Sommario della storia d'Italia/1512

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1512. Perdessi Prato a di xxiiii d’agosto, e li cittadini tutti restano attoniti: e certi che si trovavano danari da poter vivere fuori, si partirono della città e ne menarono le donne e li figliuoli: ed universalmente per ciascuno uomo di buona mente si parlava che era da pigliare quello accordo col Vicerè, che si potea avere. Ma egli, dato per la vittoria, dove prima si satisfacea con danari, senza rimettere i Medici; dopo quella, voleva fussino restituiti e nella patria e ne’ beni loro, e maggiore somma di danari. E benchè Piero Soderini fusse consigliato da qualche uomo affezionato alla libertà, di pigliare ogni condizione, pure che l’esercito inimico si discostasse; la mala fortuna della città lo ritraeva da fare quello che conosceva essere a beneficio di essa; perchè, se li Medici erano rimessi con le leggi, non arebbono avuto più autorità di quelle; ma sendo rimessi con le forze, potettono disporre d’ogni cosa. Attesesi il giorno a condurre le genti a piedi e a cavallo nella città, ed alloggiarli; il che generò maggiore spavento, perchè li soldati licenziosi, e parendo loro che i Fiorentini ne avessino necessità, facevano ruberie ed insulti, come è costume di essi.

Aveva la Signoria, quando li nimici entrarono nel paese dei Fiorentini, fatto ritenere in Palazzo circa venticinque cittadini, come amici de’ Medici, dubitando che non suscitassino qualche tumulto nella città. Alli xxxi di agosto, quattro giovani nobili, i quali furono Bartolomeo Valori, Paulo Vittori, Gino Capponi e Antonfrancesco degli Albizzi, andorono al Gonfaloniere la mattina per tempo, e gli dissero che era necessario pigliasse partito, e non tenesse la città in pericolo di andare in preda, come Prato. E rispondendo loro il Gonfaloniere parole grate ed umane, senza venire a conclusione, e volendosi partire da essi e ritirarsi in un’altra stanza; Antonfrancesco, e più giovane e più ardito degli altri, lo prese per la veste, e disse, che prima che partisse da lui, voleva che relassasse li cittadini che la Signoria aveva fatti ritenere. Egli, sendo troppo rispettivo, e dubitando non avere a fare male ad altri, o che ne fusse fatto a lui; e giudicando che se si veniva al sangue, dovesse seguire la rovina della città, fu contento licenziarli. E pensando che avendo questi quattro giovani, e massime Antonfrancesco, preso tanto ardire, che non mancherebbe loro animo a tentare più oltre; mandò subito Niccolò Machiavello, secretario della Signoria, per Francesco Vettori, fratello di detto Paolo, il quale era deputato dalli Dieci commissario sopra i soldati. Ed avendo inteso quello era seguito in Palazzo, nè potendo essere contro al fratello, senza manifesto pericolo; nè volendo per modo alcuno essere contro al Gonfaloniere ed al Palazzo, voleva montare a cavallo per partirsi della città; ma facendogli Niccolò la ambasciata per parte del Gonfaloniere, n’andò subito a lui, e trovandolo solo e impaurito, lo ddmandò quello voleva operasse. Il Gonfaloniere gli rispose, che era disposto partire di Palazzo, pure che fusse sicuro di non essere offeso. Francesco gli rispose, che gli pareva che avesse sì bene governato il tempo che v’era stato, che non voleva già essere in compagnia di quelli ne lo traevano. Ma pregando lui ed instando che oprasse si potesse partire sicuro; Francesco, presa la fede da quelli che gli erano contro, di non lo offendere, lo condusse a casa sua, dove egli volle più presto andare che alla propria abitazione; e la notte medesima lo cavò di Firenze per lo sportello, e lo accompagnò con venti cavalli leggieri insino a Siena; sendo stato prima privato detto Gonfaloniere da quelli magistrati che s’hanno a intervenire a detta privazione, secondo li ordini della città. Dove si pensò subito comporre col Vicerè; ed a questo effetto furono mandati a lui a Prato, oratori, messer Cosimo de’ Pazzi, arcivescovo di Firenze, Iacopo Salviati e Paolo Vittori; e la cittò ordinò in quel tumulto il meglio che la possette; e fu creato Gonfaloniere per un anno Ciovambattista Ridolfi, e si fece che i Medici potessero tornare; e si accordò col Vicerè di dargli ducati centoquarantamila, i quali egli avesse a distribuire ancora agli altri allegati, secondo convenissono, e si ebbe da detto Vicerè commodità a pagarli un mese; e promise lasciare il castello di Prato, e rimuovere l’esercito del paese de’ Fiorentini.

Tornò Giuliano, figliuolo di Lorenzo de’ Medici, il primo in Firenze. Ed in effetto, non parendo a quelli cittadini d’età, che si ricordavano di Lorenzo suo padre, che il governo fusse assettato a loro proposito, persuasono ed al Cardinale ed a lui ed a messer Giulio figLiuolo di Giuliano, che si dovea fare parlamento, e pigliare il governo davvero; chè altrimento e loro e li amici vi stavano con pericolo. E furono tante le persuasioni, che spinsono il Cardinale a fare forse quello non arebbe fatto. Perchè, alli xvi di settembre, fece pigliare il Palazzo, e la Signoria venne in ringhiera a fare parlamento; e fu data ampia autorità a quaranta uomini, che si chiamorono della Balìa, i quali subito feciono nuovi Otto di Guardia; e Giovambattista Ridolfi, Gonfaloniere, rinunziò il magistrato, e non volle stare più che due mesi; e si ridusse la città, che non si facea se non quanto volea il cardinale de’ Medici. E’ chiamato questo modo di vera tirannide; ma parlando delle cose di questo mondo sanza rispetto e secondo il vero, dico che si facesse una di quelle repubbliche scritte e imaginate da Platone, o, come che scrive Tommaso Moro inglese, essere stata trovata in Utopia, forse quelle si potrebbono dire non essere governi tirannici; ma tutte quelle repubbliche o Principi de’ quali io ho congizione per istoria, o che io ho veduti, mi pare che sentino di tirannide. Nè è da meravigliarsi che in Firenze spesso si sia vivuto a parti ed a fazioni, e che vi sia surto uno che si sia fatto capo della città; perchè è città popolata assai, e sonovi di molti cittadini che arebbono a partecipare dello utile, e vi sono pochi guadagni da distribuire; e però sempre una parte si è sforzata governare ed avere gli onori ed utili; e l’altra è stata da canto a vedere e dire il giuoco. E per venire agli esempli, e mostrare che, a parlare libero, tutti i governi sono tirannici; piglia il regno di Francia, e fa che vi sia uno Re perfettissimo; non resta però che non sia una grande tirannide che li gentiluomini abbino l’arme, e li altri no; non paghino gravezza alcuna; e sopra li poveri villani si posino tutte le spese; che vi sieno parlamenti nelli quali le liti durino tanto, che li poveri non possino trovare ragione; che vi sia in molte città canonicati ricchissimi, de’ quali quelli che non sono gentiluomini, sono esclusi; e nondimeno il regno di Francia è giudicato così bene ordinato regno, e di giustizia e d’ogni altra cosa, come ne sia un altro tra Cristiani. Vieni alle repubbliche, e piglia la Veneta, la quale è durata più che repubblica alcuna di che si abbia notizia; non è espressa tirannide, che tremila gentiluomini tenghino sotto più centomila, e che a nessuno popolano sia dato adito di diventare gentiluomo? Contro a’ gentiluomini, nelle cause civili, non si trova giustizia; nelle criminali, i popolari sono battuti, i nobili riguardati. Ma io vorrei che mi fusse mostro che differenzia è dal Re al tiranno. Io per me non credo certo che vi sia altra differenzia, se non che quando il Re è buono, si può chiamare veramente Re; se non è buono, debbe essere nominato tiranno. Così, se uno cittadino piglia il governo della città o per forza o per ingegno, e sia buono; e’ non si può chiamare tiranno; se sarà tristo, se gli può dare nome non solo di tiranno, ma d’altro che si possa dire peggio. E se noi vorremo bene esaminare come sieno stati i principali de’ regni; troveremo tutti essere stati presi o con forza o con arte. Nè io voglio entrare ne’ Persi, Medii, Assirii e Giudei; ma la repubblica Romana era ordinata nella pace e nella guerra. Cominciorno Silla e Mario, duttori di eserciti contro alli esterni inimici, a voltare le forze l’uno contro all’altro; e Silla rimase superiore, e tenne occupata la città per forza tanto quanto volle. Cesare similmente, di Imperadore di esercito, diventò Dittatore e Signore di Roma; e così sono seguiti dipoi li Imperatori che si leggono. Ed essendo declinato il dominio Romano, per avere Costantino condotto la sede dello Imperio a Bisanzio, in Italia sono surti molti Principi, secondo che ha dato la occasione; e per coprire meglio il nome del principato, si hanno fatto investire da uno Imperatore che è stato in Alemagna, e che non ha avuto altro di imperatore Romano, che uno nome vano. Eperò non si debbe chiamare tiranno alcuno privato cittadino, quando abbi preso il governo della sua città e sia buono; come non si debba chiamare un vero signore di una città, ancora che abbi la investitura dallo Imperatore, se detto signore è maligno e tristo. Ma io sono uscito alquanto fuora del proposito.

Ridussesi (come ho detto di sopra) il governo di Firenze nel cardinale de’ Medici, ancora che vi fussero i magistrati e leggi ordinate. Il Vicerè avendo quasi avuto la maggior parte de’ danari gli dovevano i Fiorentini per lo accordo, ritirò le sue genti verso Lombardia; e fu gran cosa, che in una città alterata tanto di governo ed esausta per le continue spese, si trovassino tanti danari, che, dove i Fiorentini erano debitori di ducati centoquarantamila, in tempi li ridussono a cento sedicimila, e li pagorno di contanti. E giunto il Vicerè in Lombardia, attese a pigliare certi castelli che rimanevano nella ducea di Milano, in potestà de’ Franzesi, e Massimiliano Sforza venne d’Alemagna, e di volontà de’ collegati fu fatto duca di Milano.