Oratio defensoria: differenze tra le versioni

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Potrei allegare questi ed infiniti altri esempli, ma è superfluo, giudici, alla sapienzia vostra la quale per se medesima è capacissima che altra cosa è una calunnia, altra una imputazione vera. Questa ha principio, ha autore certo, ha chiarezza, ha particulari de’ modi e de’ tempi; vedesi la origine sua, vedesi el progresso, veggonsi e’mezzi, non si può tanto occultare che si spenga, non tanto negare che non appaia, e quanto più va innanzi col tempo, tanto più si fonda e si ferma; quella non ha capo, non ha principio alcuno certo, non si vede la fonte, né si sa lo autore; è varia e confusa, non distingue tempi, non modi; non sa dire altro che dire: ha rubato; dimandato che, come o quando, tanto ne sa uno quanto uno che venga di Egitto; quanto più si cerca manco si truova; quanto più si vuole scuoprire tanto più diventa incerta; el tempo da se stesso la consuma e la riduce in termine che alla fine chi l’ha creduta si vergogna di se medesimo d’averla creduta. Vediamo ora di che sorte è la nostra, e giudicate, giudici, se io sono degno di odio o se io merito compassione.
 
È el primo capo della accusazione che io ho rubato somma infinita di danari, e per potergli rubare, ho concesso a’ soldati nostri a sacco questo paese: peccato sanza dubio sì grande, sì enorme e sì orribile che tutte le arte di che è stata piena la orazione dello accusatore, tutte le esclamazione che ha fatto, ancora che siano state sì veementi e terribile, non sarebbono bastate a dimostrare una minima parte della gravezza sua. Ma non si può ragionare della pena se prima non si cognosca del delitto; s’aveva prima a chiarire questo, prima a dichiarare el verbo principale, poi a parlare degli accessori, e spargere quella vena di eloquenzia, la quale ti è parso non potere fare meglio cognoscere che col pigliare una accusazione falsa, perché le vere sa mostrare ognuno anzi si sostengono da se medesime, né hanno bisogno dello ingegno o lingua dello oratore; benché più laudabile era cercare di mostrare alla patria prudenzia o bontà che artificio di parlare; mostrare che tanti anni che tu hai studiato e {{AcAutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}} e filosofi, avessi imparato che la patria ha bisogno di cittadini buoni, amorevoli e gravi, non di ornati parlatori, e’ quali o non mai gli sono utili, o almanco sempre gli sono dannosi, se non hanno congiunta la prudenzia e gravità con la eloquenzia. Ed in che consiste più la prudenzia di uno accusatore, che in sapere eleggere reo che difficilmente possa essere assoluto, non uno che non possi essere condannato? In che consiste più la gravità, che nel fondarsi in cose solide, pesate e certe e vere, non in argomentuzzi ed in cavillazioncelle, che da lontano paiono poco, da presso e quanto più le strigni si risolvono in fummo?
Ha chiamato per testimonio uno esercito intero; credetti vedere questa piazza piena di arme e di cavalli; ebbi, io lo confesso, paura, perché ora che sono così abietto, così percosso dalla fortuna, con difficultà combatto con uno, non che io potessi difendermi da uno esercito. Ma dove è questo esercito? Volessi Dio che così fussino tutti gli eserciti! Non aremo mai paura di guerre o di inimici; perché questo non si vede, non si sente, non fa né male né paura a persona; è simile alle nostre calunnie, che chi le ode da altri, crede siano qualche cosa grande, ma ognuno che se gli accosta vede che sono non nulla. Così, tante migliaia di uomini, tanti capitani, tanti signori, tante legioni, si riducono a quattro, sei testimoni, e’ quali dimandati diligentemente quello che dicono, diranno alla fine loro medesimi che non sanno quello che si dicono. Non voglio recusarli, come giustamente potrei, perché sono tutte persone che, come hanno detto loro medesimi, patirono gravi danni nei transito ed alloggiamenti di quelle gente, né potendo valersi contra di chi gli ha danneggiati, cercano sfogarsi dove possono.
 
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Non dicono che messer Francesco l’abbia detto loro lui, non averlo inteso da lui, non cosa alcuna che sappino che gli abbia dato questa licenzia o commissione; e se e’ primi e migliori uomini di questa città testificassino a questo modo, non sarebbe sì piccolo giudice che non se ne ridessi, non procuratore o avvocato che gli volessi leggere, e che non gli paressi avere gittato via el tempo e la spesa a farlo esaminare. Ma perché consumo io tante parole in una cosa sì manifesta? E perché vo io cercando di generare fastidio dove ho bisogno di generare attenzione? Se adunche questi testimoni per loro medesimi non vagliono nulla, se non pruovano nulla, se da sé soli sono ridiculi, quali sono le conietture o aiuti estrinsechi che gli sostenghino e faccino empiere el detto loro?
 
Sogliono coloro che governano le cause, quando bene si truovino gagliardi di testimoni, cercare di aiutare el fondamento suo o con scritture o con qualche altro lume, almanco con qualche coniettura; il che se fanno quegli che co’ testimoni soli possono vincere, quanto più lo debbono fare coloro che hanno e’ testimoni deboli, e molto più come ha el nostro accusatore che non ha nessuno! Perché tanto è avere testimoni che non pruovino, quanto è non ne avere nessuno. Ma dove sono in questa causa? Non solo non ce n’è nessuna, ma non ne è pure stata allegata nessuna, non pare pure che vi sia stato pensato. Direno che proceda [da] imperizia dello accusatore? Non sarebbe forse maraviglia, perché altro è leggere {{AcAutoreCitato|Prisciano}} o {{AcAutoreCitato|Aristotele|Aristotele}}, altro è trattare una causa; ma non è questo, giudici, non è questo; perché ha pure imparato tanto che saprebbe pure governare in una causa in volgare; e quello che da se medesimo non avessi cognosciuto, crediate a me, non gli è mancato maestri, non gli è mancato con chi consultare, e di quegli della professione mia, e’ quali io non nomino per avere più rispetto loro, che non hanno essi a me.
 
Non sono ancora in tanta compassione che manchi chi mi perseguiti; non manca chi, non saziato di vedermi afflitto nel conspetto degli uomini, di vedermi avere bisogno di coloro che solevano avere bisogno di me, desideri el sangue mio, desideri vedere l’ultima ruina mia, desideri vedermi esemplo di tutte le calamità e miserie. Misero a me, che ho io fatto loro? Non gli ho già mai offesi, non gli ho provocati; se è invidia, sono pure oramai ridotto in grado che doverrebbe succedere la compassione, e come è scambiata la fortuna mia, così doverrebbe essere scambiati gli affetti degli uomini verso di me. Ma la non va così: è in loro quella medesima sete di spegnermi e di estirparmi, che era già di abbassarmi; però non sono mancati allo accusatore né consigli, né ricordi, né suggestione.