Rime (Berni)/XXVIII. Contro l'essergli dati a forza versi e carmi

XXVIII. Contro l'essergli dati a forza versi e carmi

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XXVIII. Contro l'essergli dati a forza versi e carmi
XXVII. Prefazione al commento del Capitolo della primiera XXIX. Sonetto di Papa Chimente


Eran già i versi a i poeti rubati
come or si ruban le cose tra noi,
onde Vergilio, per salvar i suoi,
4compose quei dua distichi abbozzati.
  
A me quei d’altri son per forza dati,
e dicon: "Tu gli arai, vuoi o non vuoi";
sì che, poeti, io son da più che voi,
8dappoi che io son vestito e voi spogliati.
  
Ma voi di versi restavate ignudi,
poi quegli Augusti e Mecenati e Vari
11vi facevan le tonache di scudi.
  
A me son date frasche, a voi danari;
voi studïate, et io pago li studî
14e fo che un altro alle mie spese impari.

                Non son di questi avari
di nome né di gloria di poeta:
17vorrei più presto aver oro o moneta;

                e la gente faceta
mi vuol pur impiastrar di versi e carmi,
20come se io fusse di razza di marmi.

                Non posso ripararmi:
come si vede fuor qualche sonetto,
23il Berni l’ha composto a suo dispetto;

                e fanvi su un sguazzetto
di chiose e sensi, che rineghi il cielo
26se Luter fa più stracci del vangelo.

                Io non ebbi mai pelo
che pur pensasse a ciò, non che ’l facessi;
29e pur lo feci, ancor che non volessi.

                In Ovidio non lessi
mai che gli uomini avessen tanto ardire
32di mutarsi in cornette, in pive, in lire,

                e fussin fatti dire
ad uso di trombetta veniziano,
35che ha dietro un che gli legge il bando piano.

                Aspetto a mano a mano
che, perch’io dica a suo modo, il comune
38mi pigli e leghi e dìame della fune.