Rubin e il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione/Capitolo 1

Motivazioni e significato dell'opera di Rubin

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Motivazioni e significato dell'opera di Rubin
Introduzione Capitolo 1.1

Che la teoria del feticismo della merce, esposta da Marx principalmente all'inizio de Il Capitale, sia "la tesi centrale intorno a cui ruota tutto il discorso" (Rubin 1976, VII), è una tautologia per il lettore del suo libro. A dircelo così direttamente non è solo la prefazione e la quarta di copertina, ma l'autore stesso che non cede neanche la prima riga del suo testo a lungaggini: "la teoria del feticismo della merce di Marx non è mai stata valutata adeguatamente". Per quanto i suoi sostenitori e avversari gli possano aver riconosciuto meriti, la teoria del feticismo è stata al più considerata come un'appendice della teoria del valore, una "brillante generalizzazione sociologica, una critica di tutta la cultura contemporanea fondata sulla reificazione dei rapporti umani" (ibidem). Anche chi l'accetta nell'ambito dell'economia politica, generalmente gli riconosce il solo merito di aver "fatto chiarezza" e rivelato la presenza di rapporti umani sotto l'apparenza di relazioni tra cose, demistificando l'illusione della coincidenza tra apparenza ed essenza dell'economia mercantile.

Ma per Rubin la teoria del feticismo non è soltanto questo; scrive infatti:

"Egli [Marx] non si limita a rivelare la presenza di rapporti umani sotto il velo della reificazione, ma dimostra la necessità per cui nell'economia mercantile i rapporti sociali di produzione prendono forma di cose e si esprimono attraverso esse" (ivi, 6).

La conclusione dell'introduzione alla prima parte del libro non lascia alcun dubbio sull'importanza data da Rubin alla teoria del feticismo: essa è "la teoria generale dei rapporti di produzione dell'economia mercantile, propedeutica all'economia politica" (ibidem). Trascurandola, l'economia politica non sarà mai in grado di cogliere l'essenza dei fenomeni e delle leggi della società capitalistica, che Rubin vede come una specie della società mercantile semplice, seppur più complessa in quanto prende in esame anche altri aspetti economici, oltre al semplice scambio di merci tra produttori. Un'analisi che non tiene conto di questo velo che maschera i rapporti di produzione è un'analisi feticistica, che attribuisce alla merce, oggetto materiale avente utilità materiale, proprietà sociali che non gli appartengono naturalmente. A causa di questo suo vizio di fondo, una tale analisi è "destinata a risultati disastrosi a prescindere da quanto possano essere acute certe sue osservazioni1" poiché "essa non spiega il meccanismo produttivo della società contemporanea, né le condizioni per il suo funzionamento e sviluppo." (ibidem).

Questo è il punto dell'analisi di Rubin che riteniamo più importante e ricco di conseguenze. La teoria del feticismo e la sua centralità e propedeuticità all'analisi economica è una critica radicale a tutti gli altri modi di affrontare lo studio del capitalismo. Non solo; dibattiti e diatribe viziate entrambe dal feticismo - da parte di marxisti come di antimarxisti - avrebbero tutt'al più affrontato qualcosa di rintracciabile nell'economia politica classica, identificandolo indebitamente con la teoria del valore marxiana (ivi, VII).

La teoria di Rubin vuole porsi come un'interpretazione "defeticisticizzata" della teoria marxiana del valore-lavoro2. Per il vigore di questi concetti, che permea in maniera esplicita ogni singolo paragrafo della sua opera, riteniamo che tale teoria costituisca una risposta proprio alle interpretazioni feticistiche3.

È quindi di una certa utilità, in questa prima fase, dare un rapido sguardo alla concezione fondamentale che, della teoria del valore, aveva il suo più popolare critico.


Note

  1. Il riferimento alla scuola austriaca e al marginalismo è, questa volta, esplicito.
  2. Cioè che tenga conto e si basi sulla teoria del feticismo della merce.
  3. Ad esempio, tra le altre, la citazione di Böhm-Bawerk, a pagina 51, accusandolo di fatto di una certa superficialità nell'aver ridotto la teoria marxiana del valore a una manciata di pagine.