Sonetti romaneschi (1998)/Er granturco

Er granturco

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Er giuvveddí santo Er lavore

 
     Disse er Zurtano a un tar governatore:
«Impicchete, vassallo, e tte perdono».
Er vassallo arispose ar Gran-Ziggnore:
«Dàmme un anno de tempo, e tte la sòno».
              5
     E ggià er padrone nun sta ppiú ssur trono:
già ccià2 mmesso le chiappe er zervitore:
e attenti, mordivói, ché mmó vviè er bono, 3
strillò er giudio che sse cacava er core.
              
     Visto er Granturco a ppassà gguai lo sscetro,
10messe4 er tesoro suo sopra un carretto,
e scappò vvia co le puttane addietro.
              
     Er Papa ha ppianto, e jj’ha scritto un bijjetto,
discenno:5 «Fijjo mio, curre6 a Ssan Pietro,
dove se pò accordà Ccristo e Mmaometto».


Roma, 25 gennaio 1833


Note

  1. Corse una voce che Ibrahim Pascià, figlio di Mèhemet Alí viceré d’Egitto, fosse arrivato a Costantinopoli. La novella (benché incredibile al tempo che fu sparsa, che fu quello della vittoria sul Gran Visir), diede luogo al seguente Sonetto, fondato sopra alcune opinioni pubbliche.
  2. Ci ha.
  3. Specie di ditterio, usato ne’ momenti d’aumento di danno, Il vocabolo «mordivoi» è una esclamazione de’ moderni ebrei romani.
  4. Mise.
  5. Dicendo.
  6. Corri.