Sentenza Corte di Cassazione n. 9151-2008

Corte di Cassazione

2008 diritto diritto Sentenza Corte di Cassazione n. 9151/2008 Intestazione 13 settembre 2008 75% diritto

Organo giudicante: Corte di Cassazione - Sezioni Unite civili
Deposito in Cancelleria: 08/04/2008



REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI
Oggetto
ELETTORALE
 
R.G.N. 8764/08
8854/08
Cron. 9151
Rep.
Ud. 08/04/08


composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CARBONE - Primo Presidente -
Dott. Paolo VITTORIA - Presidente di sezione -
Dott. Roberto PREDEN - Presidente di sezione -
Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI - Consigliere -
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -
Dott. Antonio MERONE - Consigliere -
Dott. Renato RORDORF - Rel. Consigliere -
Dott. Alfonso AMATUCCI - Consigliere -
Dott. Francesco TIRELLI - Consigliere -


ha pronunciato la seguente

SENTENZA


sul ricorso proposta da:


MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, SENATO DELLA REPUBBLICA, in persona del Presidente pro-tempore, SERVIZIO ELETTORALE CENTRALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

- ricorrenti -

contro


D.C. - PARTITO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, BORDI MARCO, PIERLUIGI MANCUSO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL BABUINO 107, presso lo studio dell'avvocato ANGELO R. SCHIANO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO DI MARTINO, RUGGERO FRASCAROLI, giusta delega in atti;

nonché contro


U.D.C. - UNIONE DEMOCRATICI CRISTIANI E DEMOCRATICI DI CENTRO

- intimato -

e sul 2° ricorso r.g. n. 8854/08 proposto da:


UDC - UNIONE DEMOCRATICI CRISTIANI E DEMOCRATICI DI CENTRO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DON MINZONI 9, presso lo studio dell'avvocato CARLO MARTUCCELLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI GALOPPI, MARIA CALDARERA, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro


PARTITO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA, BORDI MARCO, MANCUSO PIERLUIGI, MINISTERO DELL'INTERNO, SENATO DELLA REPUBBLICA, UFFICIO ELETTORALE CENTRALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

- intimatI -


avverso l'ordinanza del Consiglio di Stato 1744/08 emessa l'1/04/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'08(04/08 dal Consigliere Dott. Renato RODORF;
uditi gli avvocati Michele Giuseppe DIPACE, dell'Avvocatura Generale dello Stato, Angelo SCHIANO ABBAMONTE per delega dell'avvocato Paolo di MARTINO, Ruggero FRASCAROLI, Mario CALDARERA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso per il difetto assoluto di giurisdizione.

Svolgimento del processo


Il partito della Democrazia Cristiana - DC, in persona del legale rappresentante, unitamente al sig. Marco Bordi ed al sig. Pierluigi Mancuso, rispettivamente in veste di rappresentante del contrassegno e di candidato capolista per l'elezione del Senato nella Regione Lazio, con ricorso notificato il 17 marzo 2008 hanno chiesto al Tar del Lazio di annullare il provvedimento con cui l'Ufficio elettorale centrale nazionale ha confermato l'esclusione della lista presentata da detto partito per le consultazioni elettorali indette per i giorni 13 e 14 aprile 2008.

I ricorrenti hanno altresì proposto istanza cautelare al fine di ottenere l'ammissione della lista in tempo utile.

Detta istanza è stata rigettata dal Tar, il cui provvedimento è stato però successivamente riformato dal Consiglio di Stato, in sede di gravame, con ordinanza in data 1 aprile 2008 che ha disposto l'ammissione della suindicata lista alla consultazione elettorale.

Avverso tale ordinanza il Ministero, il Senato della Repubblica e l'Ufficio elettorale centrale propongono ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, da valere, in subordine, anche quale istanza di regolamento di giurisdizione a norma dell'arti. 41 c.p.c.

Il partito UDC - Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro, anch'esso parte del giudizio in corso dinanzi al tribunale amministrativa, ha depositato controricorso e ricorso incidentale.

Altro ricorso incidentale è stato depositato Democrazia Cristiana - DC.

E' volontariamente intervenuto il sig. Giuseppe Rodi, anche nella qualità di presidente del partito della Nuova Democrazia Cristiana.

Motivi della decisione


1. Occorre preliminarmente interrogarsi sull'ammissibilità del ricorso proposto a norma dell'art. 362 c.p.c., che ha ad oggetto un'ordinanza cautelare emessa dal giudice amministrativo in grado d'appello.

La risposta negativa a tale quesito è stata già più volte fornita da questa corte (sez. un. n° 12068/07, n°5052/04 e n°534/93), la quale ha escluso la possibilità di ritenere il ricorso ammissibile, a norma dell'art. 111 cost., trattandosi di rimedio consentito avverso pronunzie di contenuto decisorio, idonee cioè ad incidere in via definitiva sulle posizioni dedotte, mentre il provvedimento cautelare per sua stessa natura difetta di tali connotati.

Vero è, però, che in alcune delle suindicate pronunce si è anche aggiunto che l'impugnazione può convertirsi in istanza per regolamento preventivo di giurisdizione tutte le volte che il ricorrente abbia contestato la giurisdizione dell'autorità procedente in relazione al giudizio di merito ancora pendente sul provvedimento amministrativo impugnato- Tale è, appunto, la situazione che si delinea nel presente caso, dal momento che le contestazioni mosse nel ricorso attengono, appunto, al tema della giurisdizione e sono volte a farne accertare il difetto in capo al giudice dinanzi al quale pende la causa. Né all'esame del ricorso in termini di regolamento di giurisdizione osta da un lato l'emissione del provvedimento cautelale, non potendo questo identificarsi con una pronuncia di merito ai sensi dell'art. 41 c.p.c., dall'altro lato la circostanza che il procedimento non si sia svolto nelle forme del rito camerale previsto per la trattazione di tale regolamento e che di conseguenza vi si provveda con l'emanazione di una sentenza, anziché di un'ordinanza. Il codice di rito non prevede infatti il caso della trasformazione del rito ordinario nel rito camerale, e la regola generale è quella della trattazione dei ricorsi in pubblica udienza, che assicura la realizzazione dei principi di oralità ed immediatezza, nonché del diritto di difesa e del principio fondamentale recato dall'art. 6, a° comma, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in tema di pubblicità del processo. Pertanto l'avvenuta fissazione della trattazione di un'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in udienza pubblica - anziché, come prescritto dall'art. 375 c.p.c., in camera di consiglio - è pienamente legittima, in quanto non determina alcun pregiudizio ai diritti di azione e difesa delle parti, considerato che l'udienza pubblica rappresenta, anche nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, lo strumento di massima garanzia di tali diritti, consentendo ai titolari di questi di esporre compitamente i propri assunti, senza per questo compromettere i poteri del Procuratore generale presso la Corte di cassazione Ne discende che, per effetto della trattazione dell'istanza di regolamento in udienza pubblica, vien meno il legame istituito dal citato art. 374 fra il rito camerale e la prescrizione dell'ordinanza come forma del provvedimento conclusivo, con la conseguenza che alla decisione dell'istanza di regolamento deve essere, in tal caso, attribuita la forma della sentenza, a norma del combinato disposto degli artt. 131, primo comma, e 279 c.p.c., essendo consentito enucleare, quale principio generale dell'ordinamento processuale ( e salve le deroghe che risultino espressamente stabilite dalla legge), la prescrizione di una forma siffatta per i provvedimenti collegiali che, all'esito della pubblica udienza di discussione, comportano la definizione del giudizio davanti al giudice adito (se veda in tal senso, sez. un n° 10841/03).

2. Le argomentazioni prospettate nel ricorso andranno perciò esaminate dell'ottica del regolamento di giurisdizione, il che rende irrilevante la circostanza dedotta dalla difesa della Democrazia Cristiana in ordine alla rinuncia all'esecuzione del provvedimento cautelare. Quale che sia il valore processuale di tale rinuncia nel giudizio pendente dinanzi al giudice amministrativo, infatti, è certo che essa non investe nella sua interezza detto giudizio, e perciò non fa venir meno l'esigenza del proposto regolamento di giurisdizione. Giova ancora aggiungere che neppure la lettere (allegata in copia) con cui il rappresentante dei suindicato partito ha comunicato al Presidente della Repubblica e ad altre autorità istituzionali di voler ritirare la lista dalle competizioni consente di soprassedere al presente regolamento: perché le espressioni in quella lettera adoperate non equivalgono ad una rinuncia agli atti del giudizio amministrativo in corso (implicando anzi l'espressa intenzione dello scrivente di proseguire nelle proprie iniziative giudiziarie ad onta del ritiro dalla competizione elettorale) che avrebbe dovuto altrimenti essere formalizzato in sede processuale.

2.1. Prima di procede all'esame delle ragioni esposte nel ricorso occorre tuttavia ancora farsi carico di un'ulteriore questione preliminare, attinente al modo in cui il procedimento è stato instaurato ed all'applicazione delle norme dettate dal codice di rito in ordine ai termini che in detto procedimento vanno rispettati.

2.1.1. La notifica del ricorso e dell'avviso di fissazione dell'udienza è avvenuta, per espressa autorizzazione in tal senso del presidente di questa corte, mediante l'utilizzo del fax.

Il ricorso a tele peculiare modalità di trasmissione è riconducibile alla previsione dell'art. 151 c.p.c., che consente di autorizzare la notifica in un "modo diverso da quello stabilito dalla legge" quando sussistano esigenze di particolare celerità. Dell'esistenza nel presente caso di siffatte esigenze si dirà tra breve. Quanto allo strumento del fax, la sua idoneità in via di principio a costituire un'adeguata forma di comunicazione di atti difensivi, in considerazione dei progressi compiuti dalla tecnica di trasmissione e delle garanzie inerenti, è desumibile dalla opzione compiuta dallo stesso legislatore nell'introdurre una siffatta previsione - sia pure con riferimento a fattispecie specifiche di comunicazione - nell'ultimo comma dell'art. 366 c.p.c. (come novellato dal d. lgs. n. 40 del 2006).

2.1.2. E' stata altresì disposta l'abbreviazione dei termini e l'udienza è stata perciò fissata a scadenza assai ravvicinata, rendendo così impossibile il puntuale rispetto dei termini che il codice di rito normalmente assicura alla difesa delle parti intimate.

La assoluta peculiarità dell'oggetto del giudizio e la rilevanza costituzionale degli interessi in gioco inducono a ritenere questa scelta corretta, e perciò tale da consentire la trattazione del ricorso e danno al contempo ragione del mancato accoglimento delle istanze di rinvio presentate dai difensori di alcune delle parti.

Occorre infatti tener conto della data fissata per la consultazione elettorale nel rispetto del disposto inderogabile dell'art. 61 cost., a tenero del quale le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. L'arco di tempo così fissato costituisce, dunque, il limite entro il quale indefettibilmente deve intervenire ogni decisione giurisdizionale che si suppone pronunciata in via preventiva rispetto al momento della consultazione elettorale, ed il presupposto sul quale si è innestata la richiesta di tutela rivolta al giudice amministrativo - della giurisdizione del quale questa corte è ora chiamata a decidere - è appunto che quella tutela debba precedere lo svolgimento della consultazione.

In altre parole, il quesito al quale questa corte è chiamata a rispondere è se si configuri o meno, nella fase intercorrente tra l'indizione dei comizi elettorali e lo svolgimento delle votazioni, una giurisdizione (del giudice amministrativo o, eventualmente, di quello ordinario) in ordine ad una controversia avente ad oggetto l'ammissione o l'esclusione di liste elettorali. Che tale risposta debba intervenire entro i limiti temporali fissati dalla data delle elezioni, come individuata in armonia con il citato art. 61 cost. è insito nel tenore stesso del quesito e nella sicura impossibilità di postulare una dilazione delle operazioni elettorali oltre quel termine. E ciò rende necessario fissare termini di trattazione del ricorso coerenti con questa esigenza.

Non sfugge che, riducendo i termini processuali posti a tutela del diritto di difesa ugualmente si mettono in gioco valori di rango costituzionale. Ma, dovendosi necessariamente trovare un contemperamento tra il rispetto di tali valori e quello, non meno rilevante, del corretto svolgimento delle consultazioni elettorali destinate a consentire il puntuale funzionamento di una delle istituzioni cardine del sistema democratico e costituzionale, quale è il Parlamento, il punto di equilibrio consiste nel garantire, per un verso, che la decisione di questa corte intervenga in tempo utile rispetto alle suindicate scadenze elettorali, purché resti per altro verso assicurata la possibilità per tutte le parti del giudizio di esprimervi le proprie difese, sia pure entro termini necessariamente ridotti rispetto a quelli previsti in via ordinaria dal codice di rito.

In difetto di un'auspicabile disciplina dei giudizi avanti ad oggetto siffatte questioni, che tenga conto dei tempi scanditi in materia elettorale dalla costituzione, non appare praticabile altra soluzione che questa.

2.2. Occorre passare quindi all'esame nel merito di quanto nel ricorso si sostiene.

La tesi in primo luogo prospettata da parte ricorrente è che via sia un difetto assoluto di giurisdizione (tanto del giudice amministrativo che di quello ordinario) a conoscere delle controversie in tema di ammissione o di esclusione dei simboli di lista nelle elezioni politiche nazionali; difetto desumibile dalla circostanza che l'art. 87 del d.p.r. n. 361 del 1957, richiamato in tema di elezioni del Senato dall'art. 27 del d. lgs. n. 553 del 1993, espressamente riserva all'assemblea elettiva la convalida dell'elezione dei propri componenti, nonché il giudizio definitivo su ogni contestazione, protesta o reclamo presentati ai singoli uffici elettorali ed all'ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente.

Proprio facendo leva su questa disposizione, attuativa del principio di autodichia delle Cmaere, espresso dall'art. 66 cost., questa corte ha già avuto modo di affermare che ogni questione concernente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, compete in via esclusiva al giudizio di dette Camere, restando così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento in proposito di qualsiasi autorità giudiziaria (sez. un. n° 8118 e n° 8119 del 2006).

Non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale orientamento; né, in particolare, appare a tal riguardo pertinente il richiamo all'ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2006, che si legge nel provvedimento del Consiglio di Stato qui criticato dai ricorrenti. Detta ordinanza del giudice delle leggi, infatti, ha semplicemente escluso che, in presenza del diniego sia del giudice amministrativo sia della Giunta per le elezioni della Camera dei deputati ("quale organo avente natura giurisdizionale") di pronunciarsi su una questione di ammissione delle liste elettorali possa configurarsi un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, tale da giustificare l'intervento risolutore della Corte costituzionale, trattandosi invece di un conflitto (negativo) di giurisdizione da risolvere a termini del codice di procedura civile.

Anche siffatta impostazione del giudice costituzionale muove, dunque, dal presupposto della natura giurisdizionale della funzione di autodichia svolta in proposito dalle Camere del parlamento attraverso propri organi (per riferimenti in argomento si vedano anche le motivazioni di Corte cost. n° 66 del 1964, n° 115 del 1972, n° 231 del 1975 e n° 29 del 2003), Innegabilmente si tratta di una funzione giurisdizionale, da intendersi non in senso stretto, attesa la natura affatto speciale dell'organo cui è demandata (per cui in dottrina vi è chi ha parlato al riguardo di "controllo costituzionale di legittimità" o anche, icasticamente, di "giustizia politica"). Lo si desume anche dai lavori dell'Assemblea costituente in cui furono scartate opzioni volte a prevedere forme di controllo giurisdizionale in senso stretto, affidate a tribunali a composizione mista (giudici e parlamentari) o alla Corte di cassazione in composizione speciale, e prevalse invece l'intento di assicurare in massimo grado l'autonomia e l'indipendenza del Parlamento rispetto al rischio di possibile interferenza di altri poteri: sicché si preferì confermare in proposito l'impostazione dello Statuto albertino.

Ma si tratta, proprio per questa ragione, di una funziona giurisdizionale esclusiva, la cui estensione anche alla fase preparatoria elettorale, ed in particolare alle questioni di ammissione o esclusione delle liste dalla competizione, discende dalle considerazioni già svolte nelle citate sentenze di questa corte n° 8118 e n° 8119 del 2006, cui non vale contrapporre un asserito diverso orientamento sul punto delle competenti giunte parlamentari: sia perché le posizione di volta in volta assunte da tali giunte non appaiono sufficientemente univoche, sia perché è la giunta nominata dalla Camera parlamentare risultante dalla nuova elezioni a doversi pronunciare sulla questione, sia infine perché alla appena ricordata autonomia ed indipendenza del Parlamento nell'esercizio delle sue prerogative costituzionali fa necessariamente da contrappeso l'autonomia e l'indipendenza della Corte di cassazione nell'esercizio della sua funzione nomofilattica. Né, sul punto, è configurabile un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ma semmai un mero conflitto di giurisdizione - come già ricordato dalla citata Corte cost. n° 117 del 2006 - alla risoluzione del quale solo il legislatore potrebbe por mano (a tale ultimo riguardo si veda anche Corte cost. n° 512 del 2000).

2.3. Alla stregua delle considerazioni che precedono questa corte reputa, dunque, di dover dare continuità al proprio orientamento, confermando che né il giudice amministrativo né il giudice ordinario sono dotati di giurisdizione in ordine alla controversia di cui si tratta, ed in tal senso può parlarsi di difetto assoluto di giurisdizione.

La circostanza che la tutela giurisdizionale competa ad un organo speciale, quale è la giunta parlamentare non implica un inammissibile vuoto di tutela, quantunque comporti il differimento della tutela medesima ad un momento successivo alla conclusione della consultazione elettorale (essendo evidentemente la giunta parlamentare competente quella espressa dalla Camera del Parlamento eletto), in coerenza del resto con le medesime indifferibili esigenze di speditezza del procedimento elettorale che l'art. 61 cost. postula e delle quali si è già prima avuto modo di parlare: esigenze che non sarebbe agevole - e talvolta sarebbe anzi del tutto impossibile - conciliare con una forma compiuta di tutela giurisdizionale preventiva idonea a metter capo ad una pronuncia definitiva.

2.4. Restano assorbite le ulteriori argomentazioni contenute nel ricorso, al pari del ricorso incidentale, risultando invece inammissibile l'intervento proposto in questa sede da soggetto che non è parte del giudizio a quo.

3. La peculiarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.


La corte, pronunciando sui ricorsi previa loro riunione, dichiara il difetto assoluto di giurisdizione e compensa tra le parti le spese del procedimento.

Così deciso, in Roma, il 8 aprile 2008

L'estensore
(Renato Rordorf)

Il presidente
(Vincenzo Carbone)


IL CANCELLIERE
Giovanni Giambattista


Depositata in Cancelleria

oggi, -8 APR. 2008
IL CANCELLIERE
Giovanni Giambattista