Rime (Berni)/XII. Capitolo della gelatina

XII. Capitolo della gelatina

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XII. Capitolo della gelatina
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E’ non è mai né sera né mattina,
né mezzo dì né notte ch’io non pensi
3a dir le laudi della gelatina,

e mettervi entro tutti quanti e sensi
e’ nervi e le budella e ’l naturale
6per iscoprir li suoi misteri immensi.

Ma veggo che l’ingegno non mi vale,
ché la natura sua miracolosa
9è più profonda assai che l’orinale.

Pur, perché nulla fa quel che nulla osa,
s’io dovessi crepare, io son disposto
12di dirne ad ogni modo qualche cosa;

e s’io non potrò gir così accosto,
né entrar ne’ suoi onor affatto drento,
15farò il me’ che potrò così discosto.

La gelatina è un quinto elemento
e guai a noi se la non fusse l’anno
18di verno quando piove e tira il vento,

ché la val più d’una veste di panno
e presso ch’io non dissi anche del foco,
21che tal volta ci fa più tosto danno.

Io non la so già far, che non son cuoco,
e non mi curo di saper; ma basta
24ch’ancor io me ne intendo qualche poco.

E s’io volessi metter mano in pasta,
farei forse vedere alla brigata
27che ci è chi acconcia l’arte e chi la guasta.

La gelatina scusa l’insalata
e serve per finocchio e per formaggio
30da poi che la vivanda è sparecchiata.

Et io che ci ho trovato un avantaggio,
quando m’è messa gelatina inanzi,
33vo pur di lungo e mio danno s’i’ caggio;

e non pensi nessun che me ne avanzi,
ché s’io ne dessi un boccone a persona,
36ti so dir ch’io farei di belli avanzi.

Chi vuole aver la gelatina buona
ingegnisi di darli buon colore;
39quest’è quel che ne porta la corona:

dice un certo filosofo dottore
che se la gelatina è colorita,
42è forza ch’ella n’abbia il buon sapore.

Consiste in essa una virtude unita
della forza del pepe e dell’aceto,
45che fa che l’uom se ne lecca le dita.

Io vi voglio insegnare un mio secreto,
che non mi curo ch’ei mi reste a dosso:
48io per me la vorrei sempre dirieto.

Un altro ne vo’ dire a chi è grosso:
la gelatina vuol esser ben spessa
51e la sua carne vuol esser senza osso,

ché qualche volta, per la troppa pressa
che l’uomo ha di ficcarvi dentro i denti,
54un sen trae, poi dà la colpa ad essa.

O gelatina, cibo delle genti
che sono amiche della discrezione,
57sien benedetti tutti i tuoi parenti,

come dir gelatina di cappone,
di starna, di fagiano e di buon pesce
60e di mille altre cose che son buone!

Io non ti potrei dir come m’incresce
ch’io non posso dipingerti a pennello
63né dir quel che per te di sotto m’esce.

Pur vo fantasticando col cervello
che diavol voglia dir quel poco alloro,
66che ti si mette in cima del piattello;

e trovo finalmente che costoro
vanno alterando le sentenzie sue,
69tal che non è da creder punto loro.

Ond’io, ch’intendo ben le cose tue,
come colui che l’ho pur troppo a core,
72al fin concludo l’una delle due,

che tu sei o poeta o imperatore.