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l'ingresso di Ferdinando a Verona nel così detto «anno dell’imperatore» nel 1838. |
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«Credo conveniente» |
«Credo conveniente» diss’egli «un tal segno di rispetto e di compiacenza.» |
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L’ingegnere, vedendo quel coso, esclamò ancora: «Cosa mai, cosa mai?» |
L’ingegnere, vedendo quel coso, esclamò ancora: «Cosa mai, cosa mai?» Ma l’ometto, cerimonioso nell’anima, tenne duro: «il mio dovere, il mio dovere» e chiamò la Marianna che facesse lume. Costei, quando vide il padrone con quello spettacoloso segno di compiacenza in capo, incominciò a far le meraviglie. «La tasa!» sbuffò il disgraziato signor Giacomo. «Tasì!» e appena fuori dell’uscio si sfogò. «No ghe xe ponto de dubio, quela maledetissima servente sarà la me morte.» |
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«E perché non la manda via?» |
«E perché non la manda via?» chiese l’ingegnere. |
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Il signor Giacomo aveva posto un piede sul primo scalino della viottola che sale a fianco della casa Puttini, quando quest’acuta interrogazione, penetrandogli come un pugnale nella coscienza, lo fermò di botto. |
Il signor Giacomo aveva posto un piede sul primo scalino della viottola che sale a fianco della casa Puttini, quando quest’acuta interrogazione, penetrandogli come un pugnale nella coscienza, lo fermò di botto. |
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«Eh!» |
«Eh!» rispose sospirando. |
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«Ah!» |
«Ah!» fece l’ingegnere. |
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«Cossa vorla?» |
«Cossa vorla?» riprese l’altro dopo una breve pausa. «Questo xe quelo.» |
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Pronunciata in via di epilogo, secondo un vecchio uso veneto, tale disgraziata identità dei due aggettivi indicativi, il signor Giacomo fece le guance grosse, soffiò con vivacità e si decise a rimettersi in via. |
Pronunciata in via di epilogo, secondo un vecchio uso veneto, tale disgraziata identità dei due aggettivi indicativi, il signor Giacomo fece le guance grosse, soffiò con vivacità e si decise a rimettersi in via.<span class="SAL">61,3,Redqueen</span> |