Rime nuove/Libro VI/Il comune rustico
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LXXVII.
IL COMUNE RUSTICO
O che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda ombra si stampi
Al sole del mattin puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
6A la chiesa che prega o al cimitero
Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
Sognando l’ombre d’un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
12Ma del comun la rustica virtú
Accampata a l’opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
18— Ecco, io parto fra voi quella foresta
D’abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là.
E voi, se l’unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l’aste, ecco le spade,
24Morrete per la nostra libertà. —
Un fremito d’orgoglio empieva i petti,
Ergea le bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangendo sotto i veli
Invocavan la madre alma de’ cieli.
30Con la man tesa il console seguiva:
— Questo, al nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che nel popol sia. —
A man levata il popol dicea, Sí.
E le rosse giovenche di su ’l prato
Vedean passare il piccolo senato,
36Brillando su gli abeti il mezzodí.