodipane il Menelao della ''Batracomiomachia''. La descrizione delle armature dei topi e delle rane è un’imitazione caricata delle tante di questo genere che si trovano nell’ ''Iliade''. Giove, che vedendo prepararsi la battaglia, aduna gli Dei, è appunto il Giove di Omero vestito con abiti da commedia, e le parlate dei Numi contraffanno manifestamente quelle che Omero pone in bocca ai suoi Dei. Nella Iliade, al cominciar della battaglia fra i Troiani, ed i Greci condotti da Achille, Giove tuona, e Nettuno scuote la terra<ref>''Homerus'', Iliad. Lib. xx, vers. 56 seq.</ref>; e nella ''Batracomiomachia'', dando gli araldi e le zanzare il segnale del combattimento, Giove risponde col tuono. La minuta descrizione dei diversi modi, coi quali i topi e le rane si feriscono e si uccidono, è evidentemente tolta da Omero, che è stato lodato da alcuni per la sua fecondità nell’immaginare infinite maniere di far ferire e uccidere i suoi Eroi. Gonfiagote nella ''Batracomiomachia'' fugge da Rodipane, come Paride da Menelao nell’ ''Iliade''<ref>''Idem'', l. c. Lib. III, vers. 30 seq.</ref>. Rubatocchi è l’Achille della ''Batracomiomachia''. Egli è giovine e principe come il protagonista di Omero. Le armate dei topi e delle rane combattono ambedue con egual successo: ma comparisce Rubatocchi, e le rane son ridotte all’estremo. Così nel decimottavo dell’ ''Iliade'' comparisce Achille, e i Troiani si danno alla fuga. Giove nella ''Batracomiomachia'' lancia la folgore nel campo per salvare le rane, come nell’ottavo dell’ ''Iliade'' la lancia per salvare i Troiani. È evidente che questo Giove e gli Eroi della ''Batracomiomachia'' sono quelli dell’ ''Iliade'' volti in ridicolo, e Le Clerc sospetta che l’autore del nostro poema vi abbia posto esso stesso per istrazio il nome di Omero, come per indicare che la guerra di Troia cantata da lui non era più importante, né più degna dell’intervento degli Dei che quella dei topi e delle rane. Forse i Grammatici poco maliziosi, o i posteri poco informati, vedendo in fronte alla ''Batracomiomachia'' il nome di Omero, e non trovando quel componimento indegno di lui, non pensarono più oltre, e lo crederono suo parto legittimo. Tutto ciò, oltre che è proprio a farci abbandonare la comune opinione che riguarda Omero come l’autore della ''Batracomiomachia'', può anche mostrare che essa non è nemmeno di Pigrete, scrittore più antico di Mosco; poiché egli, al dir di Suida<ref>''Suidas'', in Lex, art. Πίγρης.</ref>, raddoppiò l’ ''Iliade'', aggiungendo a ciascun verso di questa un suo pentametro, dal che apparisce che egli era pieno di venerazione per quel poema, e ben lontano dallo schernirlo empiamente e contraffarlo.
Come però il far dei bei poemi non fu privilegio esclusivo di Omero, e il non appartenergli non scema un apice del pregio vero di un’opera, la ''Batracomiomachia'', tuttoché probabilmente di altro autore, è bellissima, e tutte le età si sono accordate nell’ammirarla e nel vantarne le prerogative. Molti poeti si sono anche studiati d’imitarla; e noi abbiamo in greco una Galeomiomachia, ossia battaglia dei topi e di un gatto, che dopo aver combattuto per qualche tempo, finalmente rimane ucciso da una trave che gli cade sopra. Elisio Calenzio, poeta del secolo decimoquinto, nativo del Regno di Napoli, molto stimato dal {{
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:Mus, quo transire posset flumen facilius,
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Dicesi che Eustazio commentasse oltre l’ ''Iliade'' e l’ ''Odissea'', anche la ''Batracomiomachia'', ma il suo Commento sopra quest’ultima non si è mai trovato. Demetrio Zeno di Zacinto, vissuto nel secolo decimosesto, trasportò la ''Batracomiomachia'' in versi politici greco-barbari. La sua versione fu pubblicata dal Crusio.
È tempo omai di parlare della mia traduzione. La ''Batracomiomachia'' era stata già più volte recata in versi italiani. Le traduzioni di Giorgio Summariva<ref>Verona, 1470, in-4.</ref> di Carlo Marsupini<ref>Parma, 1492, in-4.</ref>, di Lodovico Dolce<ref>Venezia, 1543, in-4.</ref>, di Federico Malipiero<ref>Ivi, 1642, in-12.</ref>, del Salvini<ref>Firenze, 1723, in-8.</ref>, di Angelo Maria Ricci<ref>Ivi 1741, in-8.</ref>, dell’Ab. Antonio Lavagnoli<ref> Venezia, 1744, in-4.</ref>, di Antonio Migliarese<ref>Napoli, 1763, in-8.</ref>, e di Marcantonio Pindemonte sono impresse. Quella di Giovanni da Falgano esiste inedita in Firenze nella Magliabechiana. ''La Guerra dei topi e dei ranocchi'', poema in ottava rima, diviso in sei canti, e recitato in sei sere consecutive nel 1519 all’Accademia del Paiuolo in Firenze dal famoso pittore Andrea del Sarto, pubblicata per la prima volta in Firenze nel 1788 con previo avvertimento di {{
Il Rubbi diede sopra tutte le traduzioni italiane della ''Batracomiomachia'' la preferenza a quella del Lavagnoli. Ma questa, a dir vero, non è che una fredda e quasi letterale interpretazione del testo greco, fatta coll’originale e col Rimario alla mano, in versi poco eleganti, e con rime stentate e spiacevoli. Leggendone il primo verso senza saper nulla del titolo, si conosce tosto che esso appartiene ad una traduzione, tanto questa è lontana dall’aver l’aria di un componimento originale. Insomma la traduzione del Lavagnoli, che pure, a giudizio del Rubbi, è migliore di tutte le versioni italiane dello stesso poema, e che questo scrittore chiama bellissima, a me par quasi al di sotto del mediocre. Giudicando dunque che una nuova traduzione della ''Batracomiomachia'' potesse non essere inutile all’Italia, e risoluto di provarmi io stesso a lavorarla, cominciai dallo scegliere il metro. Il Marsupini avea adoprato il verso esametro italiano, forse perché il maggior ridicolo del poema consistesse nel metro; il Ricci le sestine anacreontiche, quasi la ''Batracomiomachia'' fosse un’ode, o una canzone; il Summariva e il Lavagnoli le terzine, che danno alla ''Batracomiomachia'' l’aspetto di un Capitolo del Fagiuoli, o del {{
<poem>Ospite, del cibo tuo troppo ti vanti.</poem>
Ma un poema burlesco italiano senza rime, ha un gran difetto, o almeno manca di un gran pregio.</ref>.
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