Sui tentativi di applicazione delle matematiche alle scienze biologiche e sociali

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Sui tentativi di applicazione delle matematiche alle scienze biologiche e sociali
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La sostanza di questo articolo costituì il discorso inaugurale letto nella solenne apertura della Università di Roma nel 1901 e pubblicato nell'Annuario della Università dell'anno 1901-902, riprodotto poi nel Giornale degli Economisti, Serie II, vol. 23, 1901. Esso fu stampato in Francese nella Revue du Mois, anno I, n.° I. Paris, Soudier, 1906, quindi nel vol. III, fasc. II, dell'Archivio di fisiologia (Firenze, gennaio 1906).



Anatole France, quell'acuto e geniale filosofo e romanziere, delizia di tanti delicati lettori, racconta questo aneddoto.

Alcuni anni fa, dice, visitavo in una grande città d'Europa le gallerie di storia naturale insieme con uno dei conservatori, il quale mi descriveva con la maggior compiacenza gli animali fossili.

Egli mi istruì benissimo fino ai terreni pliocenici; ma, allorchè ci trovammo dinanzi ai primi vestigi dell'uomo, volse la testa ed alle mie domande rispose che quella non era la sua vetrina.

Sentii la mia indiscrezione. Non bisogna mai domandare ad uno scienziato i segreti dell'universo che non sono nella sua vetrina.


Se ad uno spirito fine, ma talvolta paradossale, come Anatole France, è permesso concludere dalla sua ingenua avventura che gli scienziati sono la gente meno curiosa del mondo, e che per ciascuno di essi ciò che si trova fuori della propria vetrina non lo interessa, noi ci guarderemo bene dal trarne una conseguenza; ma considereremo piuttosto quel fatto come un simbolo che rappresenta la naturale e spesso giustificata ritrosia che hanno coloro che si dedicano agli studi di esporre idee ed affermazioni fuori del campo in cui si svolgono di solito i loro pensieri ed in cui si aggira la loro attività scientifica.

Ma negli uomini di scienza la curiosità è ben grande di guardar fuori e lontano; vivo è il desiderio di frugare nella vetrina degli altri per ben conoscere il valore della propria, ed il fare talvolta un inventario comune fra colleghi vince quel riserbo che tratteneva l'amico di Anatole France dinanzi ad un estraneo.

Ed in chi si è dedicato agli studi di matematiche tale curiosità e simile desiderio son molto maggiori che non in coloro che si occupano di altre discipline.

Il matematico si trova in possesso di uno strumento mirabile e prezioso, creato dagli sforzi accumulati per lungo andare di secoli dagli ingegni più acuti e dalle menti più sublimi che sian mai vissute. Egli ha, per così dire, la chiave che può aprire il varco a molti oscuri misteri dell'Universo, ed un mezzo per riassumere in pochi simboli una sintesi che abbraccia e collega vasti e disparati risultati di scienze diverse.

Mentre egli impiega la propria vita e le forze del suo ingegno nell'affinare e perfezionare i suoi metodi, e nel renderli adatti e pronti ad ogni più delicata ricerca e ad una sempre più vasta comprensione di fatti, è di continuo premuto da un'onda crescente di studiosi che lo richiedono di aiuto e spesso sperano da lui più di quanto egli non possa.

È dato solo a rari spiriti, altamente speculativi, spaziare nella sfera dei numeri e degli enti astratti della geometria e della logica, restando indifferenti ed estranei a tutto ciò che si agita, vive e si trasforma d'intorno, lavorando al solo fine della gloria del pensiero umano.

È naturale invece nei più il desiderio di volger la mente fuori della cerchia della pura analisi matematica; d'informarsi, di comparare la riuscita dei vari mezzi di cui essa dispone, e classificarli in vista delle loro applicazioni, onde poter rivolgere la propria attività a perfezionare i più utili, a rafforzare i più deboli, a crearne dei più potenti.

Ma è intorno a quelle scienze nelle quali le matematiche solo da poco tempo hanno tentato d'introdursi, le scienze biologiche e sociali, che è più intensa la curiosità, giacchè è forte il desiderio di assicurarsi se i metodi classici, i quali hanno dato così grandi risultati nelle scienze meccanico-fisiche, sono suscettibili di essere trasportati con pari successo nei nuovi ed inesplorati campi che si dischiudono loro dinanzi.


Cedendo al desiderio di esporre l'impressione che un matematico può provare dinanzi ad alcuni di questi nuovi tentativi, messi a confronto colle classiche applicazioni delle matematiche, io mi permetto di escire dall'àmbito dei miei studi, per brevemente aggirarmi in un campo limitato impari certo al soggetto, il quale collegato strettamente ai più grandi problemi della filosofia e della storia delle scienze, sarebbe per sè tanto vasto.

Il seguire infatti e comparare gli antichi e nuovi cammini che le matematiche han tenuto, infiltrandosi nei vari rami dello scibile; il veder l'effetto che in essi si è suscitato e quello che le matematiche per naturale reazione han risentito; lo sviscerare le mutue relazioni che ne son nate, mentre offrirebbe un quadro grandioso ed una superba sintesi di una gran parte del lavoro compiuto dall'umano pensiero e darebbe una guida nel suo futuro progredire, sarebbe argomento d'immane studio assai superiore alle mie forze.

Prima di ogni altra cosa credo necessario chiarire un punto molto delicato attinente al nostro soggetto.

Dalle matematiche alcuni si aspettano troppo poco, ed altri troppo, e ciò spiega la fredda diffidenza degli uni, l'entusiasmo caldo degli altri per le nuove loro applicazioni.

Se è vero il detto che esse non rendono altro che ciò che loro si dà, e che l'analisi nulla aggiunge di essenziale ai postulati che costituiscono il substrato di ogni svolgimento matematico, d'altra parte è pur noto che le matematiche son la strada maestra per giungere alle leggi generali e la guida più sicura per immaginare nuove ipotesi, ossia per cangiare e perfezionare quegli stessi postulati che formano la base di ogni singola trattazione; giacchè offrono il mezzo più squisito per saggiarli, portandoli dal campo dell'astrazione a quello della realtà. Ed invero, nulla meglio del calcolo permette di compararne esattamente le conseguenze più lontane coi dati delle osservazioni e delle esperienze.

Ma la storia della scienza è pronta ancora a dimostrarci qualche cosa di più e ad indicarci una più efficace e diretta cooperazione delle matematiche alla percezione e comprensione della natura.

Allorchè col calcolo veniamo a stabilire l'andamento preciso di due fenomeni, in apparenza diversi, e troviamo una identità nel modo col quale essi avvengono, o, come si dice, troviamo che son regolati dalle stesse equazioni, non vi è spesso che un sol passo per concludere che i due fatti costituiscono due apparenze di un fatto solo.

Tale e non altro fu il procedimento col quale il Maxwell giunse a riconoscere che le perturbazioni elettro-magnetiche e la luce sono la stessa cosa; memorabile scoperta che aprì la via alle ricerche di Hertz, che ebbero tanta influenza sulla fisica moderna, e ispirarono le pratiche invenzioni di Ferraris e di Marconi.

Nessuno può quindi dire al geometra a quali ampi orizzonti condurrà lo stretto e spinoso sentiero che il calcolo gli fa seguire.

Avrebbe forse sospettato lo stesso Lagrange, allorchè ideava la meccanica analitica, che egli non solo creava un potente metodo ed una guida sicura in ogni più difficile questione della scienza del moto e dell'equilibrio, ma che le sue formule sarebbero divenute un giorno, nelle mani di uomini di genio come Maxwell e Helmholtz, così comprensive da abbracciare e dominare tutti i fenomeni del mondo fisico?


Eppure se tanta è l'importanza dell'analisi, è necessario limitarne al suo giusto grado la portata.

Disgraziatamente i matematici di professione sono separati dal resto del mondo da una barriera di simboli, che danno un certo aspetto di mistero alle loro elucubrazioni ed alle opere loro, tanto che i non iniziati ai segreti del calcolo e dell'algebra si fanno talora l'illusione che i loro mezzi siano di una natura diversa da quelli di cui il comune ragionamento dispone.

È un errore analogo a quello che fan molti sulla potenza delle macchine delle quali è celato ed oscuro il meccanismo.

Ebbene, fra il ragionamento grossolano, che anche a chi è ignaro del calcolo pur fa prevedere in molti casi l'andamento di certi fenomeni ed il meccanismo delle forze che li governano, ed il ragionamento sottile del geometra che, da un insieme artifizioso di simboli algebrici, in una maniera che spesso desta meraviglia anche nei più esercitati e rotti alle disquisizioni analitiche, giunge al resultato che precisa l'andamento degli stessi fenomeni naturali, non corre quel divario che a tutta prima parrebbe. Anzi, se esaminiamo le cose con accuratezza, si vedrà che quest'ultimo sottile procedimento non è altro in sostanza che il primo rozzo ragionamento più perfezionato ed affinato. Ed oltre a ciò si può dire che nella mente del geometra quel primo rozzo ragionamento ha preceduto il calcolo e lo ha guidato, indicandogli su per giù dove doveva arrivare e quanto gli era permesso tentare.

In certo modo esso rappresenta la greggia armatura su cui l'intiero edificio analitico è costruito. Ma quando noi vediamo il lavoro compiuto, ci troviamo in presenza di un monumento magnifico che è già stato spogliato di tutti i ponti e i sostegni. I puntelli che hanno servito a reggere la cupola in costruzione sono spariti, ed essa appare agli occhi meravigliati di chi la guarda come un miracolo di costruzione.

Non con soverchie speranze quindi, nè avendo nell'animo illusioni spesso dannose, ma nemmeno con indifferenza, deve essere accolto ogni nuovo tentativo di sottoporre al calcolo fatti di qualsiasi specie.


Il passaggio di una scienza dall'epoca che dirò prematematica a quella in cui essa tende a divenir matematica, resta caratterizzato da ciò: che gli elementi, che essa studia, vengono esaminati in modo quantitativo anzichè qualitativo; onde in questa transizione le definizioni che richiamano soltanto alla mente l'idea degli elementi stessi con una immagine più o meno vaga, cedono man mano il posto a quelle definizioni o a quei principii che li determinano, offrendo invece il modo di misurarli.

Quale importanza, per esempio, nella meccanica Newtoniana viene ad avere il primitivo concetto di forza espresso nei termini: «la forza è la causa di moto», di fronte alle due prime leggi che non danno in fondo altra cosa che il modo di misurarla? Tanto poco, che in alcuni moderni tentativi di rifacimento della meccanica la stessa parola forza, quest'ultimo residuo verbale di personificazione nel mondo inorganico, potè essere soppressa, soli restando a sostituirla quegli elementi che combinati ne danno la grandezza.

In virtù di questo classico ricordo e di tanti altri analoghi, che facilmente potrebbero citarsi, salutiamo con gioia il tentativo di Galton di misurare numericamente certi elementi della teoria dell'evoluzione organica, come la eredità e la variazione1.

Forse il Galton in questa via non ha mosso che il primo passo, e forse sono da accogliersi le critiche rivolte ai suoi resultati e molto dovremo cambiare in ciò che egli ha fatto; ma dobbiamo pur riconoscere che l'alba di un nuovo giorno appare col sorgere del metodo da lui inaugurato.

Però, il tradurre nel linguaggio dell'aritmetica o della geometria i fatti della natura, è piuttosto schiudere il varco alle matematiche che non porre in opra lo strumento dell'analisi.

Lo studiare le leggi con cui variano gli enti suscettibili di misura, l'idealizzarli, spogliandoli di certe proprietà o attribuendone loro alcune in modo assoluto, e lo stabilire una o più ipotesi elementari che regolino il loro variare simultaneo e complesso; ciò segna il momento in cui veramente si gettano le basi sulle quali potrà costruirsi l'intero edificio analitico.

Ed è allora che si vede rifulgere tutta la potenza dei metodi, che la matematica largamente pone a disposizione di chi sa usarli.

I cultori della economia politica, per esempio, hanno potuto sperimentare, sebbene questa scienza sia solo all'inizio di una tal via, con quale semplicità di mezzi essa conduca a rappresentare, come in un quadro, il meccanismo che vincola fra loro gli elementi del mondo economico, e come il calcolo algebrico esprima la grandezza dei cambiamenti di ciascuno col mutare di alcuni di essi o delle condizioni in cui si trovano; mentre la economia prematematica non raggiunse mai la visione completa del quadro essendo costretta ad esaminare ciascuna di queste relazioni presa singolarmente ed isolata dalle altre.

Plasmare dunque concetti in modo da potere introdurre la misura; misurare quindi; dedurre poi delle leggi; risalire da esse ad ipotesi; dedurre da queste, mercè l'analisi, una scienza di enti ideali sì, ma rigorosamente logica; confrontare poscia colla realtà; rigettare o trasformare, man mano che nascono contraddizioni fra i risultati del calcolo ed il mondo reale, le ipotesi fondamentali che han già servito; e giungere così a divinare fatti ed analogie nuove, o dallo stato presente arrivare ad argomentare quale fu il passato e che cosa sarà l'avvenire; ecco, nei più brevi termini possibili, riassunto il nascere e l'evolversi di una scienza avente carattere matematico.

Il cammino è lungo, ed è aspro, ed è sparso di difficoltà. Si pensi che i più remoti vestigi della civiltà umana ci tramandano tracce non dubbie di misure astronomiche fatte da popoli primitivi; eppure la meccanica celeste non conta nemmeno tre secoli di vita. Qual meraviglia dunque se ancora limitati di fronte ai desideri, alle speranze, alle immoderate richieste, sono i risultati che il calcolo ha potuto ottenere in quelle scienze che erano pur ieri nel periodo prematematico e che lottano ancora oggi per escirne?


Ma vediamo senz'altro in azione questi metodi dell'analisi e miriamoli alle prese colle nuove questioni nelle quali hanno tentato di introdursi.

Fra le scienze fisiche ve ne è una che fu sempre a capo di tutte le altre, che le altre guidò, mentre queste vennero man mano imitandola e prendendola come esempio.

È questa scienza la meccanica, ed essa costituisce, insieme alla geometria, se non la più brillante, certo la più solida e sicura delle conoscenze di cui la mente umana si gloria.

Ora, non fra le biologiche, ma fra le scienze sociali, possiamo trovare un ramo di ricerche, la economia pura, che si è venuta foggiando sulla meccanica ed ha impiegato anch'essa i suoi procedimenti, si è giovata dei suoi metodi ed è pervenuta a resultati analoghi.

La meccanica, al pari di tutte le altre scienze fisiche e della economia, deve il successo all'uso dei metodi infinitesimali, i quali costituiscono l'ausilio analitico più delicato e ad un tempo più potente che sia stato mai immaginato.

Non è facile cosa, nè sarebbe breve, lo spiegare l'essenza dell'analisi infinitesimale, anche spogliandola di tutto ciò che non è necessario, e mettendo a nudo lo scheletro su cui è costruita questa superba e nobile creazione a cui cooperarono tanti ingegni da Archimede a Newton. Nè mi ci proverò. Dirò solo che i fenomeni naturali, di qualunque specie siano, a primo aspetto si presentano con una apparenza complessa. Ciò che avviene oggi è frutto di tutto quello che si è verificato nel passato; i cambiamenti che hanno luogo in un punto dello spazio sono dipendenti e legati a quelli che avvengono in tutti gli altri luoghi. Il voler scoprire ad un tempo tutti questi vincoli nascosti sì, ma di cui si palesano le conseguenze; il volerli abbracciare con uno sguardo solo e il dominarli tutti, sembra, al primo momento, opera non solo difficile ma impossibile, sebbene essa appaia necessaria se vogliamo formarci un'idea completa dei fenomeni stessi.

In qual modo il metodo infinitesimale riesce a districarci da un simile viluppo che preme da ogni parte e sembra soffocare ogni sforzo diretto ad escirne?

Immaginiamo il succedersi degli eventi in un tempo infinitamente piccolo ed in uno spazio pure infinitesimo. Diviene allora possibile scindere nei mutamenti degli elementi variabili le parti predominanti dalle altre trascurabili di fronte a queste, e, se ci è concesso misurare le prime o stabilire fra loro delle relazioni, resta possibile risalire, mediante questi dati, da ciò che ha luogo in un certo istante e in una certa plaga, a quello che avverrà col proceder del tempo per tutto, fin dove cioè le leggi elementari trovate restano soddisfatte.

Fissare tali leggi elementari si chiama porre le equazioni differenziali; risalire da esse di passo in passo, calcolando ogni singolo elemento, si chiama integrarle. Quest'ultima operazione il geometra può da solo eseguirla, anche se ignora, come spesso avviene, la questione concreta a cui mirano e a cui serviranno le sue formule, nello stesso modo che l'oscuro e paziente minatore, perduto nelle viscere della terra, arricchisce l'umanità di immani tesori di energia, mentre ignora se il combustibile, che egli penosamente cava dal suolo, servirà a dar vita ad una industria, o farà splendere di mille faci le nostre notti, o spingerà la nave nei mari lontani.


È in virtù del calcolo infinitesimale, che possiamo, per esempio, seguire il moto degli astri, enunciar la legge con cui vibra la corda di un'arpa, e calcolare gli effetti delle più potenti macchine, ed è pure con questo mezzo che le equazioni differenziali della economia poterono esser poste.

Un confronto fra la meccanica e l'economia pura si presenta facilmente. Immaginiamo perciò di cogliere le impressioni che un cultore della meccanica può risentire nello studio della economia2.

Il concetto dellhomo œconomicus che ha dato luogo a tante discussioni, che ha suscitato così grandi difficoltà e che tuttora trova delle menti ribelli ad accettarlo, riesce al nostro meccanico così naturale, che egli prova una vera sorpresa dell'altrui diffidente meraviglia suscitata da questo essere ideale e schematico. Egli vede nellhomo œconomicus un concetto analogo a quelli che per una lunga consuetudine gli son divenuti famigliari. Egli è avvezzo infatti ad idealizzare le superfici ritenendole senza attrito, i fili ammettendoli inestendibili, i corpi solidi supponendoli indeformabili, ed è solito a sostituire ai fluidi della natura i liquidi ed i gas perfetti.

E non solo ha l'abitudine di tutto ciò, ma sa il vantaggio che recano questi concetti.

Se il cultore della meccanica procede innanzi, si accorge che, tanto nella sua scienza che in quella economica, tutto si riduce ad un giuoco di tendenze e di vincoli, questi limitanti l'azione delle prime, che per reazione generano delle tensioni. Da questo insieme nasce talora l'equilibrio, talora il moto, d'onde una statica ed una dinamica e nell'una e nell'altra scienza.

Noi abbiamo già accennato alle vicende che l'idea di forza ha avuto in meccanica; dalle vette della metafisica essa è discesa nel campo degli enti misurabili. Così in economia non è più ora il momento di parlare col Jevons della espressione matematica delle quantità non misurabili3. Pareto invece di partire direttamente dall'idea di Ofelimità, come egli faceva nel suo Corso di Economia politica4, propone di partire da concetti puramente quantitativi colle sue curve di indifferenza che corrispondono così bene alle curve di livello e alle superficie equipotenziali della meccanica5.

Le teorie molecolari ed atomiche inducono a concepire discontinua l'intima costituzione dei corpi: Lamé, Cauchy e tutti coloro che stabilirono la teoria matematica dell'elasticità, la cui grande portata e le continue applicazioni pratiche si rivelano ogni giorno, poterono raggiunger lo scopo solo passando, con un vero tratto di genio, dal discontinuo al continuo. Ora, analogamente a quanto fecero i creatori della teoria della elasticità, e Fourier in quella del calore, gli economisti suppongono che le quantità di beni di cui ciascuno può disporre, le quali di natura loro sarebbero discontinue, variino per gradi continui.

Finalmente il nostro meccanico ravvisa nel processo logico per ottenere le condizioni dell'equilibrio economico, lo stesso ragionamento che egli fa per stabilire il principio dei lavori virtuali, e, allorchè si trova dinanzi alle equazioni differenziali dell'economia, prova il desiderio di applicarvi per primo quei metodi di integrazione che ben conosce alla prova6.

Noi abbiamo così veduto una disciplina, la quale fa parte di quelle dette morali, che, pur conservando la sua schietta originalità, si va assimilando i metodi matematici, e nel breve periodo trascorso dalla comparsa delle opere del Whewell, del Cournot, del Gossen e del Walras7 ad oggi, ha cercato di porre a contributo ed applicarne le teorie.


Sebbene di un interesse di giorno in giorno crescente le applicazioni delle matematiche alle scienze biologiche ci appaiono esse pure al loro inizio.

Fu fondata, è vero, abbastanza recentemente una scuola, la quale ha preso il nome di scuola biomeccanica, ma non ci sembra di ravvisare in essa quelle caratteristiche che rivelano l'inizio di un periodo veramente matematico8.

Vi sono pure dei rami della fisiologia, come l'ottica fisiologica, l'acustica fisiologica, nei quali degli uomini come l'Helmholtz hanno portato tutto il contributo della loro cultura universale in larga parte matematica9; vi è anche ciò che si può chiamare una termodinamica fisiologica10; vi sono gli studi classici sulla circolazione del sangue, ossia sul moto dei fluidi nei vasi elastici e contrattili, e gli studi meccanico-fisiologici sul camminare, correre e saltare11, e molti altri dei quali mi permetto non far cenno, e in tutti questi l'applicazione del calcolo è molto avanzata ed è feconda di utilissimi risultati; ma queste mirabili e spesso mature ricerche appaiono piuttosto appartenere ai vari rami della fisica matematica e della meccanica, che non ad un campo nuovo ove le matematiche abbian trovato un'applicazione originale.


Per questa sola ragione, lasciandole da parte, veniamo senz'altro a quei tentativi che sono, è vero, appena iniziati, ma che attaccano delle questioni nuove proprie alla biologia.

I risultati loro non hanno ancora raggiunto quel grado di sicurezza che si manifesta nelle ricerche sopra ricordate. Perciò esse sollevano ancora dei dubbi, ma, non fosse che per questa ragione, solleticano maggiormente la curiosità.

Questi tentativi riguardano le questioni della classificazione e dell'evoluzione, questioni del resto fra loro strettamente legate, tanto che le teorie genetiche tendono a far dipendere l'una dall'altra.

Basta l'esame più superficiale per accorgersi subito che gli studi matematici iniziati in questo campo presentan tutti le caratteristiche proprie ad un primo stadio di ricerche o piuttosto ad un periodo di orientamento, ed infine troviamo che soli vi dominano il metodo dell'analogia matematica e quello statistico fondato sul calcolo delle probabilità e sulla teoria degli errori.

Anzi, gli studi della scuola che possiam chiamare biometrica, non sono da separarsi dalle classiche ricerche statistiche proprie ai fenomeni sociali.

Il metodo dell'analogia in fisica matematica non è certamente nuovo.

Sono passate oggi molte illusioni sul modo di dare una spiegazione meccanica dell'Universo. Ora, se la fiducia di spiegare tutti i fenomeni fisici con leggi simili a quella della gravitazione universale o con un unico meccanismo, è venuta a svanire, andò concretandosi, quasi a compenso di tutto questo edificio di speranze che stava crollando, l'idea dei modelli meccanici, i quali, se non soddisfano chi cerca sistemi nuovi di filosofia naturale, contentano provvisoriamente coloro, che, più modesti, si appagano di ogni analogia e specialmente di ogni analogia matematica che valga a dissipare un poco le tenebre avvolgenti tanti fatti naturali.

Un modello meccanico di un fenomeno è infatti un apparecchio, il quale viene architettato senza preoccuparsi se nella sua essenza abbia rapporto alcuno col fenomeno stesso; ma è costruito con la sola condizione che, quando sia posto in moto, certe sue parti si spostino o mutino seguendo le stesse leggi con cui cambiano altrettanti elementi variabili nel fenomeno: elementi che si assumono quali parametri fondamentali di esso.

L'esperienza ci insegna che i modelli furono utili e servirono, come servon tuttora, ad orientarci nei campi della scienza più nuovi, più oscuri e nei quali si cerca a tentoni la via.

Si deve dunque accogliere l'ardito tentativo del nostro celebre astronomo Schiaparelli, di costruire un modello geometrico atto allo studio delle forme organiche e della loro evoluzione12, con quel medesimo interesse con cui sono stati accettati e studiati i modelli meccanici di Maxwell e di Boltzmann della induzione elettrica e dei cicli termici13; tanto più che non gravi difficoltà si opporrebbero a trasformare il modello stesso dello Schiaparelli da geometrico in meccanico, rendendolo così ancor più intuitivo.


È necessario pertanto distinguere nell'opera dell'astronomo italiano, onde bene afferrarla, due parti; quella che concerne la vera e propria rappresentazione geometrica delle variazioni del mondo organico, da quella relativa ad una ipotesi, se non interamente nuova, almeno esposta sotto forma nuova, giacchè l'autore vi ha applicato il suo modello cimentandolo subito alla prova.

Anche coloro che sono appena iniziati alle più elementari nozioni di geometria sanno che le linee si classificano; che abbiamo per esempio la retta, il cerchio, e che le curve appartenenti alla famiglia delle coniche si distinguono nella ellisse, nell'iperbole e nella parabola. Lo Schiaparelli ha cercato di stabilire un parallelo fra il modo col quale possono classificarsi le curve appartenenti ad una stessa famiglia e un sistema qualunque di enti della natura organica aventi certi caratteri comuni e raccolti sotto una medesima divisione, sia poi questa designata col nome di ordine, di classe, di regno.

Tutte le curve di una stessa famiglia soddisfano, al pari degli esseri organizzati, alla legge di correlazione fra le parti, e ciascuna dipende dai valori di certi parametri che possono supporsi individuare un punto, onde il passaggio da una forma ad un'altra può caratterizzarsi col movimento di questo.

Se si ammette che la natura degli esseri organici possa individuarsi mediante analoghi parametri l'ipotesi di Darwin sulla trasformazione delle specie trova una immagine o un modello in un simile movimento rispondente in modo poco meno che esclusivo alla legge della selezione naturale, fondata sulla lotta per l'esistenza.

Ma lo Schiaparelli ravvisa nel mondo inorganico, come in quello organico, una legge generale che lo induce a modificare l'edifizio Darwiniano aggiungendovi una nuova ipotesi, con che giunge a ciò che chiama il principio dell'evoluzione regolata o a tipi fissi.

Nel regno inorganico egli vede infatti emergere dal fondo generale dei fenomeni, una spiccata tendenza alla creazione di tipi specifici ben determinati e distinti l'uno dall'altro, le cui serie o classi procedono per differenze notabili e non per gradazioni insensibili, e questa stessa tendenza gli apparisce ancor più manifesta nel regno organico. Quindi nel suo schema geometrico, egli pone in evidenza delle serie discrete di punti, i quali corrispondono alle forme che sono predestinate a dare il tipo di quelle specie, che per un complesso di circostanze a noi ignote, sono le sole possibili. Colla nuova ipotesi il moto che rappresenta la evoluzione cessa dall'esser libero come nella ipotesi pura Darwiniana; ma resta vincolato da questi punti fissi, l'allontanamento dai quali ingenererebbe delle speciali reazioni paragonabili alle forze elastiche.

Queste considerazioni sopra una delle questioni più vitali che agiti le menti sono così intimamente collegate al modello geometrico, che non si saprebbe immaginare alcun modo di esprimerle senza ricorrere al linguaggio che esso spontaneamente offre.

Basterebbe questa sola circostanza per rendere il tentativo dello Schiaparelli meritevole della più alta considerazione, giacchè non è poca cosa l'offrire ad una scienza un linguaggio, specialmente quando esso ha le sue scaturigini da una fonte sì pura come quella geometrica. Quante teorie son passate e per i più son sepolte nell'oblio; pur di loro resta ancora un vestigio che dimostra che non passarono inutili sulla terra. È sufficiente che esse abbiano foggiato un termine solo del nostro linguaggio, perchè possa dirsi che una lontana scintilla della loro esistenza anima anche oggi la gran fiaccola del sapere, onde qualche cosa di loro, attraversando i secoli, vive sempre utilmente.


L'opera dello Schiaparelli però, più che risolvere, apre ed aggiunge una nuova e particolare questione alle tante che già tengono il campo della biologia; ora anche i più accaniti avversari della scuola biometrica non posson negare che questa si è prefissa di dar risposta alle innumerevoli domande ed ai mille problemi che son nati e si affollano in seguito ai concepimenti grandiosi di Lamarck, Geoffroy Saint-Hilaire e Darwin, partendo da osservazioni e misure, e giovandosi per discuterle, o di metodi già noti, o di nuovi metodi che essa va creando. L'opposizione contro di essa mira piuttosto a colpire le applicazioni, forse troppo particolari che sono state fatte e alcuni resultati, che non il metodo matematico per sè stesso, il quale ne forma la base. Ma è appunto questo che noi desideriamo oggi porre in evidenza14.

Nessuno meglio del Pearson ha mostrato le ragioni per cui la nuova via fu tentata, e nessun altro ne ha più nettamente delineato lo scopo e indicata la portata15.

È necessario, secondo il Pearson, liberare la mente, nello stato presente delle nostre cognizioni, dall'idea di un meccanismo della eredità e rinunciare alla speranza di ottenere una relazione matematica fra ogni singolo genitore ed ogni singolo discendente. Le cause dell'eredità naturale, nei casi speciali, sono talmente complesse da non ammettere una esatta trattazione. Si deve quindi incominciare dall'esame in massa di un numero grandissimo di casi, discendendo soltanto poi di mano in mano a classi sempre più limitate; e non si deve mai stabilire regole generali desumendole da singoli esempi. In altri termini bisogna procedere coi metodi statistici, non con la considerazione di casi tipici. Ciò forse può scoraggiare oggi il medico pratico a cui interessa, per esempio, l'eredità morbosa in una speciale famiglia molto più che una media ed una probabilità riguardante un'intiera classe di persone. Ma d'altra parte tutto dimostra che nello studio dell'eredità, come in quello della variazione, ci troviamo di fronte ad un numero grandissimo di piccole cause che agiscono tutte contemporaneamente, nè queste cause è possibile sceverare.

Quindi per orientarsi non vi è altro mezzo che ricorrere a quei procedimenti, che in tutte le questioni analoghe han giovato in modo così manifesto: ai procedimenti cioè fondati sul calcolo delle probabilità.

È questo il ramo delle matematiche più singolare e curioso. Se analizziamo un giudizio qualsiasi della nostra mente noi possiamo esser certi di trovarci sempre, più o meno nascosto, un computo di probabilità. Si potrebbe dire in certo modo che l'uomo più semplice, il quale attende al mattino il levar del sole, deve la sua fiducia di veder sorgere il giorno, ad un'applicazione inconsciente del teorema dei grandi numeri di Bernouilli. Tuttavia la scienza delle probabilità è la sola parte delle matematiche i cui principii non son posti rigorosamente e son tuttora aperti alla critica ed alla discussione.

Su qual solida base giace per esempio la proposizione fondamentale della teoria degli errori? Eppure tutti ci credono, disse un giorno il Lipmann al Poincaré, perchè gli sperimentatori si immaginano che essa sia un teorema di matematiche, mentre i matematici ritengono che sia un fatto sperimentale.

Ma qualsiasi fiducia noi riponiamo nelle sue basi, è indubitato che la teoria delle probabilità ha reso e rende a tutte le scienze incalcolabili ed incontestati benefici.

L'enumerarli soltanto, come il discutere le questioni generali e le apparenti contraddizioni a cui abbiamo ora accennato, ci porterebbe troppo lontano.

Vediamo piuttosto, senza scendere a nessun particolare, con un esempio, come la nuova scuola tratta uno dei problemi che essa ha preso ad esaminare.

Immaginiamo un gran numero di individui di una certa specie. Se le loro forme si aggrupperanno o addenseranno attorno ad un tipo medio, avremo che man mano che ci discosteremo da questo, gli individui si faranno più rari. Il Galton rappresenta ciò graficamente misurando un organo e costruendo la curva che esprime la relazione che passa fra la grandezza di esso e la maggiore o minore abbondanza corrispondente di individui. Si trova così una linea che i geometri chiamano curva degli errori o della frequenza, e che i cultori della statistica denominano «del Quetelet». Un tale insieme di individui prende il nome di gruppo monomorfico.

Però può avvenire, per un certo insieme di esseri, che costruendo la curva come abbiam detto, essa non resulti una linea di frequenza: ciò significa che gli individui, anzichè attorno ad uno, si addensano attorno a due o a più tipi distinti, ossia che la curva può decomporsi in due o più curve di frequenza. Il gruppo si chiama allora dimorfico o polimorfico16.

La scomposizione di un gruppo polimorfico in quelli elementari che lo costituiscono, divien così una questione puramente geometrica che il Pearson ha in parte risoluto, ed essa corrisponde alla discriminazione di una specie nelle sue varietà17. Se possiamo seguire una tale decomposizione col tempo e vedere come avviene il passaggio di un gruppo da monomorfico a polimorfico o viceversa, e anche semplicemente se possiamo scoprire la tendenza alla decomposizione o alla ricomposizione avremo colto con esatti particolari un dato elementare e fondamentale della evoluzione, da cui le questioni di variazione e di regressione, di continuità o discontinuità nelle specie, riceveranno un lume inatteso.

Ma vi ha di più: una curva di frequenza, pur conservandosi tale, può assumere forme diverse, o, come si dice, possono cambiare i parametri che la individuano. Il riconoscere le variazioni dei parametri corrispondenti ad un gruppo ed ai suoi sottogruppi nelle successive generazioni, le correlazioni fra i parametri corrispondenti ad organi diversi, costituisce già al giorno d'oggi un capitolo esteso e complesso nel quale le sottili considerazioni di Laplace e di Bravais18 sulle probabilità trovano importanti applicazioni.

È in questo modo che possono stabilirsi definizioni matematiche degli elementi fondamentali della scienza dell'eredità e della selezione, così secolare come periodica, onde questi concetti appaiono escire dalla nebbia in cui si trovano avvolti e delinearsi precisi e determinati nella nostra mente.

Si sono già ottenuti in questo campo sopra soggetti di varia natura resultati altamente interessanti. Così, per esempio, Pearson ha trovato che i caratteri morali si trasmettono ereditariamente colla stessa intensità di quelli fisici19. Egli ha pure scoperto che le razze civili sono più variabili di quelle selvagge20. Davenport ha studiato la filogenia e la distribuzione geografica di certi animali21, Dumcker la simmetria degli animali aventi simmetria bilaterale22, De Vries gli ibridi e le mostruosità nei vegetali23, Ludwig i caratteri specifici di varie specie vegetali24; e si potrebbero citare una gran quantità di altre notevoli ricerche per le quali rimando alle speciali bibliografie25.


Nella vasta congerie di fatti che si presentavano, due più che altro, i più salienti, ho cercato di mettere in luce: i grandi passi, cioè, fatti dall'economia politica negli ultimi tempi, da che quel ramo di essa, che Cartesio e Lagrange non esiterebbero a chiamare economia analitica, è stato costituito come un corpo a sè di scienza; e l'inizio ancor più recente della biologia a ricerche quantitative e statistiche.

Fanno riscontro nel campo delle matematiche ai nuovi studi economici i procedimenti infinitesimali, che gli economisti impiegano già con maniera sicura; ed al nuovo indirizzo della biologia i metodi dei grandi numeri e del calcolo delle probabilità, metodi che una intera scuola ha rinnovellati.

Col primo di questi potenti e mirabili strumenti la nostra mente spinge acutamente lo sguardo a scrutare i misteri dell'infinitamente piccolo; coll'altro invece mira da lunge, cercando di abbracciare gli ampi contorni di una massa infinitamente grande di fatti.

Nello stesso modo che il microscopio ed il telescopio hanno svelato all'istologo ed all'astronomo due mondi in cui l'occhio non era penetrato, così questi metodi matematici aprono al pensiero orizzonti nuovi e sconosciuti; come quei due apparecchi ottici, così questi due strumenti dell'analisi si differenziano fra loro in parte, ed in parte si rassomigliano. Ma vi è una cosa che rende il giuoco di essi di gran lunga più meraviglioso di quello d'ogni immaginabile sistema di lenti, ed è che ambedue riescono a mostrare soltanto ciò che è utile vedere, e più che altro servono a nascondere tutto il superfluo che confonderebbe lo sguardo.

L'accennare ancora le speranze, forse i sogni dell'avvenire coll'impiego di altri metodi, simili per esempio a quelli energetici, non ancora tentati in modo positivo nelle scienze sociali e biologiche, mi condurrebbe fuori del terreno in cui ho desiderato di rimanere. Porrò invece fine alle mie parole con un accenno al passato.

Se gettiamo lo sguardo sul nascere e sullo svolgersi dei pensieri più originali e più fecondi, che hanno trasformato e vivificato l'umano sapere, riconosciamo subito qual parte cospicua di essi è dovuta al genio italiano. Senza abbandonare quei rami di scienza di cui oggi abbiamo discorso, ricorderò che fu Giovanni Ceva nel XVII secolo che per primo concepì e propugnò i concetti e i principî di cui si vale oggi la economia, e che per trovare i più lontani vestigi del calcolo delle probabilità è d'uopo risalire ad un commentatore di Dante del XIV secolo.

E da quelle epoche lontane si svolge attraverso i secoli fino ad oggi, la serie di coloro che presso di noi condussero al movimento moderno nel quale l'Italia prende sì larga parte.


Note

  1. Natural Inheritance by Francis Galton, London 1889. – In un corto, ma molto interessante articolo del Davenport, nel quale è esposta la storia di questi studi (Science, N. S., XII, n. 310), egli osserva che il Galton è stato principalmente spinto verso le sue ricerche dai lavori di Quetelet.
  2. Cfr. Principii di economia pura per Maffeo Pantaleoni, Firenze, 1894. Scritti varii di economia per Maffeo Pantaleoni, Palermo, 1904. – Vedi: Mathematical investigations in the Theory of value and prices by Dr. Irving Fisher (Trans. of the Connecticut Academy, IX July 1892). – Una esposizione del modello meccanico immaginato dal Fisher è stata fatta dal Col. Barone nel vol. VIII, Serie 2a del Giornale degli Economisti. – Nella Encyklopädie der Mathematischen Wissenschaften (Leipzig, Teubner) Pareto ha pubblicato nel 1902 un interessante articolo: Anwendungen der Mathematik auf Nalionalöconomie, ove si trovano riassunte le idee fondamentali, le diverse teorie ed i principali resultati sopra questo soggetto insieme con una ricca bibliografia.
  3. The Theory of political Economy by W. Stanley Jevons, London 1888. È interessante seguire l'origine e il corso delle idee di Jevons che posson riattaccarsi a quelle di Laplace e di Bernoulli e secondo il Pantaleoni agli studi fatti da Jevons sotto la direzione di De Morgan (cfr. Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche, inserito negli Scritti varii di Economia politica sopra citati).
  4. Pareto Vilfredo. Cours d'économie politique professé à l'Université de Lausanne. Lausanne. 1896.
  5. Sunto di alcuni capitoli di un muovo trattato di economia politica del Prof. Pareto, Giornale degli Economisti, II, XI, XX. – Vedere anche l'articolo sopra citato della Encyklopädie der Math. Wiss. §§ 3, 4, e l'appendice al Manuale di Economia politica pubblicato dal Pareto (Milano, Società editrice libraria, 1906).
  6. Vedi Amoroso Luigi, Sulle analogie fra l'equilibrio meccanico e l'equilibrio economico (Modena, 1910) – Contributo alla teoria matematica della dinamica economica. (Roma, 1912).
  7. Le memorie più antiche di economia politica di questi autori sono: Whewel William, Mathematical Exposition of some Doctrines of Pol. Econ., Cambridge, Phil. Trans., VIII, 1829. – Cournot Antoine Augustin, Recherches sur les Principes Mathématiques de la Théorie des richesses, 1838. – Gossen Hermann Heinrich. Entwickelung der Gesetze des menschlichen Verkehrs und der darausfliessenden Regeln für menschliches Handeln, Braunschweig, 1854. – Valras Marie Esprit Lèon. Elèments d'économie politique pure ou théorie de la richesse sociale, Paris, 1874. – Leone Walras, figlio di Walras Antoine Auguste pure economista, è autore dell'opera: De la nature de la richesse et de l'origine de la valeur. Paris, 1831. – Per trovare le tracce più antiche delle idee e dei principii della economia matematica bisogna rimontare a Giovanni Ceva (nato nel 1647 o 1648), matematico ed ingegnere idraulico. Il titolo della sua opera economica è il seguente: De re nummaria quoad fieri potuit geometrice tractata, ad illustrissimos et excellentissimos dominos Praesidem Quaestoremque hujus arciducalis Caesaraei Magistratus. Mantova, 1711. – Cfr. l'art. di Pantaleoni su Giovanni Ceva nel Dictionary of Political Economy edito da R. H. Inglis Palgrave, Londra, 1894.
  8. Vedi: Roux Vilhelm, Gesammelte Abhandlungen über Entwickelungsmechanik der Organismen, Leipzig, 1895.
  9. Helmoltz Hermann, Handbuch der phisiologischen Optik. Hamburg, 1894. – Die Lehre von den Tonempfidungen als physiol. Grundlage für die Theorie der Musik. Braunschweig, 1877.
  10. Cfr. Les transformations d'énergie dans l'organisme par André Broca (Rapports présentés au congrès international de Physique rèuni à Paris en 1900) t. III, Paris, 1900.
  11. Theorie der durch Wasser oder andere inkompressibele Flüssigkeiten in elastischen Röhren fortgepflanzten Wellen von Wilhelm Weber. (Berichte d. k. Sachs. Ges. d. Wiss. math. phys. Klasse XVIII, 1866). Cfr. la Mem. di E. H. Weber, Ueber die Anwendung der Wellenlehre auf die Lehre vom Kreislaufe des Blutes und insbesondere auf die Pulslehre. Ibid., 1850. Mechanik der menschlichen Gehwerkzeuge. Eine anatomisch-physiologische Untersuchung von W. Weber und E. Weber, 1836. – Questi studi furono preceduti da una lunga serie di lavori fra i quali sono memorabili le profonde ricerche del Borelli (De Motu animalium. Roma, 1630). – Riguardo alla scuola detta Iatromatematica, a capo della quale fu il Borelli, vedi per esempio la Storia della medicina dello Sprengel, Venezia, 1814.
  12. Studio comparativo tra le forme organiche naturali e le forme geometriche pure, del Prof. Schiaparelli, Milano, Hoepli 1898.
  13. Cfr. Antonio Garbasso, Fisica d'oggi, filosofia di domani (Milano 1910) – Vorlesungen über Maxwells Theorie der Elektricität und des Lichtes, von Dr. Ludwig Boltzmann. Leipzig, 1891.
  14. Vedi: Georg Dumacker, Die Methode der Variations-statistik (Archiv für Entwicklungsmechanik der Organismen di W. Roux, VIII, 1899). – C. B. Davenport: Statistical methods. New-York, 1899. – Cfr. Las Matématicas y la Biologia por Angel Gallardo (Anales de la Sociedad Scientifica Argentina, t. LI). Buenos Ayres, 1901. – I metodi somatometrici in Zoologia di G. Cattaneo (Riv. di biologia generale, Aprile-Maggio 1901). – Vedi gli articoli dei Prof. Camerano negli Atti dell'Acc. di Torino 1900-01 e quelli del Prof. Andres nei Rend. Ist. Lomb. 1897-901. – J. Ludwig ha pubblicato nei tomi XLIII e XLIX della Zeitschrift für Math. and Physik estese bibliografie sugli studii biometrici. A cominciare dall'anno 1901 è comparso il giornale Biometrika, il cui scopo è quello di raccogliere e diffondere le ricerche biometriche (Biometrika. A journal for the Statistical study of Biological Problems. Founded by W. R. F. Weldon, Francis Galton and Karl Pearson. Edited by Karl Pearson, Cambridge, University Press.).
  15. Mathematical Contributions to the Theory of Evolution. III Regression, Heredity and Panmixia by Karl Pearson (Phil. Transaction of the R. Society of London S. A., CLXXXIX), London, 1897.
  16. Cfr. Materials for the Study of Variation treated with special regard to Discontinuity in the Origin of Species by William Bateson, London, 1894.
  17. Contributions to the Mathematical Theory of Evolution by Karl Pearson (Phil. Trans. of the R. Society of London (A), CLXXXV. London, 1895). – La soluzione data dal Pearson vale solo per la decomposione di un gruppo dimorfico; il Prof. De Helguero ha dato una interessante semplificazione del metodo di Pearson (Biometrika IV, 1, 2 Giugno 1905).
  18. Analyse mathématique sur les probabilités des erreurs de situation d'un point, par A. Bravais (Memoires présentés par divers savants à l'Académie Royale des Sciences de l'Institut de France, t. IX). Paris, 1846.
  19. On the inheritance of the mental and moral Characters in Man and its Comparison with the inheritance of the physical Characters. The Huxley Lecture for 1903.
  20. The Chames of Death and other Studies in evolution, 2 vol., London, Arnold.
  21. Quantitative Studies in the Evolution of Pecten. Proc. of the Amer. Academy of Arts and Sc. Companion of some Pectens from the East and the West Coasts of the U. S. – Reprinted from the Mark Anniversary, 1903, ecc.
  22. Symmetrie und Asymmetrie bei bilateralen Thieren in Arch. Entw.-mech., XVII, 533-682.
  23. Sur la loi de disjonction des hybrides. Comptes rendus de l'Ac. des Sc. de Paris, 26 Marzo 1900. – Sur l'origine expérimentale d'une nouvelle espèce végétale, ibid., 1900. – La loi de Mendel et les caractères constants des hybrides, ibid., 2 feb. 1903. – Die Mutationslehre; Veit, Leipzig 1902, 2 vol. ecc.
  24. Beiträge zur Phytarithmetik, Bot. Centralbl., LXXI, 1897. – Ueber Variationskurven. ibid., LXXV, 1898. – Variationstatistische Probleme und Materialen. Biom., I, 11-29, 316-8, ecc.
  25. Negli ultimi anni gli studii relativi a questo argomento furono molto numerosi ed il citarli in particolare escirebbe fuori dall'indole di questo articolo. Oltre al periodico già citato (Biometrika, Cambridge: vedi pag. 25), al Journal of Genetics (Edited by W. Bateson and R. C. Punnett, Cambridge), a The Eugenics Review (London) e ad altri, la fonte più completa a cui ricorrere per indagini bibliografiche è l'International Catalogue of Scientific Literature che si pubblica dall'Internat. Council presso la Royal Society di Londra. Vedi i Vol. L. (Biologia generale), M. (Botanica). N. (Zoologia), P. (Antropologia), Q. (Fisiologia), ai Cap. Variazione, Evoluzione, Metodi ed apparecchi (Pesi e misure, biometrici) ecc.