Eran già i versi a i poeti rubati
come or si ruban le cose tra noi,
onde Vergilio, per salvar i suoi, 4compose quei dua distichi abbozzati.
A me quei d’altri son per forza dati,
e dicon: "Tu gli arai, vuoi o non vuoi";
sì che, poeti, io son da più che voi, 8dappoi che io son vestito e voi spogliati.
Ma voi di versi restavate ignudi,
poi quegli Augusti e Mecenati e Vari 11vi facevan le tonache di scudi.
A me son date frasche, a voi danari;
voi studïate, et io pago li studî 14e fo che un altro alle mie spese impari.
Non son di questi avari
di nome né di gloria di poeta: 17vorrei più presto aver oro o moneta;
e la gente faceta
mi vuol pur impiastrar di versi e carmi, 20come se io fusse di razza di marmi.
Non posso ripararmi:
come si vede fuor qualche sonetto, 23il Berni l’ha composto a suo dispetto;
e fanvi su un sguazzetto
di chiose e sensi, che rineghi il cielo 26se Luter fa più stracci del vangelo.
Io non ebbi mai pelo
che pur pensasse a ciò, non che ’l facessi; 29e pur lo feci, ancor che non volessi.
In Ovidio non lessi
mai che gli uomini avessen tanto ardire 32di mutarsi in cornette, in pive, in lire,
e fussin fatti dire
ad uso di trombetta veniziano, 35che ha dietro un che gli legge il bando piano.
Aspetto a mano a mano
che, perch’io dica a suo modo, il comune 38mi pigli e leghi e dìame della fune.