Sentenza Corte di Cassazione n. 8102-2002
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Organo giudicante: Corte di Cassazione - Sezione Prima Deposito in Cancelleria: 27/02/2002
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Normativa correlata:
legge quadro 22/2/2001 n. 36 sulle onde elettromagnetiche |
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n.8102/2002 (Presidente: V. La Gioia; Relatore: A. Vancheri)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
SENTENZA
IN FATTO E IN DIRITTO
Ricorrono con tre separati ricorsi, a mezzo dei loro rispettivi difensori, Suraci Lorenzo, Angioletti Cecilia Maria, Todescato Elisa, Serrettiello Paolo, Russo Franceso e Federico Claudio, inoltre Niespolo Marcello, Niespolo Ida e Niespolo Antonio, ed infine Varvello Pietro, tutti legali rappresentanti di emittenti radiofoniche private ed aventi impianti di radiodiffusione collocati sulla collina Camaldoli di Napoli, avverso l’ordinanza emessa il 12/4/2001 dal Tribunale di quella città che, pronunciandosi ai sensi dell’art. 324 c.p.p., ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo di tali impianti, emesso il 28/3/2001 dal GIP del medesimo Tribunale, sul presupposto della configurabilità nella specie dei reati di cui agli artt. 674 e 650 c.p..
Ha osservato il Tribunale: che, avuto riguardo all’esistenza di una legislazione che, a partire dal 1992 ha inteso stabilire limiti massimi di esposizione a campi elettromagnetici, fra cui, da ultimo la legge quadro 22/2/2001 n. 36, il sequestro appariva legittimo perchè nella specie, per effetto della concentrazione di impianti di emissione installati in sito, i limiti fissati dalla legge erano stati superati e, pertanto appariva configurabile la fattispecie di cui all’art. 674 c.p., dovendosi considerare possibile la verificazione di un evento lesivo per la salute delle persone, a nulla rilevando il rilascio di regolare autorizzazione amministrativa; che nella specie era configurabile anche il reato di cui all’art.650 c.p., in quanto non erano state rispettate le prescrizioni contenute in una ordinanza del Sindaco di Napoli, che aveva disposto la riduzione del valore delle emissioni al di sotto del limite fissato dalla legge; che, una volta stabilita la configurabilità dei reati ipotizzati sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentanti ed emersi, il vincolo non poteva che essere mantenuto, in quanto la libera disponibilità degli impianti avrebbe consentito la protrazione, da ritenere illecita, delle emissioni elettromagnetiche; che era da respingere l’eccezione di nullità degli accertamenti tecnici compiuti, effettuati senza dare avviso agli interessati e ai loro difensori, in quanto le garanzia difensive apprestate dall’art. 360 c.p.p. riguardano soltanto gli accertamenti relativi a luoghi, cose o persone, il cui stato sia soggetto a modificazione, mentre nella fattispecie non era ravvisabile alcun evento che potesse determinare una modificazione tale da impedire la effettuazione di nuove misurazioni.
I ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure, cumulativamente riassunte: violazione dell’art. 360 c.p.p. in relazione all’art. 220 disp. att. c.p.p., relativamente alla effettuazione di rilevamenti e misurazioni di carattere tecnico senza previo avviso alle parti e ai loro difensori, e conseguente inutilizzabilità dei risultati emersi, non potendosi affermare, come aveva fatto il tribunale, che gli accertamenti tecnici svolti in un determinato contesto spazio- temporale; avrebbero dato gli stessi risultati anche se effettuati in altro momento; erronea applicazione di legge in ordine alla ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 674 c.p., sia perchè l’applicabilità della citata norma all’ipotesi del c.d. inquinamento elettromagnetico è da escludere, potendo avvenire solo tramite un inammissibile ampliamento in malam partem della portata della medesima disposizione, in violazione dell’art. 1 c.p., dell’art. 14 delle disposizioni della legge in generale e dell’art. 25 Cost.; sia perchè tale applicabilità è stata finora sempre esclusa dalla giurisprudenza della Corte di legittimità sul rilievo della indimostrata attitudine delle onde elettromagnetiche, alla luce delle attuali acquisizioni scientifiche, a recare danni apprezzabili alla persone; sia perchè la normativa vigente ha previsto soglie di cautela e non di pericolo; carenza di motivazione in ordine alla ravvisabilità degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 650 c.p., sia perchè il provvedimento asseritamente violato era palesemente illegittimo perchè affetto dai vizi di violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza, in quanto il Sindaco di Napoli, che lo aveva adottato, non era competente ad emetterlo, essendo prevista la competenza delle autorità regionali, il cui intervento era dalla legge regolato in forma graduale e diluita nel tempo; sia perchè l’ordinanza sindacale non poteva in alcun modo considerarsi un provvedimento contingibile e urgente; e sia perchè, comunque, la eventuale violazione della normativa vigente è punita con sanzione amministrativa e non in sede penale; vizio motivazionale sul rilievo che, ai fini della misurazione delle emissioni, si era fatto riferimento al complesso delle emissioni provenienti da tutti gli impianti senza tenere conto della presenza in loco anche di emittenti abusive, mentre avrebbe dovuto aversi riguardo agli impianti gestiti dalle singole emittenti radiofoniche, che erano state ingiustamente penalizzate nonostante il valore delle loro emissioni rientrasse ampiamente nei limiti fissati dalla legge. I ricorsi sono fondati e vanno, pertanto, accolti.
Va innanzitutto osservato che la eccezione preliminare di carattere procedurale, legata alla presunta violazione della norma di cui all’art. 360 c.p.p., è priva di fondamento, dal momento che l’accertamento compiuto, e cioè la misurazione dell’intensità delle emissioni elettromagnetiche degli impianti radiofonici, non riguardava persone, cose o luoghi il cui stato fosse soggetto a modificazioni.
Al contrario, l’accertamento era perfettamente ripetibile in qualsiasi momento senza che i possibili risultati fossero soggetti a variazioni sostanziali.
Di conseguenza, non era necessario dare avviso alle parti del compimento delle o0perazioni di misurazione e i risultati potevano essere utilizzati a fini di promovimento delle indagini preliminari. La tematica della inquadrabilità del fenomeno delle emissioni di onde elettromagnetiche, comunemente conosciuto sotto il nome di inquinamento elettromagnetico e anche elettrosmog, nella fattispecie di cui all’art. 674 c.p. è stato ed è tuttora oggetto di discussione sia in ambito dottrinario che in ambito giurisprudenziale. Questa Corte, chiamata ad occuparsi del problema, è giunta, in due recenti pronunzie quasi coeve, riguardanti entrambe ipotesi di sequestro preventivo di impianti che comportavano l’emissione di onde elettromagnetiche, a conclusioni parzialmente divergenti sul piano teorico, ma sostanzialmente convergenti sul piano concreto. Con la prima (Sez. I, sent. n. 5592 del 13/10/1999, Pareschi) si è affermato che, in assenza di prove certe circa l’effettiva nocività di campi elettromagnetici superiori a certi valori- limite, deve escludersi la configurabilità del reato di cui all’art. 674 c.p. nel caso di impianti che diano luogo alla produzione dei campi suddetti.
Con la seconda (Sez. I, sent. n. 5626 del 14/10/1999, Cappellieri) si è statuito che, pur essendo il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche astrattamente riconducibile alla previsione di cui all’art. 674 c.p., tuttavia, nel caso concretamente esaminato, la ravvisabilità della suddetta fattispecie penale era da escludere, in quanto non risultava provata l’’effettiva idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o a infastidire le persone.
Quindi, a prescindere dalla divergenza di impostazione di ordine puramente teorico, le suddette pronunzie hanno entrambe affermato il principio che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 674 c.p., è necessaria la prova della effettiva nocività, per la salute delle persone, delle onde elettromagnetiche.
Il tribunale del riesame di Napoli, nell’affrontare con l’ordinanza impugnata la controversia tematica, ha ritenuto, al fine di superare l’ostacolo della sussistenza della prova in concreto dell’effettiva nocività delle onde suddette (nocività sulla quale in ambito scientifico si continua tuttavia a discutere se non altro in ordine all’individuazione dei livelli massimi di emissione, al di sopra dei quali è ipotizzabile tale dannosità) ha ritenuto di poter affermare che, alla luce della normativa vigente e, i particolare, della legge quadro 22/2/2001 n. 36 e dei decreti attuativi, il superamento dei livelli massimi consentiti integra, di per se, gli estremi del reato di cui all’art.. 674 c.p. a prescindere dalla prova della nocività delle emissioni.
Da ciò si è tratta la conclusione che il decreto di sequestro preventivo degli impianti, adottato all’esito delle misurazioni dei livelli di potenza delle emissioni effettuate nella fattispecie e risultate superiori ai livelli stabiliti dalla legge, era da considerare pienamente legittimo e, quindi, da confermare.
Va intanto chiarito che i decreti attuativi, previsti dall’art. 4, comma 2°, lett. a) e b) della citata legge n. 36 del 2001, non sono stati ancora emanati, per cui, ai sensi dell’art. 16 della medesima legge, vanno nel frattempo applicate le norme contenute nel D.P.C.M. 23/4/1992 e sicc. mod., nel D.P.C.M 28/9/1995, nonchè le disposizioni del D.M. 10/9/1998, n. 381, attuativo dell’art. 1 della legge 31/7/1997 n. 249.
In particolare, per quel che qui interessa, l’art. 4 del D.M. n. 381/1998 fissa i valori di 6 V/m per il campo elettrico e di 0,016 A/m per il campo magnetico.
Il medesimo articolo prevede, al comma 3°, che, nell’ambito delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le regioni e le provincie autonome disciplinano l’installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità, nonchè le attività di controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in collaborazione con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per quanto attiene all’identificazione degli impianti e delle frequenze loro assegnate.
Le sanzioni sono quelle previste dall’art. 15 della medesima legge 22/2/2001 n. 36, che al comma 1° prescrive che salvo che il fatto costituisca reato, chiunque nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente o di un impianto che genera campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici superi i limiti di esposizione ed i valori di attenzione di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dall’articolo 4, comma 2°, e ai decreti previsti dall’articolo 16 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 2 milioni a lire 600 milioni.
Il panorama della normativa in materia si è poi ulteriormente arricchito grazie alla legge 20/3/2001 n. 66, che ha convertito il D.L.23 gennaio 2001, n. 5, recante disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonchè per il risanamento di impianti radiotelevisivi.
La legge di cui sopra prevede al comma 1 dell’art. 2 che, in attesa dell’attuazione dei piani di assegnazione delle frequenze di cui all’articolo 1, gli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva, che superano o concorrono a superare in modo ricorrente i limiti e i valori stabiliti in attuazione dell’art. 1, comma 6°, lett. a), n. 15), della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono trasferiti, con onere a carico del titolare dell’impianto, su iniziativa delle regioni e delle provincie autonome, purchè ritenuti idonei sotto l’aspetto radioelettrico dal Ministero delle comunicazioni, che dispone il trasferimento e, decorsi inutilmente centoventi giorni, d’intesa con il Ministero dell’ambiente, disattiva gli impianti fino al trasferimento.
Al comma 2° del medesimo art. 2 si prevede che le azioni di risanamento previste dall’art. 5 del decreto 10 settembre 1998, n. 381 del Ministro dell’ambiente sono disposte dalle regioni e dalle provincie autonome a carico dei titolari degli impianti. I soggetti che non ottemperano all’ordine di riduzione a conformità, nei termini e con le modalità ivi previsti, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria, con esclusione del pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, da £ 50 milioni a £ 300 milioni, irrogata dalle regioni e dalle provincie autonome.
In caso di reiterazione della violazione, il Ministro dell’ambiente, fatte salve le disposizioni di cui all’art. 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e di cui all’art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, di concerto con il ministro della sanità e con il Ministro delle comunicazioni, fino all’esecuzione delle azioni di risanamento. Le considerazioni che si possono trarre dal breve excursus come sopra effettuato sono le seguenti:
l’astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all’art. 674 c.p. è, alla stregua della vigente legislazione, da escludere, in quanto la suddetta norma descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche: l’azione del gettare in luogo di pubblico transito… cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici.
Il gettare delle cose presuppone la preesistenza di dette cose in natura, mentre la emissione di onde elettromagnetiche consiste nel generare (e, quindi, far nascere o far venire ad esistenza) flussi di onde che prima dell’azione generatrice non esistevano.
L’assumibilità delle onde elettromagnetiche nel concetto di cose non può essere poi automatica, ma richiede necessariamente una esplicita previsione normativa, come è avvenuto, ad esempio, con la previsione di cui al secondo comma dell’art. 624 c.p..
Altrettanto può dirsi per quanto riguarda l’ipotesi dell’emissione di gas, vapori o fumi, relativamente ai quali ogni tentativo di equiparazione alle onde elettromagnetiche appare del tutto arbitrario. Una interpretazione estensiva in malam parrtem della norma incriminatrice di cui all’art. 674 c.p è vietata in base al c.d. principio di stretta legalità, contenuto, oltre che nella norma di garanzia di cui all’art. 1 del codice penale, anche dalla disposizione contenuta nell’art. 25 della Costituzione.
A ciò si aggiunga che la norma contenuta nell’art. 14 delle Disposizioni sulla Legge in generale esclude che la legge penale si applichi oltre i casi e i tempi in esse considerati. T vero che la normativa vigente in materia pone dei limiti alle emissioni elettromagnetiche prodotte da impianti di teleradiodiffusione o da elettrodotti a fini di prevenzione di possibili danni alla salute, dipendenti da esposizione prolungata alla predette emissioni, ma è del tutto arbitrario inferire automaticamente da ciò, come ha fatto il Tribunale di Napoli, la ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 674 c.p. nella condotta di chi superi tali limiti.
Ed infatti, anche a voler prescindere dalle considerazioni sopra svolte, ai fini della inquadrabilità della propagazione delle onde elettromagnetiche oltre i limiti fissati dalla legge nella previsione normativa di cui all’art. 674 c.p., è pur sempre necessaria la prova concreta della effettiva idoneità delle onde a ledere o infastidire le persone o a produrre nocumento certo per la salute di esse (in tal senso le due pronunce di questa Corte 13/10/1999 n. 5592 e 14/10/1999 n. 5626 piè avanti citate, che pur sono in contrasto in ordine alla astratta configurabilità del reato previsto dall’art. 674 c.p., sono perfettamente concordi).
Nella specie non esiste neanche un principio di prova di tale idoneità in concreto, essendo soltanto presupposta dall’accertato superamento dei limiti fissati dalla legge, limiti che, come è noto, sono stati previsti a fini di semplice cautela (v. art. 4 D.M. 381/1998). ciò è tanto vero che il superamento di essi, per una consapevole scelta del legislatore, è punito con forti sanzioni amministrative e, nei casi piè gravi, può comportare anche l’oscuramento e la chiusura dell’emittente, mentre l’eventuale esistenza di una norma che sanzioni penalmente il puro e semplice superamento di tali limiti comporterebbe o problemi di ipotizzabilità di un concorso apparente di norme o la esclusione automatica dell’applicabilità delle sanzioni amministrative.
La prova della diversa scelta legislativa è data anche dalle disposizioni contenute nell’art. 9 della legge 22/2/2001 n. 36, piè avanti citata, che prevede e regola, fra l’altro, il risanamento degli impianti radiotelevisivi (e cioè la risistemazione sul territorio di tali impianti a fini di tutela della salute) in siti che dovranno essere individuati dalla singole regioni sulla base di piani di risanamento regionali, da adottare su proposta dei gestori e sentiti i comuni interessati, al fine di adeguare, in modo graduale e, comunque entro il termine di ventiquattro mesi, gli impianti radioelettrici già esistenti ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità stabiliti secondo le norme della legge stessa. Il termine entro cui le regioni devono provvedere è, ai sensi del primo comma del medesimo art. 9, quello di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all’art. 4, comma 2°, lett. a) della medesima legge n. 36 del 2001, decreto che non è stato ancora emanato e che, come si è visto, è in via transitoria attualmente surrogato dal D.M. 381/1998.
E’ quindi evidente che la normativa in vigore prevede, anche attraverso l’utilizzo di opportuni stanziamenti (v. art. 17 della legge 36/2001), una graduale risistemazione sul territorio degli impianti di emissione radiotelevisiva esistenti secondo tempi, modi e cadenze prefissati, e che, nel frattempo, ogni emittente deve rispettare i limiti indicati da suddetto D.M..
Vero è che i primi tre commi dell’art. 15 della suddetta legge, che prevede le sanzioni da applicare in caso di trasgressione, contengono l’inciso salvo che il fatto costituisca reato; ma, come è evidente, tale riserva presuppone l’esistenza di un reato nel quale si sostanzi una condotta, dolosa o colposa, diversa da quella consistente nel puro e semplice superamento dei limiti previsti, e non comporta affatto la ravvisabilità della fattispecie prevista dall’art. 674 c.p..
Senza dire che la conseguenza pratica dell’impostazione che si avversa, cioè l’applicazione dell’art. 674 c.p., con conseguente esaurimento dell’intero disvalore del fatto, sarebbe la condanna ad una pena pecuniaria, prevista in alternativa a quella detentiva dall’art. 674 c.p., che può arrivare, al massimo, a £ 400.000, a fronte di una sanzione amministrativa pecuniaria che va da due a seicento milioni di lire (o alla corrispondente somma in Euro). La punibilità in sede penale della condotta di chi emette onde elettromagnetiche oltre i limiti consentiti è pertanto da escludere alla luce della normativa attualmente vigente ed ogni tentativo di interpretare in maniera estensiva una norma concepita ad altri fini, come quella di cui all’art. 674 c.p., fino a ricomprendervi ipotesi ad esse sostanzialmente estranee, appare velleitario, oltre che contra legem, e finisce inevitabilmente con lo scontrarsi con la lettera e con lo spirito della normativa in vigore.
A questo esposto nel paragrafo precedente deve aggiungersi che, in ogni caso, nella fattispecie in esame il superamento dei limiti fissati dal D.M. n. 381 del 1998 era frutto della compresenza, sulla collina dei Camaldoli a Napoli, di numerose emittenti (alcune delle quali asseritamente abusive, anche se di tale affermazione non vi è agli atti alcuna traccia), che perè, singolarmente prese, non provocano l’emissione di onde elettromagnetiche al disopra dei limiti fissati.
Ora, a prescindere dalla considerazione che il Tribunale del riesame ha pretermesso qualsiasi esame di tale circostanza, che era stata prospettata da alcuni degli indagati, una siffatta evenienza non può essere indifferente dal punto di vista strettamente penalistico. Il nostro ordinamento giuridico prescrive che la responsabilità penale è personale in conseguenza di dolo o colpa, e non prevede alcun caso di responsabilità penale obiettiva.
Appare quindi contra ius attribuire ai singoli soggetti che gestivano gli impianti una sorta di responsabilità oggettiva in campo penale per il fatto che i predetti impianti, nel loro complesso, provocano l’emissione di onde, che solo per effetto della loro sinergia superavano i limiti prefissati.
A meno che, ma non è il caso in esame, fosse ipotizzabile un concorso fra i vari soggetti, e cioè una consapevole volontà di concorrere con gli altri al superamento dei limiti suddetti o, comunque, una sorta di cooperazione colposa.
Il che presupporrebbe una esplicita previsione normativa, che andasse al di la della semplice fattispecie contravvenzionale, comunque non applicabile, di cui all’art. 674 c.p., a nulla rilevando che, in caso di compresenza di piè sorgenti generatrici di campi elettromagnetici che concorrano al superamento dei limiti di esposizione, sia prevista (si veda la tabella C allegata al D.M. 10/9/1998 n. 381) una riduzione a conformità secondo certe formule matematiche. Invero è evidente che tali prescrizioni, per le ragioni già esposte, non possono che avere rilievo esclusivamente ai fini della irrogabilità delle sanzioni amministrative e non possono avere l’effetto di personalizzare una responsabilità, che si configura essenzialmente come oggettiva.
Dalle argomentazioni che precedono discende che nella specie non è configurabile neanche l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 650 c.p., che pure è stata contestata dall’accusa.
Ed infatti, a prescindere dalle osservazioni avanzate da alcuni dei ricorrenti circa la illegittimità dell’ordinanza emessa dal Sindaco di Napoli sotto gli aspetti della incompetenza e della violazione di legge, la contravvenzione in esame avrebbe dovuto avere come necessari presupposto l’inesistenza di una sanzione penale o amministrativa e la inquadrabilità del provvedimento, per quanto qui interessa, fra quelli emessi per ragioni di igiene, e cioè per ragioni connesse con l’urgente necessità di tutelare la salute pubblica o l’ambiente. Presupposti entrambi da escludere sia per l’esplicita previsione di apposite sanzioni amministrative, sia perchè l’esistenza di ragioni di tutela della salute pubblica non può essere, come nella fattispecie, dubbia o solo astrattamente ipotizzabile, ma deve essere legata ad elementi di correttezza in relazione al pericolo che si intende prevenire.
Alla luce delle considerazioni svolte, l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio unitamente al decreto di sequestro degli impianti gestiti dai ricorrenti, emesso dal GIP del Tribunale di Napoli.
PQM
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonchè il decreto di sequestro, emesso il 28/3/2001 dal GIP del Tribunale di Napoli.
Roma, 30 gennaio 2002.
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2002.