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Questo discorso fu letto alla solenne inaugurazione del Rice Institute in Houston, Texas, il 10 Ottobre 1912 e fu stampato in francese nella Revue du Mois del 10 Febbraio 1913 e nella nuova Collezione scientifica diretta da Emilio Borel, 1914, insieme a scritti di altri autori sul Poincaré. Fu tradotto in inglese da G. C. Evans e pubblicato nel 3° Volume di Book of the opening of the Rice Institute e in the Rice Institute Pamphlets, Vol. I, N. 2, Maggio 1915.

Un uomo vale tanto più quanto meno apprezza la vita; ma vi è un caso in cui, anche da parte di chi non tema la morte, può giustificarsene l'orrore. Pensiamo ad uno scienziato, il quale abbia concepito delle idee che comprende essere utili e feconde, mentre sente ch'esse sono ancora vaghe e confuse e che a svilupparle è necessario un lungo e paziente lavoro, affinchè esse siano comprese, apprezzate ed applicate. Se egli riflette allora, che la morte potrebbe da un istante all'altro annientarle, e che lunghi anni potrebbero ancora trascorrere prima che altri le ritrovasse, si comprende come egli possa attaccarsi appassionatamente alla vita e sentir mescolarsi alla gioia del lavoro il timore d'interromperlo per sempre.

Si può imaginare l'angoscia terribile di Abel, il quale sentiva avvicinarsi la morte e sapeva che nessuno di quanti lo circondavano comprendeva le sue idee da lui ritenute irreparabilmente perdute. E così si intuisce quali terribili momenti abbia trascorsi Galois, prima di recarsi a quel duello dal quale non doveva mai più ritornare, quando si pensi ch'egli non aveva ancora scritto una sola parola sulle sue grandi scoperte.

Poincaré è morto nel momento più brillante della sua carriera, nel pieno vigore delle sue facoltà intellettuali, mentre il suo genio, giovane ancora, concepiva idee nuove ed originali. Ha egli avuto coscienza che tutto quanto stava germogliando dal suo potente cervello sarebbe stato distrutto in un solo istante?

Nessuno certo oggi può dirlo; ma io mi auguro per la pace dei suoi ultimi giorni, ch'egli non abbia sentito approssimarsi la morte, sebbene le pagine della sua ultima memoria rivelino tristi presentimenti.

Poincaré adesso riposa e forse son queste le sue prime ore di riposo, giacchè la ininterrotta attività svolta nelle innumerevoli questioni da lui trattate, nei nuovi campi della scienza da lui esplorati, nella divulgazione delle sue idee, dimostra che durante tutta la vita egli non ha per un solo istante cessato di affaticare il suo cervello.

Da buon soldato è rimasto sulla breccia sino all'estremo respiro. Negli ultimi trent'anni non vi fu nessuna nuova questione, più o meno collegata alle matematiche ch'egli non abbia sottomessa alla sua profonda analisi e che non abbia arricchita di qualche feconda scoperta o di qualche acuta osservazione.

Forse nessun altro scienziato ebbe come lui tanti e così costanti rapporti col mondo scientifico dell'epoca sua.

Fra esso ed Enrico Poincaré esisteva uno scambio continuo, rapido ed intenso di idee, che non si è interrotto mai fino a che il suo cuore non ha cessato di battere; ed è perciò che se si volesse personificare con una figura di scienziato l'ultimo periodo storico della matematica, tutti penserebbero ad Enrico Poincaré, a quest'uomo che fu il più celebre matematico degli ultimi tempi.

E poco a poco egli aveva fatto di sè stesso un tipo di dotto e di filosofo al quale molti matematici del suo tempo, per inconsapevole simpatia, cercavano di avvicinarsi senza raggiungerlo.

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Il movimento scientifico, e nel tempo stesso i rapporti della scienza con la vita, e quelli del pubblico con gli uomini di scienza, sono profondamente cambiati negli ultimi decenni; le cause di ciò sono facili a comprendere, gli effetti ne sono palesi.

Nuove invenzioni, la cui eco si è rapidamente sparsa dappertutto, ed i cui benefici effetti si sono profondamente fatti sentire in una gran cerchia di persone, hanno influito su tutte le manifestazioni della vita. La scienza quindi, e specialmente le matematiche e la fisica, sono andate sempre più divulgandosi, ed il pubblico attende da esse risultati sempre nuovi e sempre più utili. Forse, si è giunti ad avere una fiducia, in queste discipline, superiore alla loro stessa intrinseca potenza.

Lo scienziato che restava ancor pochi anni fa rinchiuso e quasi nascosto nel suo studio o nel suo laboratorio, viene oggi in contatto continuo con altri dotti e col pubblico; è assalito da ogni parte da richieste e purtroppo è sollecitato a rispondere ancor prima che una esatta risposta sia maturata nel suo pensiero. I congressi e le riunioni scientifiche si sono moltiplicati; alle lezioni accademiche si sono aggiunte le conferenze popolari e dalle une e dalle altre il pubblico attende l'ultima parola della scienza.

Ma non si ha più il tempo di aspettare: la vita moderna affrettata e tumultuosa ha invaso i tranquilli rifugi dei dotti. Mentre nei secoli scorsi si pubblicavano grossi volumi, che sintetizzavano il pensiero di una intera vita di studio, oggi i giornali scientifici domandano comunicazioni su lavori che si vengono svolgendo; i rendiconti delle accademie pubblicano, in succinte note, scoperte appena intraviste, e nei congressi si dà notizia di ciò che non si è ancor fatto, si espone ciò che si spera di trovare, si parla di ciò che non si avrebbe mai coraggio di scrivere.

Questo movimento ha creato uno stato d'animo particolare negli uomini di studio, ne ha trasformato la vita, il modo di lavorare e perfino di pensare.

La vita scientifica moderna, che ho rapidamente tratteggiato, presenta grandi vantaggi in quanto il lavoro va diventando in gran parte collettivo, le energie dei singoli scienziati si sommano, le scoperte s'incalzano, l'emulazione sospinge gli studiosi, il cui numero si accresce di giorno in giorno. Ma quanti inconvenienti di fronte a questi vantaggi! Quanto lavoro sottile e minuzioso si perde! Quella pazienza che per Buffon si identificava col genio stesso, è forse stata soffocata nel tumulto dell'ora presente?

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Poincaré fu uno scienziato moderno in tutta l'estensione del termine. Tutti i congressi e i convegni di studiosi ne intesero la parola; la maggior parte dei giornali scientifici ebbero da lui memorie e scritti; le università di Europa e di America, ascoltarono le sue letture e le sue conferenze.

Un lavoro così intenso ed assiduo genera fatalmente in un organismo debole un pericoloso sovraccarico intellettuale: quello che forse ha condotto Poincaré alla tomba. Il lavoro scientifico calmo e sereno è invece un riposo per lo spirito, giacchè la soddisfazione dei risultati nuovi che si scoprono improvvisamente, come un bel panorama allo svolto d'un sentiero di montagna, è un sollievo alla fatica della ricerca, e le difficoltà sostenute nell'approfondire un problema sono spesso largamente compensate da soluzioni che scaturiscono quando meno ci si pensa.

Questo lavoro, non molestato da estranee sollecitazioni, che Eulero e Lagrange hanno conosciuto, può paragonarsi ad un viaggio di piacere in un paese pittoresco, mentre quello imposto dalle conferenze pubbliche e dalle lezioni, o richiesto dai giornali ad epoca fissa, stanca ed irrita come un viaggio lungo e rapido attraverso un paese del quale sfuggono le bellezze e le attrattive.

Io credo che anche uno spirito così riccamente dotato, come quello di Poincaré, il quale possedeva, tutte le virtuosità dell'uomo di scienza e dell'uomo di lettere, doveva provare un senso di stanchezza, talora una vera spossatezza davanti alla massa di lavoro, che si accumulava senza tregua, per anni ed anni, e che diventava ogni giorno più incalzante ed intenso.

Ma era questa una necessità della vita moderna alla quale uno scienziato celebre, come Poincarè, popolare fra i matematici, fisici e filosofi non poteva sottrarsi. Forse egli ha considerato come un dovere del suo genio verso l'umanità, quello di divulgare i suoi pensieri senza nasconderne alcuno e perciò egli ha prodigato liberalmente le sue idee, anche le più intime e fondamentali, come un gran signore, che essendo possessore d'un immenso patrimonio, è sicuro, per quanto spenda, di non esaurirlo mai.

Il Poincaré non ha mai esitato fra il desiderio di far conoscere le sue scoperte ad un largo pubblico ed il timore di esporre risultati prematuri: un intuito eccezionale lo preservava dagli errori. Egli ha sempre comunicato i suoi trovati non celando neppure i suoi metodi, senza lasciarsi allettare da quell'arte sottile ed ingegnosa di esporre i risultati nascondendo la via per la quale ci si è giunti, ch'era così cara agli antichi e che è sempre così tentatrice. Nè si è mai fermato a perfezionare le sue scoperte e a dar loro forma sistematica e definitiva.

Eppure, quando si è ottenuto qualche nuovo risultato, è così piacevole fermarsi a considerarlo da ogni lato guardandolo sotto nuovi aspetti, traendone le più variate applicazioni. Ma Poincaré ha resistito a tutte queste tentazioni e sacrificando quelle soddisfazioni dello studioso ad un alto ideale, ha sempre proceduto innanzi. Non venne mai per lui il tempo di occuparsi dei particolari di questioni già trattate; anzi se ne astenne di proposito determinato; l'insieme era tutto, secondo il suo modo di vedere, il particolare non aveva alcun valore.

Questa foga incessante ha dato al suo stile nervoso un'impronta personale che lo caratterizza fra tutti: egli è fra gli scienziati come un impressionista fra gli artisti. Forse perciò è impossibile paragonare Poincaré ad altri studiosi anche dei più recenti.

Certo il suo nome non riman legato alla creazione di teorie universali quali quelle della gravitazione e dell'elettrodinamica, che resero immortali i nomi di Newton, di Ampère e di Maxwell. Nella immensa varietà di metodi ch'egli ha senza posa inventati ed applicati, ve n'è alcuno paragonabile a quelli per cui vanno celebri Archimede e Lagrange? Ci vorrà molto tempo per mettere in luce tutto quello che è contenuto nelle sue opere e per poter discernere quali siano i germi più fecondi.

Ma, se si domanda sin da oggi, all'indomani della sua morte, a qual livello si deve porre il suo genio, si può rispondere ch'esso raggiunge i culmini ove aleggiano i grandi spiriti dell'umanità. Vi è una analisi, una fisica matematica ed una meccanica di Poincaré che non saranno mai dimenticate.

La sua fama durante la vita è stata enorme; pochi uomini di scienza e pochissimi matematici ebbero una celebrità pari alla sua. Si potrebbe trovarne la spiegazione osservando che, come io diceva poco fa, il suo spirito vibrava all'unisono e nella stessa fase con lo spirito della sua epoca. Taluni dei più grandi scienziati hanno lavorato per un impulso interno, senza curarsi di coloro che li circondavano e sono stati disconosciuti, perchè il tono della loro voce non si accordava con quello dei loro contemporanei, sicchè le note emesse hanno risonato in epoche posteriori.

Non vi è cosa più ardua che prevedere quale sarà la fama avvenire d'uno scienziato, dacchè la storia ha dato troppe smentite alle facili previsioni.

Quante volte ciò che ha suscitato ieri l'ammirazione ci è oggi indifferente!

Ma è sicuro che la voce di Poincaré si prolungherà nei secoli. Egli ha trattato un numero così grande di questioni che molti dovranno lavorare per sviluppare ciò che egli ha iniziato e per approfondire l'opera sua. Essa sarà una preziosa miniera per i posteri, ed allora soltanto se ne potrà valutare la ricchezza.

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Le precedenti considerazioni valgono a giustificare i criteri che ho seguito in questo studio. Non essendo possibile riassumere in modo adeguato l'intera opera di Poincaré e porgere una sintesi completa della sua mente e della sua mirabile attività, io tenterò di mettere in luce un piccolo numero delle sue scoperte, cercando di tracciarne le linee principali e di fissare il posto che occupano nella storia della scienza contemporanea. Chiedo venia se ricordo fatti conosciuti e se accenno a nozioni elementari, giacchè non potendo essere completo desidero almeno di essere chiaro.

Spero che si comprenderà la scelta che ho fatta dei lavori di Poincaré nell'intento di assumere esempi dai differenti rami delle matematiche, per seguire il corso delle maggiori concezioni uscite dalla sua mente.

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Comincerò da uno studio che, per primo, pose il Poincaré in luce fra i matematici e rivelò d'un tratto il suo talento di analista. Intendo parlare della teoria delle equazioni differenziali lineari e delle funzioni fuchsiane1.

La teoria delle funzioni fu la conquista più importante fatta dall'analisi nel secolo scorso; io non ho esitato nel 1900 al Congresso Matematico di Parigi a chiamare il secolo XIX il secolo della teoria delle funzioni2. Ed infatti l'idea intuitiva di funzione che tutti posseggono ed è strettamente legata al concetto elementare di quantità variabili secondo leggi determinate, si è largamente sviluppata e precisata nel periodo moderno della matematica ed è penetrata poco a poco in tutti i rami di questa scienza.

La nozione di funzione fu accolta dapprima dalla geometria analitica e dall'algebra; Lagrange fu il primo a trattarne in generale ed in modo sistematico nella celebre opera sulla teoria delle funzioni analitiche in cui si trovano i germi delle future scoperte3. Però per costituire la teoria in modo definitivo e per giungere a riconoscere le proprietà più riposte ed interessanti delle funzioni, fu necessario estendere il campo delle variabili considerando anche i loro valori immaginari e complessi: studiare una funzione senza considerarne i valori imaginari e complessi sarebbe in molti casi un voler conoscere un libro guardando quello che è scritto sul dorso senza leggerne i fogli interni. Cauchy, Riemann e Weierstrass ci hanno insegnato a leggere il libro misterioso e col loro genio ce ne hanno svelato i segreti più riposti.

Ma come spesso accade non si può costituire una teoria generale se prima non si è studiato profondamente qualche caso particolare. È sempre necessaria una guida per orientarsi in una regione nuova ed inesplorata. La guida che si ebbe nella teoria delle funzioni fu lo studio particolareggiato delle funzioni ellittiche. A svolgere questo ultimo ramo della analisi si era stati condotti da numerose questioni di algebra, di meccanica, di geometria e di fisica, ed esso veniva subito dopo quello delle funzioni trigonometriche che erano state collegate da Eulero ai logaritmi e alla funzione esponenziale.

La storia delle funzioni ellittiche è ben nota ed e stata ripetutamente scritta costituendo essa un ramo di speciale interesse della storia delle matematiche. Si sa quali sorprese hanno riservato i passi fatti nel suo successivo svolgimento, passi ricollegati ciascuno a qualche meravigliosa scoperta. La teoria generale delle funzioni e tutti i suoi rami particolari svoltisi di poi furono modellati sullo stampo della teoria delle funzioni ellittiche, e così quella delle funzioni fuchsiane che costituisce il ramo più moderno, ne riproduce, secondo il piano immaginato dal Poincaré, le linee fondamentali.

I principii sui quali è costituita la teoria delle funzioni ellittiche sono tre: il teorema d'addizione, il principio dell'inversione, e quello della doppia periodicità.

Chiunque conosca gli elementi della trigonometria sa che esistono formule algebriche semplicissime per calcolare il seno e il coseno della somma di due archi mediante i seni e i coseni di questi. Anche il teorema d'addizione delle funzioni ellittiche ha assunto nella sua espressione definitiva una forma analoga. Ma non si è presentato così fin da principio. Fagnano, geometra italiano di molto ingegno, che viveva in una piccola città delle Marche, lungi da ogni movimento scientifico, lo riconobbe da prima studiando le proprietà della Lemniscata di Bernoulli.

Ma fu necessario il genio di Eulero per porre in luce la vera natura di questa proprietà in tutta la sua estensione.

L'altro principio più nascosto, quello della doppia periodicità, non si rivelò che molto più tardi. La periodicità delle funzioni trigonometriche discende immediatamente dalla loro stessa definizione: la doppia periodicità delle funzioni ellittiche non fu scoperta se non quando Abel e Jacobi stabilirono il principio della inversione di queste funzioni, vale a dire se non dopo la profonda rivoluzione che essi suscitarono in questo campo di studi. Mentre Legendre credeva che la teoria delle funzioni ellittiche avesse oramai raggiunto la sua massima perfezione, non se ne era ancora iniziata la parte più brillante.

Abel e Jacobi continuarono poi nella via che avevano tracciato, e andando al di là della teoria delle funzioni ellittiche, costituirono la teoria generale degli integrali delle funzioni algebriche basandola sul teorema di Abel che estende il teorema di addizione, sul principio generale dell'inversione che Jacobi portò alla sua massima estensione, sulla periodicità multipla e sull'impiego delle funzioni che vennero chiamate jacobiane.

Un nuovo principio d'inversione, una concezione nuova della periodicità, un tipo rinnovato di funzioni jacobiane vennero in un sol tratto create dal Poincaré. In questo consiste sostanzialmente la nuova teoria da lui costituita delle funzioni che volle chiamare fuchsiane, la quale è intimamente legata alla integrazione delle equazioni differenziali lineari.

L'integrazione delle equazioni differenziali è il problema più importante del calcolo infinitesimale dopo quello delle quadrature. Le più semplici di esse sono le equazioni lineari. Ne abbiamo subito un esempio immaginando una relazione di primo grado fra lo spostamento, la velocità e l'accelerazione d'un mobile e supponendo che i coefficenti dell'equazione siano funzioni del tempo. L'equazione particolare così ottenuta è del secondo ordine perchè la velocità è la derivata prima, mentre l'accelerazione è la derivata seconda dello spostamento. Si possono però trovare facilmente equazioni differenziali lineari nelle quali compaiono derivate di ordine superiore.

Lagrange ed altri matematici le avevano studiate, ma si deve a Gauss di avere penetrato a fondo le proprietà d'una classe speciale di esse ricollegandola alla sua serie ossia alla funzione ipergeometrica. Riemann, sia in lavori da lui pubblicati, sia in altri rimasti inediti, era arrivato ancora più lungi e sembra che Weierstrass fosse in possesso di molti resultati che non diede mai alla luce. Ma si deve a Fuchs di aver richiamato l'attenzione del mondo scientifico sul nuovo modo di considerare le equazioni differenziali lineari, con un articolo apparso nel 18664. Per farsi un'idea del punto a cui giunse Fuchs si può paragonarlo a quello al quale era arrivato Legendre nel campo delle funzioni ellittiche prima che apparissero i lavori di Abel e di Jacobi.

Per opera del Poincaré la teoria degli integrali delle equazioni differenziali lineari ebbe uno svolgimento che può in certo modo aver riscontro con quello della teoria delle funzioni ellittiche dopo Legendre; svolgimento del tutto nuovo, giacchè solo un primo passo era stato fatto precedentemente in questa via collo studio della funzione modulare.

Gli integrali delle funzioni algebriche si riproducono con l'aggiunta di costanti allorchè si gira intorno ai punti singolari. Da ciò deriva la periodicità delle funzioni ellittiche. In modo analogo l'insieme degli integrali fondamentali di un'equazione differenziale lineare a coefficienti algebrici subisce una trasformazione lineare allorchè si gira attorno ad un punto singolare. Occorreva far scaturire da questa notevole proposizione le proprietà delle funzioni che dovevan dedursi dalle equazioni differenziali lineari con un processo simile a quello della inversione degli integrali ellittici.

Se l'equazione è del secondo ordine, il rapporto di due integrali fondamentali subisce una sostituzione lineare allorchè si percorre un cammino chiuso attorno ad una singolarità. Dunque la variabile indipendente, considerata come funzione del rapporto di due integrali, deve essere invariante per certe sostituzioni lineari di questo rapporto. La proprietà che conveniva sostituire alla periodicità era così trovata e nel tempo stesso anche il principio d'inversione.

Poincaré ha preso come punto di partenza questa idea fondamentale ed interpretando geometricamente le sostituzioni lineari ha cominciato lo studio di quelle fra esse facenti parte di un medesimo gruppo discontinuo. Infatti era evidente che dovevano escludersi i gruppi continui di sostituzioni, perchè le funzioni monodrome, invarianti per gruppi continui di sostituzioni della variabile, debbono essere costanti.

È noto dalla geometria che le sostituzioni lineari corrispondono a trasformazioni del piano per raggi vettori reciproci composte con riflessioni. Queste trasformazioni hanno precipua importanza nella geometria non euclidea come vari matematici, tra cui Beltrami, hanno dimostrato. Poincaré distingue due specie di gruppi: quelli che chiama kleiniani i quali sono i gruppi discontinui più generali, e i gruppi fuchsiani.

Questi ultimi lasciano fisso l'asse reale, ma composti con una nuova sostituzione mantengono invariabile un cerchio chiamato da Poincaré fondamentale. In tale modo questi riconduce la ricerca di tutti i gruppi discontinui alle possibili divisioni regolari del piano e dello spazio. Egli classifica le sostituzioni fuchsiane in diverse famiglie e calcola tutti i gruppi corrispondenti.

Bisognava ora costruire effettivamente le funzioni che sono invariabili per le sostituzioni di questi gruppi; cioè le funzioni fuchsiane.

Jacobi era giunto, partendo dalle funzioni ellittiche, a costruire la funzione Θ ossia quella funzione che venne denominata Jacobiana. Senza essere periodica essa possiede ciò che si è convenuto di chiamare la periodicità di terza specie, perchè aumentando la variabile d'un periodo la funzione si riproduce moltiplicata per esponenziali. Ma Jacobi aveva anche mostrato che la maniera più semplice di trattare la teoria delle funzioni ellittiche consiste nel definire dapprima la funzione Θ, costruendola mediante una serie, e nel trovarne poi le proprietà con procedimento algebrico. Una volta calcolata la funzione Θ, le funzioni doppiamente periodiche, ossia le funzioni ellittiche, si ottengono formando semplici rapporti.

Poincaré seguì un cammino analogo per avere le funzioni fuchsiane: cominciò dal calcolare le serie Θ-fuchsiane e determinò i cambiamenti ch'esse subiscono per sostituzioni lineari della variabile appartenenti ad un gruppo fuchsiano. Formando poi i rapporti delle funzioni Θ-fuchsiane ne riconobbe la invariabilità allorchè si assoggetta la variabile indipendente alle sostituzioni del gruppo stesso.

In tal modo vennero ottenute le nuove trascendenti (le funzioni fuchsiane) la cui introduzione nella matematica creò un ramo nuovo dell'analisi. Noi non entreremo in particolari sulle loro proprietà, nè sui legami loro colle funzioni abeliane e con altre trascendenti e nemmeno parleremo delle numerose questioni di aritmetica, di algebra e di analisi che più o meno direttamente vi si ricollegano. Ma ci conviene accennare alla connessione fra le funzioni fuchsiane e gli integrali delle equazioni differenziali lineari a coefficenti algebrici.

Il procedimento che il Poincarè impiegò per ottenere questa connessione è analogo a quello col quale si collegano gli integrali abeliani, alle funzioni Θ generalizzate ossia alle Θ-abeliane. Perciò egli ricavò le funzioni z-fuchsiane dalle fuchsiane ed espresse mediante queste trascendenti gli integrali che voleva calcolare.

Si è più volte domandato se le funzioni fuchsiane hanno avuto qualche applicazione: ma si può replicare con un'altra domanda: quale importanza deve attribuirsi alle applicazioni d'una teoria matematica? È necessario per saggiare una teoria vederla adoperata in meccanica o in fisica? La teoria delle coniche che i Greci portarono a così mirabile perfezione ebbe forse il suo posto d'onore nella geometria solo il giorno in cui si è creduto che i pianeti descrivessero delle coniche intorno al sole? Non costituiva quella dottrina geometrica un superbo monumento artistico ed una gloria del pensiero umano indipendentemente da ogni sua applicazione?

Ma lasciamo da parte questa discussione che ci porterebbe troppo lungi dalla nostra esposizione, la quale deve abbandonare i lavori di analisi del Poincaré, per passare a quelli da lui compiuti in altri rami delle matematiche.

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Vi sono due specie di fisica matematica che per antica consuetudine si considerano costituenti un sol ramo di scienza e s'insegnano di solito nei medesimi corsi, sebbene esse siano intrinsecamente diverse. Anzi quelli che fan più caso dell'una sdegnano un po' l'altra.

Un'analisi sottile e delicata è penetrata in vari rami della fisica cercando risolvere in maniera completamente rigorosa alcuni problemi fondamentali e sforzandosi di stabilire proposizioni (come i teoremi di esistenza) le quali dal punto di vista matematico e logico formano la base delle varie teorie. Quest'analisi può dirsi costituire la fisica matematica della prima specie.

Io credo di non ingannarmi affermando che molti fisici considerano questa flora matematica come piante parassite del grande albero della filosofia naturale. Ma questo disprezzo è esso giustificato? Nell'evoluzione futura della fisica matematica queste ricerche acquisteranno molto probabilmente importanza sempre maggiore.

Se esponete ad un principiante le proposizioni più elementari di Euclide, egli non si meraviglierà certo degli enunciati, tanto grande è la loro semplicità, ma sarà sorpreso della necessità di dimostrarle, non avendo egli ancora raggiunto un grado di maturità sufficiente per dubitarne. Nello stesso modo certi teoremi che si dimostrano in fisica matematica producono in alcuni un'analoga sorpresa.

Noi non conosciamo abbastanza l'evoluzione preeuclidea della geometria, ma vediamo soltanto la geometria greca nel grado di perfezione a cui Euclide la condusse. Ora è molto probabile che, nel costituirsi della geometria, si sia attraversato un periodo nel quale un disprezzo analogo a quello cui sopra alludemmo si è manifestato, seguito poi da altri periodi nei quali esso è andato poco a poco scomparendo.

Ma vi è un'altra fisica matematica intimamente e inseparabilmente legata alla considerazione intrinseca dei fenomeni naturali, tanto che non si potrebbe concepire alcun progresso nel loro studio senza l'aiuto portato dall'analisi matematica che ne costituisce l'essenza. È possibile pensare alla teoria elettromagnetica della luce, alle esperienze di Hertz, al telegrafo senza fili, senza ricordare che fu l'analisi matematica di Maxwell da cui tutto questo insieme di dottrine, di ricerche e di invenzioni è scaturito?

Il Poincaré dominò le due specie di fisica matematica: egli era un analista senza pari e possedeva il genio proprio del fisico. Noi cercheremo fra i suoi lavori la prova di ciò.

La memoria di Poincaré del 1894 avente il titolo: Sulle equazioni della fisica matematica pubblicata nei rendiconti di Palermo5 è uno dei suoi scritti più importanti. L'autore ricorda in una breve introduzione i lavori di alcuni suoi predecessori; ma la questione ha una lunga storia che io riporterò qui succintamente.

Comincio dall'osservare che il lavoro ha un carattere schiettamente analitico e perciò appartiene alla fisica matematica della prima specie. Donde viene infatti l'interesse della ricerca a cui consacrarono i loro sforzi tanti matematici? Nessun fisico avrebbe potuto dubitare che una membrana elastica deve dare una infinità di suoni di differenti altezze costituenti una scala infinita discontinua che dal tono più grave giunge ai toni più acuti. L'esempio dei suoni prodotti da una corda o da una verga elastica era sufficiente per far intuire ciò che si sarebbe trovato passando dal caso di una dimensione a quella di due dimensioni, ed anche ciò che si sarebbe trovato considerando un corpo vibrante a tre dimensioni. Ma per i matematici era necessario dare una prova rigorosa di queste verità e la dimostrazione ne era molto difficile e nascosta. Nè si deve credere che la ricerca analitica avesse lo scopo di calcolare effettivamente le altezze dei suoni: ogni applicazione pratica era lungi dal pensiero dei matematici i quali avevano di mira soltanto il lato logico della questione. L'interesse veniva aumentato dalla difficoltà, onde la questione appassionava vivamente le menti dei matematici.

Ci si poteva render conto del resultato a cui si doveva giungere non solamente ricorrendo all'analogia sopra indicata, ma mediante un processo induttivo di singolare importanza filosofica.

Lagrange aveva riservato un intero capitolo ed uno dei più belli della sua meccanica analitica alla teoria dei piccoli movimenti6. In esso l'autore riesce ad eseguire completamente la integrazione ottenendo formule di mirabile semplicità. I periodi di vibrazione d'un numero finito di molecole collegate da vincoli arbitrari, e oscillanti attorno ad una posizione di equilibrio, stabile, resultano le radici d'una equazione algebrica.

Ora, ogni sistema continuo può concepirsi come un insieme di infinite molecole disposte in uno spazio a una, due o tre dimensioni; secondochè si consideri una corda, una membrana o un corpo solido. Basta dunque sostituire al numero finito di molecole di Lagrange l'insieme adesso considerato, per estendere il suo risultato ai vari casi. Questo processo mostra in modo chiaro e suggestivo l'andamento del fenomeno, ma non costituisce da solo, senza ulteriore sviluppo, una dimostrazione atta a soddisfare i matematici.

La questione analoga a quella della teoria del suono, ora considerata, si presenta in altri casi della fisica matematica, per esempio: nella teoria delle vibrazioni elettromagnetiche ed in quella del calore.

Un solo risultato era stato ottenuto in maniera sicura e completamente soddisfacente fin dal 1885, ed era la dimostrazione analitica dell'esistenza del suono fondamentale ossia del primo armonico, il quale corrisponde alla mancanza di nodi e di linee nodali nella membrana vibrante. Ad esso era giunto Schwarz studiando la teoria delle superficie minime, cioè di quelle in cui si dispongono in equilibrio le lamine liquide sottili dotate di tensione superficiale, come quelle d'acqua saponata7. Nel problema di calcolo delle variazioni al quale si era così condotti, conveniva distinguere i massimi dai minimi e per conseguenza considerare la questione seguente: una funzione di due variabili si annulla al contorno di un campo a due dimensioni; il rapporto del suo parametro del secondo ordine al suo valore è una costante negativa in tutti i punti del campo. Qual'è il minimo valore assoluto di questo rapporto? Ora poichè il problema dei suoni dovuti alle vibrazioni d'una membrana consiste nel trovare tutti i valori di questo rapporto, così il problema approfondito da Schwarz non ne costituisce che un caso particolare.

Si trattava dunque d'andare innanzi e di trovare tutti gli altri valori successivi al minimo di Schwarz. Picard aveva scoperto delle notevolissime proprietà e dimostrato l'esistenza del secondo armonico. Poincaré aveva già attaccata la questione in un lavoro pubblicato nel giornale americano di matematica, ma in questo lavoro egli fu ben lungi dall'ottenere la soluzione generale.

Lo scopo venne pienamente raggiunto in quello che ci proponiamo di esaminare.

Il teorema di Lagrange faceva intuire che i differenti suoni avrebbero corrisposto alle radici di una funzione trascendente e perciò Poincaré si propose la costruzione di una di tali funzioni o per dir meglio cercò provarne l'esistenza. A tal fine egli aggiunse un termine alla sua equazione e così, quella che egli prese a considerare era costituita da tre termini: il primo, il parametro differenziale di secondo ordine; il secondo, la funzione incognita moltiplicata per una nuova variabile indipendente; l'ultimo, una funzione arbitraria.

Noi chiameremo questa equazione, l'equazione ausiliaria: l'equazione primitiva si otterrà sopprimendone l'ultimo termine. Poincaré calcola la funzione arbitraria componendo linearmente le funzioni mediante coefficienti costanti indeterminati e sviluppa la funzione incognita (nulla al contorno) in una serie di potenze della nuova variabile introdotta, resultato che egli raggiunge impiegando le funzioni di Green. Egli ottiene così una funzione analitica il cui sviluppo è valido nell'interno d'un cerchio e che può calcolarsi come rapporto di due funzioni, una delle quali (il denominatore) è indipendente dalle variabili d'integrazione. Con un procedimento di mirabile sottigliezza mostra che si posson scegliere i coefficienti indeterminati, di cui parlammo sopra, in modo che queste due funzioni siano intere.

Allora sostituisce alla funzione incognita il rapporto di queste funzioni e dà forma intera alla equazione moltiplicandone ambo i membri per il denominatore. Si vede subito che allorquando questo si annulla la equazione ausiliaria si riduce all'equazione primitiva; perciò tutte le radici del detto denominatore danno i valori che si cercano. Niente dunque di più semplice di questo processo che si è potuto riassumere così brevemente. Ma quale finezza di pensiero e quale fecondità di risultati in esso si racchiude!

Io non ho esposto che la prima parte della memoria di Poincaré: lo studio delle radici, quello delle funzioni che risolvono l'equazione primitiva, le loro proprietà, gli sviluppi che ne seguono, le applicazioni ai problemi acustici e a quelli della teoria del calore, ne costituiscono le parti successive, e formano un insieme di risultati di fondamentale importanza che vennero poi impiegati da altri nello studio di numerosi problemi analoghi.

Questa classica memoria è uno dei più bei monumenti innalzati dal genio di Poincaré, però nell'evoluzione successiva della scienza si sono aperte altre vie per studiare gli stessi problemi giovandosi delle equazioni integrali. Noi non entreremo in questi sviluppi, oggi ben conosciuti, ma intraprenderemo l'esame di altre questioni e di altri lavori del Poincaré.

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Pochi anni fa, in un certo periodo, si è forse potuto sospettare che le teorie atomiche e corpuscolari declinassero, giacchè taluni pensavano di poter tutto spiegare in natura col continuo. In fisica matematica le equazioni differenziali alle derivate parziali dei vari problemi si ottenevano abbandonando le ipotesi molecolari e nella chimica stessa si insinuava l'idea dell'inutilità degli atomi.

Ma le leggere nubi che sembravano offuscare le teorie corpuscolari si dileguarono rapidamente e le teorie stesse sono risorte vittoriose illuminando di più vivida luce l'intero campo della filosofia naturale. Fu anzi necessario sviluppare ulteriormente le vecchie teorie atomiche. L'elettricità si dovette ritenere di natura corpuscolare e, poco a poco, in ogni ramo sono sorti nuovi atomi: così l'energia raggiante diede luogo alla teoria dei quanta. I fatti via via scoperti si accordavano mirabilmente colle nuove teorie ed esse divennero alla lor volta sorgente ricca e feconda di altre scoperte, tanto che il credito loro venne aumentando di giorno in giorno. E si fece talmente solido che, quando fatalmente si presentarono delle contraddizioni, non si pensò a liberarsi dai nuovi concetti, ma al contrario non si esitò a sacrificare antichi principî ritenuti per l'innanzi come indiscutibili.

Poco a poco quelle teorie classiche che sembravano poggiate su basi incrollabili furono scosse; la meccanica che, dall'epoca di Galileo e di Newton, si considerava come la scienza più solida è stata sconvolta, ed una nuova meccanica, quella della relatività, si è costituita. Ma già oggi la prima forma di essa appare una meccanica invecchiata ed una nuova relatività spunta sull'orizzonte scientifico.

Poincaré ebbe larga parte nella trasformazione dell'antica fisica, e nella creazione della più recente. La sua critica e la sua analisi penetrarono e s'infiltrarono nelle concezioni moderne. Egli si appassionò per queste questioni fino agli ultimi suoi giorni e dedicò vari articoli per sviscerarle e talune delle sue ultime conferenze per volgarizzarle. Perciò, come Poincaré può annoverarsi fra i creatori della prima specie di fisica matematica, può anche dirsi maestro nella seconda.

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Dopo le scoperte di Maxwell ed i lavori di Hertz l'elettrodinamica dei corpi in riposo non presentò più serie difficoltà, mentre quella dei corpi in moto diede luogo a numerose discussioni. L'ipotesi proposta da Hertz per passare dal caso della quiete a quello del movimento dovette abbandonarsi, perchè in contraddizione coi dati sperimentati, i quali invece confermarono la teoria di Lorentz.

La celebre scoperta di Zeeman fu un brillante trionfo di quest'ultima perchè verificò lo sdoppiamento delle righe dello spettro in un campo magnetico che i calcoli di Lorentz facevano prevedere.

La teoria di Lorentz fu la sorgente di nuovi concetti, perchè diede origine alla meccanica della relatività. Infatti una questione fondamentale si presentò subito, se era cioè possibile mettere in evidenza il moto assoluto dei corpi o piuttosto i loro movimenti per rapporto all'etere mediante fenomeni ottici o elettromagnetici. In altri termini si fu condotti a verificare se i fenomeni ottici o elettromagnetici possono servire ad individuare il moto assoluto della terra.

Se si tien conto soltanto della prima potenza dell'aberrazione il moto della terra non ha influenza sui fenomeni stessi come l'esperienza verifica abbastanza facilmente, mentre la teoria di Lorentz spiega perfettamente questo resultato negativo.

Ma un'esperienza celebre di Michelson e Morley nella quale si poteva tener conto anche di termini dipendenti dal quadrato dell'aberrazione diede pure, come è ben noto, resultato negativo.

In una memoria classica del 1904 Lorentz mostrò che si poteva dar ragione anche di questo risultato coll'ipotesi che tutti i corpi siano soggetti ad una contrazione nel senso del moto terrestre8. Questa memoria fu il punto di partenza delle successive ricerche e dei lavori di Poincaré, di Einstein e di Minkowski.

Poincaré nel 1905 pubblicò nei Comptes Rendus de l'Académie des Sciences una succinta esposizione delle sue idee mentre un'estesa memoria di lui apparve poco dopo nei rendiconti di Palermo9.

Base fondamentale di tutte queste ricerche è la negazione aprioristica di esperienze atte a mettere in evidenza il moto assoluto, ed essa costituisce il postulato della relatività. Lorentz aveva mostrato che quelle trasformazioni alle quali si è dato il suo nome non alterano le equazioni di un mezzo elettromagnetico. Due sistemi: l'uno immobile, l'altro in traslazione, sono così l'immagine esatta l'uno dell'altro, per cui si può imprimere ad ogni sistema un moto traslatorio senza che nessuno dei fenomeni apparenti venga modificato.

Nella teoria di Lorentz un elettrone sferico si contrae nella direzione del moto e assume la forma di un ellissoide schiacciato longitudinalmente rimanendo invariati gli assi trasversali. Poincaré ha trovato la forza che spiega contemporaneamente la contrazione di un asse e la invariabilità degli altri due la quale consiste in una pressione esterna costante agente sull'elettrone deformabile e compressibile; il lavoro di questa forza è proporzionale alla variazione di volume dell'elettrone. In tal modo se l'inerzia e tutte le forze fossero di origine elettromagnetica il postulato della relatività potrebbe essere stabilito rigorosamente.

Ma, secondo Lorentz, tutte le forze, qualunque ne sia l'origine, sono affette dalla sua trasformazione nello stesso modo delle forze elettro-magnetiche. Come dovremo dunque modificare le leggi della gravitazione in virtù di questa ipotesi?

Poincaré trova che la propagazione della gravitazione deve farsi con la velocità della luce, ma si poteva dubitare, in seguito alle classiche ricerche di Laplace, che ciò fosse in contraddizione con le osservazioni astronomiche. Questo dubbio può dissiparsi, perchè, secondo il Poincaré, vi è un compenso che toglie ogni contraddizione. Egli fu così condotto a proporsi ed a risolvere la seguente questione: trovare una legge che mentre soddisfa alla condizione di Lorentz si riduce alla legge di Newton allorchè i quadrati delle velocità degli astri sono trascurabili rispetto al quadrato della velocità della luce.

Tali sono i concetti fondamentali di Poincaré che colpirono subito per la loro profondità ed il loro interesse il mondo scientifico. Egli fece uso nella sua trattazione del principio della minima azione e della teoria dei gruppi di trasformazione giacchè le trasformazioni di Lorentz formano un gruppo10. Ci basti di aver ricordati questi concetti. Essi hanno formato l'oggetto di tanti lavori scientifici e di tante conferenze popolari che sono ora universalmente noti e la loro importanza è ovunque apprezzata.

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Noi finiremo coi lavori di meccanica del Poincaré, i quali costituiscono la parte della sua opera più difficile ad analizzarsi. Egli si è occupato di quasi tutti i rami della meccanica analitica: dei problemi di stabilità, di meccanica celeste, d'idrodinamica, del potenziale. Il problema dei tre corpi fu oggetto di numerose e celebri sue ricerche che sollevarono una profonda rivoluzione nei metodi classici. È ben noto che la memoria del Poincaré sul problema dei tre corpi e sui problemi della dinamica fu premiata nel 1889 nel concorso istituito dal re Oscar di Svezia11. Questa memoria fu seguita da poderose opere del Poincaré fra cui ricordiamo i tre volumi sui nuovi metodi della meccanica celeste e le sue lezioni della Sorbona12. L'ultima opera didattica del Poincaré fu consacrata all'esposizione e alla discussione delle diverse ipotesi cosmogoniche13.

Le idee fondamentali che lo guidarono nei problemi di astronomia matematica furono: la considerazione delle soluzioni periodiche, lo studio delle serie che risolvono il problema dei tre corpi, l'impiego degli invarianti integrali.

Le soluzioni periodiche del problema dei tre corpi si presentano allorchè le loro mutue distanze sono funzioni periodiche del tempo. Alla fine di un periodo i tre corpi si trovano nelle stesse condizioni relative iniziali, giacchè tutto il sistema non ha fatto che ruotare d'un certo angolo.

Il Poincaré è condotto a distinguere tre classi di queste soluzioni considerando le eccentricità e le inclinazioni. Egli esamina anche le soluzioni assintotiche che si avvicinano indefinitamente a quelle periodiche per valori infinitamente grandi, positivi o negativi del tempo.

Gli studi sulle soluzioni periodiche, oltre ad essere di notevole interesse teorico, hanno ancora importanti applicazioni pratiche. È facile comprendere che nei casi reali è poco probabile avere delle condizioni iniziali del moto tali da corrispondere a soluzioni periodiche; nondimeno prendendo una di esse come punto di partenza si può giungere a studiarne altre poco diverse dalle periodiche impiegando procedimenti di approssimazioni successive.

È ben noto che una bella applicazione di questo metodo alla teoria della luna, era stata già fatta in modo originale da Hill.

La questione della divergenza delle serie della meccanica celeste ha grande importanza e si presentò subito come una delle questioni più interessanti delle matematiche. È possibile impiegare serie divergenti e per mezzo di esse giungere alla soluzione approssimata di problemi pratici? L'esempio della serie di Stirling fa rispondere affermativamente a questa domanda. Serie analoghe si presentarono in meccanica celeste, ed il Poincaré dimostrò che esse possono fornire soluzioni sufficientemente approssimate per i bisogni pratici.

Il celebre teorema sulla non ulteriore esistenza di integrali uniformi, il quale stabilisce che il problema dei tre corpi non ha integrali uniformi, oltre quelli già da lungo tempo conosciuti, è uno dei risultati della teoria del Poincaré che ha maggiormente interessato i cultori della meccanica celeste.

Gl'invarianti integrali ebbero parte notevole nell'insieme di ricerche di cui parliamo. Essi sono espressioni (calcolate eseguendo quadrature sulle variabili delle equazioni differenziali) le quali restano costanti. Tali invarianti sono strettamente collegati al problema fondamentale della stabilità.

Ma non sarebbe possibile ricordare tutte queste teorie e tanto meno esporle in maniera succinta, nè ci sono qui consentiti troppi lunghi sviluppi. Come noi abbiamo fatto per le memorie di analisi e per quelle di fisica matematica, così anche in meccanica cercheremo di approfondire una ricerca speciale del Poincaré atta a svelarci la potenza del suo genio e la sua mirabile originalità.

Quella che sceglieremo si collega da un lato alla idrodinamica, dall'altro alle questioni classiche di meccanica celeste e, come mostrò Sir Giorgio H. Darwin, alle più moderne ed interessanti teorie cosmogoniche.

Si tratta del problema dell'equilibrio d'una massa fluida rotante14, questione che si è presentata fin dall'epoca stessa nella quale venne creata la teoria della gravitazione universale.

Mac Laurin riconobbe per primo che l'ellissoide di rivoluzione è una forma di equilibrio e questo teorema è forse il più bel risultato apportato alla scienza da questo grande matematico.

Jacobi, con geniale intuizione, dubitò della necessità che la figura di equilibrio d'una massa fluida rotante dovesse essere simmetrica rispetto all'asse di rivoluzione, il che prima di lui era ritenuto come cosa evidente ed ottenne la soluzione del problema di equilibrio mediante ellissoidi a tre assi diseguali.

Ma i risultati di Mac Laurin e di Jacobi sono soluzioni particolari del problema generale, il quale ne ha infinite altre. Inoltre è da osservare che le dette soluzioni si ottengono solo con una verifica a posteriori, mostrando cioè, che allorquando certe condizioni sono soddisfatte, gli ellissoidi verificano le leggi dell'equilibrio.

Prima di giungere alle ricerche del Poincaré, ricordiamo che Thomson e Tait avevano dimostrato nel loro trattato di filosofia naturale15 che oltre gli ellissoidi esistono delle forme anulari di equilibrio ed avevano studiato la stabilità della massa fluida sia imponendo certi vincoli (come quello di aver forma simmetrica di rivoluzione, o di aver forma ellissoidale) sia sopprimendo qualsiasi vincolo.

L'idea feconda escogitata dal Poincaré fu quella degli equilibri di biforcazione. Consideriamo un sistema il cui stato dipenda da un parametro, per esempio una massa fluida animata da un moto di rotazione; in tal caso il parametro sarà la velocità angolare. Supponiamo che ad uno stesso valore di esso corrispondano diversi stati di equilibrio del sistema. Mutando questo valore cambiano pure le configurazioni o le figure di equilibrio e, può avvenire che avvicinandosi ad un certo limite, due di esse vengano a confondersi l'una nell'altra, ossia costituiscano una forma unita. Oltrepassando il valore limite possono presentarsi due casi. Le figure di equilibrio spariscono e ciò si esprime con linguaggio algebrico dicendo che divengono imaginarie: questo è il primo caso ed allora la forma unita si chiama una forma limite. Ma può accadere che, oltrepassando il valore limite, le due figure ricompariscano. Questo è il secondo caso ed allora si dice che la forma unita è una forma di biforcazione. Supponiamo che si possa rappresentare ogni singola figura di equilibrio con un punto d'un piano le cui coordinate sono il valore del parametro ed una variabile che individua la figura. Se facciamo variare il parametro si otterrà una curva, la quale, nel secondo caso, sarà costituita da due rami intersecantisi nel punto di biforcazione. Ora Poincaré ha scoperto un teorema di straordinaria importanza relativo alla stabilità delle figure corrispondenti ai vari punti dei due rami.

Supponiamo che il parametro si annulli nel punto di intersezione; se per i valori negativi di quello vi è stabilità sul primo ramo e instabilità sul secondo, il contrario avverrà per i valori positivi cioè vi sarà instabilità sul primo ramo e stabilità sull'altro.

Ciò si enuncia dicendo che vi è scambio di stabilità fra i due rami al loro incrocio, e questa proposizione fu chiamata dal Poincaré il teorema dello scambio di stabilità.

Applichiamo ora questi risultati al problema della rotazione dei fluidi omogenei. Tanto nella soluzione di Mac Laurin che in quella di Jacobi l'asse di rotazione è sempre l'asse minore dell'ellissoide e perciò i suoi rapporti con gli altri assi sono minori dell'unità, e sono uguali fra loro nel caso di Mac Laurin, diversi in quello di Jacobi. Se noi prendiamo questi rapporti come coordinate d'un punto del piano, ogni ellissoide sarà individuato da un punto indice ed il loro insieme da una linea. La bisettrice OA degli assi (vedi fig. 1) rappresenterà gli ellissoidi di Mac Laurin ed il punto A situato all'unità di distanza dagli assi corrisponderà alla forma sferica e quindi ad una velocità angolare nulla. Gli ellissoidi di Jacobi saranno rappresentati da una linea BCD.

Ma Poincaré ha trovato nuove figure di equilibrio deformando questi ellissoidi e ne ha calcolato esattamente la forma che, nel caso più semplice, è quella d'una pera (vedi fig. 2) mediante le funzioni di Lamé. Si dimostra che vi sono infiniti ellissoidi di Mac Laurin corrispondenti ai punti della retta CO per i quali esiste una figura di Poincaré infinitamente vicina che è pure figura di equilibrio. Vi sono inoltre un'infinità di punti M, M1, M2,.... M, M'1, M'2.... della curva per i quali esiste una figura di Poincaré vicina che è pure figura di equilibrio.

Esaminiamo ora la stabilità. Gli ellissoidi di Mac Laurin sono stabili nel tratto AC instabili in quello CO. Gli ellissoidi di Jacobi sono stabili a partire da C fino al primo punto M o M' per il quale si incontra per la prima volta una figura di Poincaré, instabili dopo aver oltrepassati i punti M e M'.

Ciò posto passiamo ad una applicazione di questa teoria. Cito le parole stesse di Poincaré16:

«Consideriamo una massa fluida omogenea animata inizialmente da un moto di rotazione e che lentamente si raffreddi. Se il raffreddamento è molto lento l'attrito interno determina la rivoluzione dell'insieme con la stessa velocità angolare in tutte le sue parti, mentre il momento di rotazione rimane costante.

» Al principio la densità essendo debolissima, la figura della massa è un ellissoide di rivoluzione poco diverso da una sfera. Il raffreddamento avrà dapprima per effetto di aumentare lo schiacciamento dell'ellissoide, il quale nondimeno si conserverà di rivoluzione.

» Il punto indice descriverà il segmento AC che corrisponde agli ellissoidi di Mac Laurin fino in C, punto nel quale essi cessano di essere stabili (fig. 1).

» L'indice non potendo prendere il cammino CO prenderà allora, per esempio, la direzione CM, l'ellissoide diverrà a tre assi ineguali e ciò fino in M, punto nel quale gli elissoidi di Jacobi cessano di essere stabili. A partire da questo momento la massa non può più conservare la forma ellissoidica poichè essa è diventata instabile; prenderà dunque la sola forma possibile, quella della superficie vicina all'ellissoide la quale ha una figura piriforme, presentando una specie di strozzamento nella regione segnata 3 (fig. 2), mentre le regioni 2 e 4 tendono a gonfiarsi a spese delle regioni 1 e 3, come se la massa tendesse a dividersi in due parti ineguali.

» È difficile prevedere ciò che avverrà poi. Si può pensare che si formerà un solco sempre più profondo nella regione 3 e la massa finirà per spezzarsi in due corpi distinti».

I risultati che abbiamo ora presentati sono di massima eleganza e di immenso interesse. Sir Giorgio H. Darwin ha pensato che il processo che abbiamo seguito possa aver avuto parte importante nell'evoluzione del sistema cosmico e questa teoria sembra confermarsi in seguito alle osservazioni di molte nebulose. Anche certi satelliti potrebbero esser stati formati in questo modo a spese del loro pianeta. È anzi probabile che ciò sia avvenuto nel caso del sistema terra-luna date le grandezze relative delle due masse.

Termineremo l'analisi dei lavori del Poincaré con questi grandiosi concetti che accoppiano le teorie più sottili ed ingegnose della meccanica alle più ardite ipotesi della cosmogonia.

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Non ho potuto dare in questo scritto se non una pallida idea del grande lavoro compiuto dal Poincaré, dei problemi ch'egli ha trattati, dell'immenso campo della scienza ch'egli ha scoperto ed esplorato e che le future generazioni dei matematici coltiveranno.

È destino dei sublimi ingegni, i quali hanno dato la chiave di tanti oscuri problemi ed hanno appagato tanta curiosità scientifica, di accrescere la curiosità stessa ed il desiderio di sapere, coll'aprire nuovi orizzonti alla scienza e coll'allontanare la mèta delle aspirazioni scientifiche.

1 Vedi Oeuvres de Henri Poincaré, Tome II, (il solo pubblicato), Paris, Gauthier, Villars, 1916.

2 Vedi il secondo di questi Saggi.

3 Vedi Oeuvres de Lagrange, T. IX. Théorie des fonctions analytiques;T. X, Calcul des fonctions, Paris, Gauthier Villars, 1881, 1884.

4 Giornale di Crelle, T. 66.

5 Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, T. VIII.

6 Oeuvres de Lagrange, Tome XI, Seconde partie, Section VI. Paris, Gauthier Villars, 1888.

7 Acta societatis scientiarum Fennicae, T. XV.

8 Amsterdam Proceeding, 1903-1904, pag. 809.

9 Sur la Dynamique de l'électron par M. H. Poincaré, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, T. 21, 1906.

10 Cfr. Marcolongo e Burali Forti, Analyse Vectorielle générale II. Applications, Cap. VI, Pavia, 1913.

11 Acta mathematica, T. 13, Stockholm, 1890.

12 Les méthodes nouvelles de la Mécanique céleste par H. Poincaré, Paris, Gauthier Villars, 1892-1899. Leçons de Mécanique céleste proféssées à la Sorbonne par H. Poincaré, Paris, Gauthier Villars, 1905-1910.

13 Leçons sur les hypothèses cosmogoniques professées à la Sorbonne par H. Poincaré, Paris, Hermann, 1911.

14 Sur l'èquilibre d'une masse fluide animée d'un mouvement de rotation par H. Poincaré, Acta Mathematica, T. VII, Stokholm, 1885.

15 Treatise on natural philosophy by Sir William Thomson and P. G. Tait, Vol. I, Part. II, Cambridge, 1883.

16 Leçons sur les hypothèses cosmogoniques par H. Poincaré, già citate, pag. 188.