Relazione sulla Federconsorzi/XI
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Capitolo Undicesimo
I riflessi giudiziari della procedura concordataria Federconsorzi
1. Il procedimento promosso dalla Procura della Repubblica di Perugia per la vendita in massa dei beni della Federconsorzi e per la vendita della Fedital
1.1 La vicenda della vendita in massa dei beni della Federconsorzi
Nell'ambito di un procedimento aperto il 2 marzo 1996, la Procura della Repubblica di Perugia, all'epoca competente per i reati commessi dai magistrati di Roma, ha esercitato l'azione penale per l'acquisto di beni Fedit da parte della società SGR, contro il dottor Ivo Greco, magistrato, il professor Pellegrino Capaldo, il professor Francesco Carbonetti, l'avvocato Stefano D’Ercole, e il ragionier Cesare Geronzi (procedimento penale n. 474/96 R.G.N.R.).
L’accusa è di concorso nell'aver "distratto e dissipato l’attivo patrimoniale Fedit, valutato prudenzialmente 4800 miliardi da un collegio peritale nominato dallo stesso Tribunale fallimentare di Roma e circa 4000 miliardi dal commissario giudiziale, promuovendone e consentendone la vendita al prezzo apparente di 2150 miliardi (prezzo effettivo inferiore a 2000 miliardi per effetto di rateizzazioni fino a un anno e mezzo e per effetto di interessi sui ricavi delle cessioni di beni a terzi, anteriori alla scadenza delle rate) senza alcun apparente supporto di carattere tecnico e senza alcuna motivazione sostanziale, così intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità, quantificabile in circa 3000 miliardi, ai creditori soci di SGR e un correlativo ingiusto danno di rilevante gravità agli altri creditori e a Fedit."
Al dottor Greco, nella veste di presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma e di giudice delegato nel concordato preventivo Fedit, è imputato, in particolare, di aver diretto la procedura secondo le aspettative del professor Capaldo e secondo gli interessi dei soli creditori soci della SGR.
Al professor Capaldo ed al ragionier Geronzi, quali promotori di una cordata di creditori Fedit, è rimproverato l’acquisto, a nome e da parte della SGR, dell’attivo del patrimonio Fedit al 30 novembre 1991 per il prezzo nominale di 2150 miliardi; al professor Carbonetti, quale consulente del concordato preventivo Fedit, amministratore di SGR dalla sua costituzione e successivamente presidente della stessa, di aver rilasciato pareri al dottor Greco circa la congruità del prezzo offerto dall’acquirente; al professor D’Ercole, quale commissario governativo Fedit, di aver sottoscritto l’atto-quadro che riguardava il trasferimento dei beni della Fedit e di aver dato esecuzione allo stesso.
Al dottor Greco è inoltre attribuito di avere, quale presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma e giudice delegato nel concordato preventivo Fedit, occultato una istanza presentata in data 27 maggio 1992 dai commissari governativi Fedit, volta ad avere conferma della non necessità di procedere alla messa in liquidazione della società, omettendo di protocollare l’istanza stessa ed acquisirla agli atti della procedura, nonché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, d'aver rifiutato di provvedere sulla stessa e di avere occultato i pareri redatti dal professor Carbonetti.
In data 25 novembre 2000 il Giudice per l’udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati ad eccezione del ragionier Geronzi di cui ha dichiarato l’estraneità ai fatti.
Tutti gli imputati, ad eccezione dell’avvocato D’Ercole, per il quale non è stato possibile procedere all'audizione per ragioni di tempo, sono stati ampiamente ascoltati dalla Commissione.
La Commissione ha acquisito l'intero fascicolo processuale, nonché la trascrizione integrale dell'udienza preliminare e ad essi si fa rinvio per quanto riguarda le tesi sia dell'accusa che delle difese.
1.2 La vicenda della vendita della Fedital
Nell'ambito dello stesso procedimento, una seconda operazione è stata oggetto dell'attenzione della Procura di Perugia: la vendita, durante la procedura concordataria , della Fedital-Polenghi Lombardo.
Gli imputati erano il dottor Ivo Greco ed il dottor Sergio Cragnotti per aver "in concorso tra loro, Greco Ivo quale giudice delegato del Tribunale di Roma nel Concordato Preventivo Fedit e il Cragnotti quale titolare della società CRAGNOTTI & PARTNERS, distratto attività dal patrimonio Fedit in regime di concordato preventivo dal luglio ‘91, procurando alla società Cragnotti & Partners un vantaggio patrimoniale di rilevante gravità con correlativo danno per il concordato preventivo Fedit: accedendo alle condizioni di vendita formulate dal dottor Cragnotti, tra le quali anche un rifinanziamento di 20 miliardi di lire di Fedital da parte di Fedit; disponendo condizioni e tempi di svolgimento dell’asta volti a favorire la Cragnotti & Partners, risultata poi unica offerente; procedendo all’aggiudicazione nonostante la segnalata, da parte della Swiss Bank Corporation incaricata di prestare assistenza tecnica nella cessione, impossibilità per gli eventuali concorrenti di presentare offerte in considerazione dei termini fissati (secondo esperimento di vendita fissato a cavallo delle festività natalizie); consentendo la possibilità di conferire a società di revisione incarico, da parte della sola Cragnotti & Partners e in assenza di controllo della controparte e della procedura, per la certificazione dello stato patrimoniale di Fedital, stabilendo la decurtabilità del prezzo di aggiudicazione in conseguenza degli esiti della revisione contabile; dando incarico alla KPMG di effettuare tale revisione sulla base dei principi applicabili per la redazione di un bilancio di esercizio invece che dei criteri in vista della cessione di azienda, così da sottostimare il valore dei marchi (tra i quali il marchio POLENGHI) e non considerare il fondo oneri futuri (previsto in vista di una ristrutturazione diFedital) e gli sconti fiscali sugli esercizi successivi; aggiudicando alla Cragnotti & Partners la partecipazione Fedital (valore 130 miliardi, di cui 20 derivanti dall’autorizzato rifinanziamento) a prezzo esiguo (offerta 55 miliardi, decurtata dopo l’aggiudicazione a 46,5 in conseguenza della certificazione KPMG): prezzo reale pagato, scontati i 20 miliardi rifinanziati, 26,5 miliardi a fronte di un valore di almeno 110 miliardi; In Roma, dicembre ‘91/ gennaio ‘92".
Sulla non irrilevante vicenda la Commissione non ha potuto, per ragioni di tempo, avendo privilegiato altri accertamenti , compiere specifiche indagini.
La questione presenta, comunque, specifiche connotazioni, che non appaiono suscettibili di favorire la ricostruzione di un quadro d'insieme, e del tutto disgiunta dalla vicenda della cessione dell’intero patrimonio alla SGR.
Si tratta di un supposto illecito specifico di cui si dà conto riferendo che il Giudice per l’udienza preliminare con sentenza del 25 novembre 2000 ha prosciolto gli imputati dall’addebito con la formula "il fatto non sussiste".
2. Il procedimento riguardante la cosiddetta "truffa dei vitelli"
L’Ufficio del pubblico ministero di Perugia ha promosso, in data 1° giugno 1999, azione penale nei confronti di 24 persone per una frode connessa con l’allevamento di animali, in danno del consorzio agrario provinciale di Perugia, in liquidazione coatta amministrativa e dichiarato insolvente in data 12 ottobre 1996, e della Federconsorzi (procedimento n. 975/93 N.R.).
La vicenda penale richiede autonoma menzione per molteplici ragioni. Alla rilevante entità della frode si accompagna, infatti, la rappresentazione della permeabilità della struttura di vigilanza interna della Federconsorzi e l’inaffidabilità della contabilità.
Essa investe ancora una volta l’ex presidente del Tribunale fallimentare di Roma ed apre uno sconcertante scenario.
Non emergono tuttavia elementi decisivi per la ricostruzione globale della vicenda Fedit.
La Commissione non ha, pertanto, ritenuto opportuno procedere ad approfondimenti.
La questione non è stata ancora sottoposta al vaglio del giudice per l'udienza preliminare.
Il principale imputato si identifica in Costantino Franceschini, amministratore della società Ceas s.r.l. e procuratore della Caso s.r.l., entrambe aventi per oggetto l'allevamento del bestiame.
Tra gli imputati compaiono il dottor Paolo Bambara, ex direttore generale della Federconsorzi; il dottor Giorgio Cigliana, già commissario governativo della Federconsorzi; il dottor Ivo Greco, già presidente del tribunale fallimentare di Roma; l'avvocato Stefano D'Ercole, già commissario governativo Fedit; il dottor Gianluca Brancadoro, già subcommissario governativo Fedit, e l'avvocato Ludovico Pazzaglia, subcommissario giudiziale.
Gli imprenditori - o presunti tali - privati sono accusati di associazione per delinquere.
La vicenda si può sintetizzare in una fittizia attività di compravendita e di allevamento di fittizio bestiame, posta in essere dal 1985 al 1993, da Franceschini ed altri con la complicità del corrotto responsabile del consorzio di Perugia.
Operavano due società, la Ceas e la Caso, che apparivano come due società separate ma in realtà erano controllate dalla stessa persona, e cioè da Franceschini.
La Ceas vendeva bestiame al consorzio agrario di Perugia per contanti e la società Caso provvedeva al riacquisto dello stesso a mezzo cambiali, simulando di procedere all’allevamento e alla stabulazione dello stesso.
Ciò comportava, con la complicità del direttore del consorzio di Perugia, dottor Sartori, una sempre maggiore esposizione del consorzio stesso.
Il bestiame era di asserita provenienza francese mentre in realtà non esisteva affatto o, ove esisteva, proveniva dall’Italia.
Il profitto consisteva nel ricevere pagamenti in contanti dal consorzio di Perugia per il presunto allevamento e nell’assumere impegni soltanto cartacei.
Le irregolarità cominciarono ad emergere fin dal tempo della gestione Pellizzoni ma il funzionario Fedit, dottor Peretti, che era responsabile del settore, non subì alcuna conseguenza. Fu infatti allontanato per iniziativa del dottor Pellizzoni, ma il rapporto di lavoro fu risolto consensualmente e gli vennero liquidati 736 milioni di competenze.
Scrive il pubblico ministero di Perugia : "L'allora presidente della Fedit Scotti riferisce che l'ipotesi della risoluzione consensuale gli venne perorata dal funzionario della segreteria o dal gabinetto della Presidenza della Repubblica, circostanza questa confermata anche da altro funzionario Fedit, Frosina Domenico, il quale riferisce di aver appreso dallo stesso Peretti che si era rivolto al segretario generale del Quirinale spendendo l'amicizia personale con il Presidente della Repubblica".
Eppure la Fedit affrontava l'impegno finanziario di un concatenarsi di cessioni da un soggetto all’altro, senza alcuna garanzia sul buon esito dell’operazione.
La Ceas forniva formalmente bestiame alla Fedit, che pagava in contanti, rivendendolo al consorzio di Perugia che pagava non in contanti, ma con cambiali agrarie a scadenza di sei mesi.
Il consorzio di Perugia trasferiva il bestiame agli allevatori.
Questi ultimi vendevano nuovamente il bestiame alla Ceas. Successivamente, una volta completato il ciclo d’ingrasso, la Ceas vendeva per la seconda volta il bestiame alla Fedit cominciando un nuovo ciclo.
Non esistendo il bestiame, i cicli si ripetevano e tutto ciò consentiva grande profitto alla Ceas e si risolveva in un grave danno per la Fedit malgrado quest'ultima cedesse ad Agrifactoring i titoli degli allevatori.
Intervenuto il commissariamento della Federconsorzi, l'attività zootecnica proseguì.
Fu il commissario Cigliana a chiedere al giudice Greco la prosecuzione dell'attività zootecnica, sulla base di un parere rilasciato dal perito agronomo Gerardo Bilotta di Avellino.
Costui, in tale prima fase, svolse attività di consulente di parte e successivamente fu nominato perito di ufficio sulla stessa vicenda dal presidente Greco.
Ne sono scaturite imputazioni elevate a carico di pubblici ufficiali.
Infatti al dottor Cigliana, quale commissario governativo; al dottor Bambara, quale direttore generale della Fedit; all'avvocato Ludovico Pazzaglia, come subcommissario giudiziale; al dottor Ivo Greco, quale giudice delegato al concordato preventivo; ai signori Cupo e Bilotta, quali periti liquidatori, e al signor Costantino Franceschini è ascritto di aver concorso in bancarotta fraudolenta perché facevano proseguire l'attività zootecnica della Fedit in concordato preventivo, così distraendo ulteriori risorse finanziarie della Fedit, in base a motivazioni ritenute pretestuose, supportate da una perizia redatta da Cupo e Bilotta, nominati dal tribunale fallimentare di Roma per accertare l’esistenza fisica del bestiame e stimarne il valore.
I due si rendevano, secondo l'accusa, responsabili di un falso elaborato, attestando l’esistenza di bestiame che in realtà non esisteva.
Agli stessi imputati è attribuito anche un ulteriore profilo di bancarotta fraudolenta in concorso con l'avvocato Stefano D'Ercole, quale commissario governativo, e con il dottor Gianluca Brancadoro, quale subcommissario, con i signori Rossi ed Arganini, quali controllori per conto della procedura, per aver distratto risorse finanziarie nella liquidazione del patrimonio zootecnico della Fedit con un danno di circa 100 miliardi.
Processi riguardanti la Federconsorzi
3.1 Il processo relativo alle restituzioni in favore del Credito Italiano
I responsabili amministrativi della Fedit, alla data del commissariamento, dottori Silvio Pellizzoni, Paolo Bambara, Paolo Lorenti, Giancarlo Dodi, Guido Botti, Fiorenzo Ilari, Franco Franzero ed i responsabili della filiale di Roma del Credito Italiano, Rosario Corso e Emilio Simon, furono chiamati a rispondere dinanzi alla sesta sezione penale del Tribunale di Roma dell'accusa di bancarotta fraudolenta preferenziale.
L'addebito era il seguente: avere gli amministratori della Fedit, d'intesa con i funzionari della banca, eseguito a favore di quest'ultima, lo stesso giorno del commissariamento, un pagamento di ben 39.324 milioni, con il fine di favorirla, privilegiandola rispetto agli altri creditori.
Il pagamento fu effettuato: quanto a lire 29.324 milioni mediante la consegna, previa girata, di 2.500 cambiali agrarie a firma di agricoltori e produttori agricoli; quanto a lire 10 miliardi mediante cambiali di pari importo emesse dai consorzi agrari.
Il processo si è concluso con l’assoluzione, passata in giudicato e, quindi, definitiva, di tutti gli imputati, con sentenza del Tribunale di Roma del 16 giugno 1998 con la quale si è escluso che sussistesse uno stato di insolvenza della Federconsorzi e che, comunque, esso fosse percepibile da Credito Italiano.
3.2 risultanze della ricognizione eseguita presso gli uffici giudiziari
Allo scopo di accertare se la gestione di consorzi agrari avesse dato luogo in tempi recenti a fatti di rilievo penale, la Commissione ha eseguito un ricognizione presso tutti gli uffici giudiziari italiani.
Dai dati pervenuti, risulta che sono stati instaurati, e solo in un caso definiti, sette procedimenti concernenti specificamente illeciti gestionali.
l numero di essi, non apparirebbe particolarmente elevato se i consorzi non fossero società cooperative soggette alla vigilanza pubblica di cui si è trattato nel capitolo terzo.
Infatti, tenuto conto del numero complessivo dei consorzi, il tasso di illiceità giudiziariamente rilevato non sembra accettabile e rafforza il convincimento già raggiunto dalla Commissione sulla inadeguatezza dei controlli.