Rivista di Cavalleria - Volume I/Prefazione

Prefazione

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Rivista di Cavalleria - Volume I I

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La nostra è, per eccellenza, l’arma dell’azione.

Azione pronta, rapida tanto da non dar quasi tempo al pensiero di divenir suono prima che atto.




Sul labaro, ad altri invisibile, che aleggia innanzi alla linea degli scintillanti squadroni, e sul quale par che figgano gli sguardi le giovani schiere lanciate al galoppo, mentre in lontananza si disegna la scura massa nemica, sta scritto: Va, corri, percuoti!

Un muto cenno, un semplice puntar della sciabola le trascina; non una voce, non un comando rompe la silenziosa maestà della tragica corsa. Risuona ancora per l’aria il grido di guerra che la lotta è già impegnata, decisa.




Chi è educato ad una vita tutta moti ed atti convergenti a questo supremo ed unico scopo, chi tutto coll’esempio chiede ed ottiene, è facile sia tratto a considerare non utilmente impiegato il tempo, non breve, necessario a trasfondere in altri, per mezzo della scrittura, il proprio pensiero.

Ecco la prima, la maggior causa del silenzio nostro, di quel silenzio che contro di noi generò l'accusa di scarsa attività nel campo intellettuale.

In verità, nel coro, non sempre unanime, che, dalla pianura ove s'agita la comune dei mortali, sale, talvolta con virtù suadente, fino alle cime più eccelse, manca una sola voce: la nostra.

Un tentativo, che pare già antico, rimasto quasi sul sorgere soffocato fece credere vera l'accusa.

Non ci industrieremo colla lente dell’analisi alla sottile investigazione di tutte le cause che il tentativo resero vano; la principale però, [p. 4 modifica]quella da cui tutte le altre, come rami dal tronco, procedono, è da cercarsi, l’abbiamo detto, nell'indole dall’arma nostra: L'azione.

Vorrà forse qualche severo censore ribattere essere questa una ben comoda scusa per l’inerzia intellettuale?

Non mendichiamo scuse, spieghiamo soltanto. Ad ogni modo si smentisca, coi fatti, l’ingiusta censura; si viva della vita del tempo nostro; mentre tutti fanno sentire la voce loro, non si dica che la sola arma nostra è votata, per impotenza, al silenzio.

Su, colleghi dell’arma, la palestra è aperta. A voi il far conoscere i nostri progressi, i nostri bisogni, le aspirazioni nostre; a voi il dispensare i frutti degli studi, con tanta fede, compiuti. È per voi che la Rivista è sorta; è da voi, e per voi, che essa deve trarre il vigore, la vita.

In tutte però, anche nelle più lievi manifestazioni del vostro pensiero, un alto fine vi guidi: il bene dell’Esercito inseparabile da quello del Re e della Patria.

G. T.