Relazione del generale Bava sulla sommossa di Milano del 1898

Fiorenzo Bava Beccaris

1898 Storia Relazione del generale Bava sulla sommossa di Milano del 1898 Intestazione 1 giugno 2018 75% Da definire

Milano, addì 29 maggio, 1898.

Condizioni della sicurezza pubblica in Milano

Le condizioni della sicurezza pubblica in Milano, prima della rivolta, sono abbastanza bene delineate noi rapporti del Prefetto e del Questore che accompagnano questa mia relazione nella quale, il più succintamente possibile, mi studio di riassumere gli avvenimenti trascorsi, facendola precedere da alcune mie considerazioni.

Dopo le parziali rivolte avvenute a Faenza, Bari ed altre località, sotto il pretesto del rincaro del grano, io ebbi sempre un presentimento che anche qui in Milano si sarebbe fatta qualche grave dimostrazione, antesignana di una sommossa a scopo politico sociale.

Veramente qui in Milano, la città più florida d'Italia, dove l'operaio trova una soddisfacente rimunerazione al suo lavoro, e dove lo sviluppo di ogni specie di cooperative concorre a mantenere i prezzi dei generi di alimentazione in una misura tollerabile anche in momenti di crisi, qui in Milano, dico, mancava il motivo di proteste o tumulti e si poteva a tutta prima supporre che l'ordine pubblico non sarebbe stato turbato.

Ciò malgrado, come dissi in principio, io non ero tranquillo; ricordavo l'«osate, osate» pronunciato dal Dario Papa dalle finestre dell'Italia del Popolo nelle sere nefaste delle dimostrazioni dopo la battaglia d'Adua; ricordavo i tentativi fatti in quelle sere dal partito repubblicano per impadronirsi del Municipio; ricordavo la propaganda continua fatta dai giornali Secolo, Italia del Popolo ed Osservatore Cattolico, in ibrido connubio uniti, contro la Monarchia e specialmente contro l'Esercito, alla quale propaganda facevano coro anche quei giornali che, pur rimanendo tepidamente nell'orbita delle istituzioni, predicano sempre che le spese militari sono la rovina economica del paese.

Non potevo dimenticare che, in epoche recenti, qui in Milano si erano fatte dimostrazioni e tenute pubbliche concioni, nelle quali più o meno velatamente dai capi del partito socialista e repubblicano si era proclamato che l'ora della insurrezione era vicina.

La grande massa d'operai dei numerosi stabilimenti industriali situati quasi tutti alla periferia, e che si sapeva essere tutti o quasi tutti ascritti al partito socialista, rappresentavano per me un esercito ben organizzato, al quale mancava solo l'occasione, il motto d'ordine per insorgere.

Condizioni della Pubblica Sicurezza nel territorio dipendente

Nè migliore mi risultava essere lo stato della pubblica sicurezza nel territorio del Corpo d'Armata; i numerosi centri manifatturieri nei circondari di Monza, Gallarate, lungo l'Adda, il Serio e nelle provincie di Bergamo e Brescia, erano minacciati dalla propaganda socialista, mentre d'altra parte i contadini erano alla mercé dei numerosi comitati diocesani e parrocchiali, la propaganda dei quali, per quanto meno esplicitamente contraria alle istituzioni, non riusciva per questo meno terribile e dannosa.

A Brescia e Bergamo erano già avvenute delle dimostrazioni pel rincaro del pane; altre se ne temevano a Lecco, Varese, Luino, nei dintorni di Gallarate, di Lodi, di Abbiategrasso. — Insomma l'agitazione latente di Milano si ripercuoteva in tutto il territorio del Corpo d’Armata, mentre si erano dovute diminuire lo già scarse truppe, per l'invio di due battaglioni a Napoli, dei presidi di Bergamo e Brescia.

Mancava un movente comune che riunisse tutte questo tendenze al disordine, e non esistendo che in poche località il pretesto del rincaro del pane, lo si cercò nella chiamata della classe 1873; ed infatti a Varese, Lecco, Monza e nella stessa Milano si segnalavano probabili disordini per impedire la partenza dei richiamati, che stavano regolarmente affluendo ai relativi distretti.

Malgrado quindi tutte le assicurazioni avute, come ho detto, qui in Milano, era mio dovere prepararmi a far fronte ad ogni eventualità, coi mezzi di cui disponevo.

Situazione militare

Già fin dai primi di aprile scorso, invitavo i Comandanti dei presidi principali del Corpo d'Armata a farmi conoscere la forza disponibile pel servizio di pubblica sicurezza, forza che pel presidio di Milano, è riassunta nello specchio annesso.

Come si rileva dal detto specchio le forze erano esigue assai, ammontavano cioè a 2000 uomini di fanteria, 600 di cavalleria, e 300 circa di artiglieria a cavallo, né io potevo a priori contare su rinforzi, tenuto conto delle condizioni generali del paese e della comunicazione telegrafica di cotesto Ministero, Circolare N. 2373 (allegato 2°) colla quale si ingiungeva a tutti i Comandati di presidio di calcolare esclusivamente sui propri mezzi.

Debbo inoltre far notare che, oltre al fatto che lo reclute, anche quello istruite col metodo ginnastico educativo, non avevano ancora compiuta la loro istruzione, in seguito alla chiamata alle armi della classe 1873, nei giorni della loro affluenza, vestizione ed inquadramento nei reggimenti (6-7-8 maggio), si era in un periodo di crisi che portava ad un'altra diminuzione delle forze disponibili.

Sin dal 30 aprile emanavo l'ordine che i vari Comandanti di presidio si mettessero in relazione colle Autorità politiche, e che provvedessero che i tumulti fossero repressi colla massima energia al loro nascere; ed in data 4 maggio prescrivevo speciali misure di precauzione pei quartieri, od ordinavo che le istruzioni alle truppe fossero fatte in piazza d'armi o nei dintorni immediati della città in modo da poter essere pronto al primo cenno. (Allegato 2° e 3°).

Pel presidio di Milano poi d'accordo col Tenente Generale cav. Del Majno Comandante il Presidio, si stabilì di fare due nuclei delle truppe disponibili, uno che fosse a disposizione della Questura, l'altro da conservarsi in riserva alla Caserma San Francesco.

Peggiorando la situazione generale del Regno, con telegramma del 2 corrente (allegato 4°) V. E. mi comunicava un telegramma diretto da S. E. il Ministro dell'Interno ai Prefetti, col quale li autorizzava ad affidare in caso di bisogno all'Autorità militare il ristabilimento dell'ordine.

Nella notte del 5 maggio la locale Prefettura avendomi notificato che si temeva qualche dimostrazione pel mattino successivo, per parte degli operai che entrano in città, per recarsi al lavoro, richiamavo telegraficamente in Milano il 5° reggimento Alpini che si trovava alle sedi estive, ed inviavo per misura precauzionale, due distaccamenti rispettivamente a Varese ed a Lecco; tuttociò riferivo a V. E. con mio foglio del 6 maggio, n. 1551. I disordini temuti anziché al mattino, scoppiarono nel pomeriggio del giorno 6.

Essi sono descritti distesamente nel rapporto del Maggioro cav. Montuori, che qui si unisce (allogato n. 5).

L'Autorità politica, la mattina del giorno 7 (sabato) mi mandava un dispaccio telefonico verso le 10 1|2 col quale mi preavvisava che, vista la situazione minacciosa, mi avrebbe affidata la direzione del ristabilimento dell'ordine e che stava preparando apposito manifesto; in quel momento stesso il Comandante del presidio mi venne a dire che tutti gli operai degli stabilimenti scioperavano e che la marea montava.

Si stabilì allora che egli si portasse subito in Questura per avere direttamente sotto mano e truppa e funzionari; mentre io mi recai dal Prefetto per prendere cognizione esatta della situazione. — Erano le 11.30 circa ed in quell'ora i rivoltosi si erano addensati minacciosamente a Porta Venezia, dove erigevano barricate; ritornato in Questura presi sollecitamente le più urgenti disposizioni per l'impiego delle truppe lasciandone la direzione al Generale Del Majno, nell'intelligenza ed energia del quale avevo piena fiducia.

Poco dopo (a mezzogiorno) mi arrivò il seguente dispaccio telefonico dai Prefetto : oggi si pubblicherà manifesto col quale si affida Autorità militare ristabilimento ordine. — Prego intanto assumere da ora direzione. — Questura resta suoi ordini per quanto riguarda concorso a ristabilire ordine.

A questo punto la situazione era già pregiudicata, i rivoltosi erano già in massa alle varie porte e principalmente a Porta Venezia; non si poteva quindi più pensare ad impedire loro l'entrata in città.

Non rimaneva quindi che concentrare le poche truppe disponibili in Piazza del Duomo e di là irradiarsi sui punti minacciati.

Ritornai in ufficio, dettai un proclama ai Milanesi, telegrafai al Presidio di Como e di Lodi che tenessero pronti a partire per Milano al primo cenno rispettivamente un battaglione e due squadroni; e quindi seguito dal mio Capo di Stato Maggiore e dall'ufficiale d'ordinanza, mi portai a cavallo in Piazza del Duomo per prenderò esatta conoscenza della situazione; ivi mi convinsi della serietà del pericolo, essendoché in via Torino le barricate erano già giunte ad un centinaio di metri da Piazza del Duomo.

Le notizie avute poi segnalavano il sorgere di numerose barricate per tutte le vie che sboccano in detta Piazza, barricate a dir vero non molto ostinatamente difese, ma che appena allontanata la truppa e distrutte, rapidamente venivano ricostruite.

L'azione energica della truppa è chiaramente indicata nell’unito rapporto del Generalo Del Majno; essa si svolse secondo le mie direttive, e a lunghi tratti si può così riassumere:

Giorno 7 maggio. — Mantenere il possesso della Piazza del Duomo, respingendo più che si poteva i rivoltosi verso le porte.

Giorno 8 maggio. — Occupazione della linea delle porte e dei bastioni.

Giorno 9 maggio. — Occupazione dei sobborghi e delle linee ferroviarie.

Giorno 10 maggio. — Protezione degli stabilimenti industriali e del ritorno al lavoro degli operai.

Nelle prime ore della sera del giorno 7, giusta l'ordine di S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri, proclamavo lo stato d'assedio nella provincia di Milano, pubblicavo i primi ordini e la mia nomina di R. Commissario con pieni poteri.

Ebbi, nella pronta preparazione dei decreti e dei bandi relativi, la efficace cooperazione del Prefetto Winspeare, che volle mettersi subito a mia disposizione con un lodevole sentimento di abnegazione; così pure mi fu valido aiuto il signor Procuratore Generale, e specialmente il Questore.

La situazione alla sera del giorno 7 era inquietante; gli scioperi si erano fatti generali anche fra gli operai dell'interno della città; formavano in tutto una massa imponente di più di 60,000 scioperanti; si tentò lo sciopero anche per parte dei macchinisti; infatti questi, accampando minacce ricevute, avevano abbandonato le locomotive sui binari, allo scopo di non lasciar arrivare i soccorsi.

Le notizie della vicina Monza, dove era avvenuto un conflitto colla truppa, erano allarmanti o facevano presagire guai maggiori.

Occorreva prevedere colla massima energia, non solo in linea militare, ma anche in quella politica; emanai perciò senza indugio i decreti per sopprimere i giornali: Secolo, Italia del Popolo, Osservatore Cattolico, decretando l'immediato arresto dei loro redattori; parimenti ordinai al Questore di procedere all'arresto di tutti i capi, compresi i Deputati socialisti e repubblicani, che si si ritenevano promotori od istigatori della sommossa, presenti in Milano; provvidi finalmente per lo scioglimento di tutte le società socialiste e repubblicane, o tra queste di quella potente della Lega dei ferrovieri, abbenchè mi si facesse balenare il pericolo di uno sciopero, al quale si sapeva istigatore violento il Deputato Nofri, per quanto non siasi potuto constatarne la presenza a Milano, né raccogliere elementi sufficienti per provocarne l'arresto.

Infatti, fra i documenti sequestrati dopo, si trovò una circolare in data 8 maggio, a firma di certo Perugini, colla quale era indetto lo sciopero fra i ferrovieri nel caso venisse arrestato il presidente o sciolta la Lega.

Nel giorno 9, informato che i macchinisti di questa stazione si erano messi in isciopero ed avevano abbandonato le locomotive sui binari adducendo per pretesto minaccie avute dai rivoltosi, ordinai di deferire al Tribunale militare quelli che persistessero, provvedendo in pari tempo alla loro sicurezza con convenienti scorte sulle macchine stesse; così il minacciato sciopero fu scongiurato per quel giorno ed eliminato definitivamente colla saggia misura presa da V. E. della chiamata delle classi ferrovieri sotto le armi.

Intanto avevano cominciato ad affluire i rinforzi ordinati da codesto Ministero, cioè due battaglioni del 91° e 92° provenienti da Novara, oltre a quasi tutto il 5° reggimento alpino ed al battaglione del 48° fanteria proveniente da Como e ad uno squadrone dell'Umberto I.

Con tali forze, e con quelle che arrivavano nel giorno successivo, la rivolta si poté considerare domata nel giorno successivo 8, corno (?) ebbi l'onore di telegrafare a S. E. il Presidente del Consiglio ed a V. E., con mio telegramma N. 1651 di detto giorno, spedito ad ore 17,40, dovendosi ritenere l'episodio di via Monforte del giorno 9 come un fatto isolato e di secondaria importanza.

Sin dalla sera del giorno 8 avevo invitato gl'industriali ad aprire per l'indomani i loro stabilimenti : ed allo scopo avevo pure rivolto un caldo appello agli operai, la maggioranza dei quali lo accolse con simpatia, e nel mattino stesso, gli stabilimenti si sarebbero riaperti tutti, se si avesse avuto disponibile forza sufficiente per proteggere i buoni contro i perversi. Malgrado ciò, il lavoro si riprese nella giornata in parte di essi, e nel successivo martedì tutti e quanti gli stabilimenti ripresero il loro andamento normale.

Le truppe erano però oltremodo stanche: si può dire che dalla sera del giorno 6 erano sotto le armi fuori dei loro quartieri ed al bivacco sulle piazze o nelle vie; si è perciò, che nel giorno 8 telegrafai al Generale Pelloux a Rogoredo ed al Generale Marras ad Abbiategrasso, di accelerare il più che fosse possibile la marcia delle rispettive colonne che stavano concentrandosi in dette località per ordine di cotesto Ministero, anche semplicemente colle armi a cavallo.

L'arrivo di tali truppe nella sera dell'8 e nel mattino del 9 permise infatti di dare al presidio di Milano il necessario respiro.

Avvenimenti nel territorio del Corpo d'Armata

L'eco dei disordini e della rivolta di Milano e le false ed esagerate notizie diffuse, non potevano non esercitare un'influenza nociva nel territorio del Coipo d’Armata, per cui nei giorni 6 e 7 affluirono insistenti domande telegrafiche dalle Autorità politiche e dai Comandanti dei presidi tendenti ad ottenere invio di forze. Conscio della grande responsabilità che mi incombeva e della suprema necessità anzitutto di reprimere energicamente la rivolta a Milano, per l'effetto morale che ne sarebbe derivato, rifiutai sempre, ordinando ai Comandanti di presidio di provvedere colle proprie forze alle necessità del momento, e supplendo coll'impiego energico di esse alla relativa deficenza.

E siccome l'agitazione aveva per pretesto visibile la partenza dei richiamati, dovetti provvisoriamente sospenderla pei presidi di Lecco, Varese, Lodi, Como e Monza. Per quest'ultima località le notizie avevano una speciale gravità: le dimostrazioni si succedevano e nella sera del giorno 7 la truppa attaccata aveva dovuto far fuoco. Tutti gli operai si erano messi in sciopero, si temeva per la Villa Reale, e, d'altra parte, la sua vicinanza faceva nascere il pericolo, che quei rivoltosi, qualora la forza pubblica avesse la peggio, non si unissero a quelli di Milano.

Si è perciò che, quantunque le condizioni di questa città fossero ancora critiche, alle tre del giorno 8 facevo inviare a Monza da Milano per ferrovia con treno speciale due compagnie alpine, mentre per via ordinaria vi dirigeva uno squadrone.

Malgrado tali rinforzi continuandosi ad aggravare la situazione, inviai colà nel giorno 9 un altro squadrone con una sezione d'artiglieria, ed affidai il Comando di quella zona al Colonnello cav. Cocito Comandante il 5° Reggimento Alpini.

Mercé l'energiche disposizioni da lui prese l'ordine fu sempre mantenuto.

Tumulti a Luino

Altri tumulti erano segnati a Luino dove, il giorno 10, carabinieri e guardie di finanza dovettero far fuoco sulla folla, che tentava assaltare quella caserma. Si ebbero a deplorare 4 morti e 10 feriti. Il pronto accorrere di una compagnia Alpina da Milano ripristinò l'ordine.

Provvedimenti per ristabilire la calma nel territorio

Repressa la rivolta di Milano e di Monza, era urgente provvedere energicamente al pronto ristabilimento dell'ordine nel territorio del Corpo d’armata: i tumulti del Monzasco aggravati da quelli che andavano manifestandosi a Cassano d’Adda, Fara d’Adda, Trezzo e nei dintorni di Luino e di Lecco, mi facevano temere uno sciopero generale, del resto preannunziato, di tutti quei centri manifatturieri allo scopo evidente di venire a dare la mano ai rivoltosi di Milano.

A scongiurare un tale pericolo, sin dalla notte dell'8 al 9 telegrafai al Comandante la Divisione Militare di Brescia, perché costituisse subito una colonna mobile delle due armi e la spingesse rapidamente per Treviglio su Cassano d'Adda per agire energicamente nel territorio tra Fara d'Adda ed il Serio.

L'azione di questa colonna nei giorni 9 e 10 e successivi ricondusse la quiete in quella località.

Contemporaneamente prendeva il provvedimento di dividere il territorio delle due provincie di Milano e Como in quattro zone militari, adeguatamente provviste di fanteria e cavalleria, come ebbi a comunicare a V. E. col mio ordine del giorno 10 maggio N.° 86 (allegato N.° 6), prescrivendo l'irradiamento giornaliero di numerose colonne mobili da ogni centro di zona, che facessero sentire la loro azione ovunque. Tali istruzioni si trovarono conformi a quelle emanate poi da codesto Ministero con sua circolare 12 maggio N. 2952.

Queste disposizioni unitamente alla impressione profonda, prodotta dalla repressione pronta ed energica della rivolta di Milano e Monza, valsero ben presto a togliere ogni velleità di disordini.

Allarmi al confine svizzero

Alcuni dei promotori dei tumulti di Milano, sfuggiti alle ricerche e riparatisi in Svizzera, sobillarono i numerosi operai italiani colà residenti e già preparati da lunga mano, per cui dovendosi temere, giusta le informazioni avuto da codesto Ministero, una pericolosa invasione di elementi socialisti ed anarchici da quella frontiera, proclamai l’11 corrente lo stato d'assedio anche nella provincia di Como; e giusta gli ordini di V. E., concentrai, in detto giorno e nel mattino successivo, a Como una colonna mobile composta di quattro battaglioni, una batteria e quattro squadroni di cavalleria. Successivamente concentravo a Como nel giorno 13 la colonna mobile anzidetta della Divisione militare di Brescia, dando il Comando supremo al Maggior Generale Ponza di S. Martino.

È noto a V. E. come il pericolo sia sfumato e come tutto si ridusse al rimpatrio di duecento operai italiani eseguito dalla Autorità del Canton Ticino.

Repressi i disordini, mantenuta la calma, pensai a renderla stabile con la pacificazione degli animi. Detti appropriate istruzioni ai Comandanti di zona e delle due colonne mobili perché, nelle loro ricognizioni, i vari Comandanti di truppa si soffermassero nei singoli paesi, si mettessero in relazione colle Autorità Municipali, Civili, Ecclesiastiche, cogl'industriali e cogli operai, facessero opera conciliatrice per togliere ogni protesto di scioperi e di malumori. Ed anche in questa nobile missione mi è grato constatare che gli Ufficiali misero tutto l'impegno, e le notizie fornite ci sono realmente confortanti.

Contegno della Truppa

Credo opportuno rilevare in modo particolare il contegno veramente commendevole della truppa; tanto quella appartenente al presidio stabile di Milano, a cui toccò la parte essenziale nella repressione dei tumulti, quanto i rinforzi successivamente arrivati, furono veramente ammirevoli e per contegno calmo e sereno, per la resistenza alle fatiche, per la noncuranza dei pericoli, ed anche per la longanimità e la moderazione di cui diedero prova.

Meritano speciale menzione i richiamati; essi si presentarono regolarmente fin dalla sera del 6, ed inquadrati nella notte dal 7 all'8, per quanto appartenenti alla provincia e molti di essi alla città stessa di Milano, non ebbero un momento di esitazione, e tennero anch'essi una condotta veramente ammirevole.

Solo i feriti gravi abbandonarono la lotta e furono ricoverati all’Ospedale miiitare; molti altri invece continuarono nell'azione, dimodochè il numero totale è sensibilmente superiore a quello già notificato a codesto Ministero, sale cioè ad un soldato morto, 4 Ufficiali e 44 soldati feriti, oltre ad una guardia di pubblica sicurezza uccisa e tre guardie ferite.

Alla moderazione, alla disciplina sempre mantenuta dagli Ufficiali, si deve se, su zona sì larga ed in tanti scontri coi rivoltosi, si ebbe a lamentare un numero relativamente limitato di vittime.

Si fece fuoco solo quando fu strettamente necessario per sgombrare le barricate, ed anche allora si eseguì solo qualche sparo a comando; certo, se si fosse usufruito della celerità di tiro del nostro fucile, ben maggiori vittime vi sarebbero state.

Se si impiegò anche il cannone a Porta Ticinese nel pomeriggio del giorno 8, lo si fece più che altro per incutere un salutare timore; tant'è vero che, in seguito all'unico colpo a mitraglia, sparato appositamente alto, si ebbero a deplorare solo tre morti, riuscendo per contrario a sciogliere completamente i rivoltosi, che con estrema noncuranza della vita continuavano a rimanere esposti al fuoco della fucileria.

E non è a dire che le provocazioni mancassero. Oltre ai colpi di revolver che partivano dalle case ed alla pioggia delle tegole, ed alle sassaiuole, che accoglievano l'inizio di ogni movimento di truppe, non vi è vituperio che la folla, briaca d'anarchismo, non abbia loro lanciato.

I fischi, gli urli e lo imprecazioni dimostravano pur troppo l'effetto di anni ed anni di dissolvimento morale.

Vi furono parecchie vittime innocenti, specialmente nei giorni 7 e 8, e ciò si deve attribuirò in particolar modo al fatto che la popolazione, per malsana curiosità, assisteva dalle finestre, al combattimento che aveva luogo nelle vie.

Il mio bando del 7 corrente (allegato N. 7) prescrivente la chiusura delle finestre, mise riparo ad un tale gravissimo inconveniente.

Contegno dei rivoltosi

Al contegno calmo della truppa faceva strano contrasto quello dei rivoltosi. Le donne si segnalavano in modo speciale per la noncuranza del pericolo e per gli insulti che prodigavano all'Esercito.

Persuasi dalle debolezze del passato, che la truppa non avrebbe fatto fuoco, si immaginarono certamente che presentandosi in grandi masse presso la Piazza del Duomo avrebbero senz'altro trionfato. Per quanto relativamente pochi di essi fossero armati di revolver, col coraggio di neofiti, si esponevano al fuoco delle truppe, si riannodavano dopo ogni scarica, per modo che, a Porta Ticinese, il solo effetto del cannone potè indurli a sciogliersi.

Alla maggioranza di illusi e di pervertiti dalle teorie repubblicane e socialiste, va aggiunto il solito codazzo della gente di malaffare, degli anarchici, e di tutti quelli che pescano nel torbido di ogni rivolta,

I saccheggi, fortunatamente repressi al loro inizio, del palazzo Saporiti, in altre case del Corso Venezia, in Corso Porta Ticinese, in Via Torino (allegato N. 8) dimostrano che anche numeroso era il contingente di questi bassi fondi della plebe milanese.

L'azione dei rivoltosi prova, che essi dovevano essere diretti da gente intelligente e pratica, come già è accennato nel rapporto del Generale Del Majno; la tenacia nel costrurre e ricostrurre le barricate, l'opportuna e abile scelta dei centri di resistenza, l'abile concetto direttivo emergente dalla ubicazione e dalla reciproca relazione delle barricate, mette in chiara luce lo studio preventivo di questi mezzi di rivoluzione.

Numerosi ciclisti collegavano l'azione nelle varie località, e si spingevano nelle campagne a promuoverne l'agitazione ed a spargere false nuove.

Tutto ciò dimostra una accurata organizzazione preventiva; ma la deficenza di armi, poichè dei rivoltosi, quelli armati di revolver costituivano la minoranza, tende a provare che il moto deve essere scoppiato prima del tempo fissato.

La chiamata della classe 1873 e l'episodio del giorno 6 in via Napo Torriani, fecero, a mio avviso, precipitare gli avvenimenti.

È lecito quindi supporre che il moto di Milano doveva scoppiare qualche giorno più tardi, mentre l'agitazione e 11 sommossa si andava allargando in tutta Italia, collegandosi al movimento degli italiani residenti in Svizzera.

Nell'adempiere al compito che il Governo m'ha affidato, io mi sentii animato non solo dal sentimento del dovere e da un intenso sentimento di amor patrio e di devozione al Sovrano, ma altresì dalle disposizioni preciso ed energiche datemi da V. E. e da S. E. il Presidente del Consiglio, il quale, con una continua e benevola approvazione dei singoli miei provvedimenti, non mi lasciò un istante perplesso sulla via che doveva seguire.

L'approvazione del Sovrano e del Governo data alla mia opera ed a quella degli ufficiali, truppa, funzionari ed agenti, e manifestata con successivi e lusinghieri telegrammi, fu per noi tutti un largo compenso al dovere compiuto.

Ora la città, la provincia e tutto il territorio sono rientrati nella vita normale; «si respira» è il motto generale.

Pervengono continuamente segni non dubbi di gratitudine da ogni parte, per me, per gli ufficiali e per le truppe, e questi attestati se sono e saranno sempre un titolo di onore per noi tutti, sono pure una prova del modo benevolo con cui è stata apprezzata l'opera salutare del governo.

Per ultimo credo mio dovere segnalare al governo l'opera altamente commendevole e patriottica prestata dall'Unione Popolare Milanese. Oltre la somma ingente raccolta a beneficio dei soldati feriti e delle famiglie dei richiamati, fin dai primi giorni della sommossa molti dei giovani soci, con una abnegazione non scevra da pericoli, organizzarono una distribuzione di soccorsi ai soldati, non solo alle porte della città, ma anche nella zona esterna, ai drappelli più lontani, contribuendo così con le loro dimostrazioni di affetto a mantenere alto il morale delle truppe.

Anche il Municipio è degno di lode per avere con grande larghezza corrisposto alle richieste militari, e per la prontezza colla quale seppe rendere liberi e mettere a disposizione i locali occorrenti al ricovero delle numerose truppe, che in così poco tempo affluirono a Milano, e provvedere ai relativi servizi.

Conclusione

I disordini sono stati repressi, ma purtroppo permangono le cause e si rinnoveranno indubbiamente in tempo non lontano, con miglior preparazione, e con l'ammaestramento dell'esperienza, se esse con criterio oculato e continuo, non verranno rimosse.

I tumulti di Milano non costituiscono un fatto isolato od accidentale, ma sono a parer mio la conseguenza del lavoro dei partiti sovversivi, della debole ed incostante difesa opposta al loro sviluppo. nonché dell'apatia del partito liberale e d’ordine, e della indifferenza delle classi dirigenti. Mentre i socialisti da un lato predicano alle masse operaie, non più contenute dalla fede ed anelanti al miglioramento della loro condizione, un illusorio avvenire di prosperità, dall'altra taluni sacerdoti, specialmente i vice-parroci giovani, nelle campagne predicano ai contadini la guerra contro le istituzioni, nell'evidente intento di far sorgere disordini, e nella speranza di ristabilire, colla disgregazione e rovina della patria, il potere temporale. E così i socialisti, approfittando dell'apatia generale, si impadroniscono di gran parte dei consigli di amministrazione delle società cooperative, s'infiltrano nei Municipi, creano le camere di lavoro, s'impongono agli industriali ed, a poco a poco, col lavorìo costante, lento o dissolvente, dominano moralmente e materialmente gli operai, che fanno scioperare e muovere a loro talento.

Qui in Milano un tale lavorìo ha raggiunto l'apogeo; i socialisti erano persino riusciti ad impadronirsi del Consiglio d’amministrazione dell'Umanitaria e, come si rileva da una lettera sequestrata, facevano già assegnamento sui milioni del lascito Loria per la loro propaganda: era questo il tesoro di guerra della rivoluzione.

Dal lato opposto, il giovane clero, che riceve le sue ispirazioni da un giornale, come l'Osservatore Cattolico, è ben diverso da quello patriottico di un tempo; questo, anche al giorno d'oggi, spiega la sua azione benefica a soli fini religiosi e morali, ma oppresso dalla imposizione degli intransigenti è costretto a rimanersene in disparte; il giovane clero invece dal pergamo, e con una fitta rete di comitati diocesani e parrocchiali, compie in altro senso l'opera dissolvente nelle campagne, e inocula il disprezzo al Re, all'Esercito, allo Autorità, e riesce così allo stesso fine, potente alleato o dei socialisti e dei repubblicani.

Una tale azione deleteria è centuplicata da una stampa sovvertitrice, che diffonde ovunque il veleno, e trova spesso l'impunità nella indeterminatezza delle disposizioni legislative che ne regolano le funzioni ed i diritti, ed offrono la possibilità di essere interpretate troppo benevolmente.

A tutte queste cause un’altra e grave se ne deve aggiungere: la propaganda, cioè, fatta liberamente nelle scuole; non pochi maestri delle scuole primarie qui in Milano sono ferventi apostoli del socialismo; professioni pubbliche di socialismo sono fatte da professori d’Università, e con quale effetto? Basti osservare come nella vicina Pavia la gran maggioranza degli studenti professa dottrine contrarie alle nostre istituzioni.

Per Milano vi è un'altra considerazione di gran peso da tener presente, cioè che questa grande città è la prima d'Italia per l'industria e pel commercio; qui hanno luogo le più importanti transazioni commerciali: ivi le maggiori banche, ivi il continuo affluire dei commercianti, e ben si sa quale influenza essa abbia sul mercato. — Ora è evidente che se queste esplicazioni della vita fossero nuovamente turbate, o vi fosse pur solo il sospetto che venisse indebolita, dopo la cessazione dello stato d'assedio, la tutela dell'ordine pubblico, la vita commerciale ed industriale di questa città, la quale costituisco pur anco una fonte di ricchezza per l'intero Regno, si andrebbe via via affievolendo con danno incalcolabile di tutta la nazione. — Già mi consta, che non pochi detentori di rendita, poco fiduciosi nell'avvenire, cercano di sbarazzarsene per acquistare titoli esteri, ed è anche a presumere che, se non si adottano provvedimenti efficaci per tutelare la proprietà individuale e l'ordine pubblico, i timorosi, gli incerti, che sono la maggioranza, si schiereranno o coi clericali intransigenti, o coi repubblicani, nella speranza di trovare nel trionfo di questi partiti, la sicurezza che loro non è garantita dalle vigenti leggi e dalla loro applicazione.

I danni recati al commercio in questi giorni di rivolta sono incalcolabili; la città rigurgitava di forestieri, che tutti si allontanarono; gli alberghi sono rimasti vuoti; so di molti negozi che ancora al giorno d'oggi, e dopo cioè due settimane di tranquillità, vedono diminuire costantemente i loro introiti giornalieri.

Concludo: lo stato d'assedio, se ha assicurato ed assicura la quiete, non ha tolto le cause dei mali, e, finché queste cause sussistano, è vano sperare in un avvenire migliore.

L'opera di risanamento morale s'impone; e sarà solo possibile coll'azione concorde, perseverante, ed energica di tutte le funzioni dello Stato, congiunta ad una saggia ed illuminata legislazione, che impedisca il propagarsi delle idee sovversive, risani l'ambiente, protegga efficacemente il lavoro onesto, e prenda in amorevole considerazione i bisogni delle classi sofferenti, specialmente della plebe agricola, la quale, anche in questa ricca Lombardia, è talvolta sottoposta a dolorose sofferenze.

Da taluni, fortunatamente pochi, o per spirito di contraddizione, o per intenti partigiani, già si sussurra che, in fondo, la sommossa non è poi stata tanto grave, che erano semplicemente tumultuanti, i quali esprimevano in modo irregolare il loro malcontento. Ed invero, essi dicono, numerose armi non ne avevano, nè si sentirono pronunciare grida incitanti alla rivolta in nome della repubblica e del socialismo.

Armi, è vero, non ne avevano in gran copia, ma se le preparavano coi sassi e colle tegole: ora una piccola quantità di truppa, anche armata di buoni fucili, avrebbe potuto benissimo essere soverchiata dalla massa che tendeva ad accerchiarla da tutte le parti. — L'elemento poi che ora in piazza non aveva certo per obbiettivo quello di instaurare i signori Turati e De Andreis al Governo, ma aveva piuttosto quello di impadronirsi della roba altrui.

Le devastazioni ed i saccheggi, parziali perché impediti, che si sono verificati, dimostrano abbastanza le mire dell'esercito rivoluzionario.

Che se, per qualche disgraziata combinazione, non si fosse giunti in tempo a domare la rivolta, questa avrebbe fatto sorgere una nuova Comune, sogno e speranza degli anarchici, i quali, in questa circostanza, è assai probabile che avrebbero avuto il sopravvento.

Il Comandante del Corpo d'Armata
BAVA.