Ragionamenti/Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa/Giornata terza
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Giornata terza
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DEL DIALOGO DI MESSER PIETRO ARETINO
LA COMARE ESPONE A LA BALIA
PRESENTE LA NANNA E LA PIPPA
IL MODO PER RUFFIANARE.
- Comare
- La ruffiana e la puttana, Balia cara, sono non pur sirocchie, ma nate a un corpo: e madonna Lussuria gli è madre, e messer Bordello padre. Così dicano le croniche, ma io credo che la ruffianaria sia figliuola de la puttanaria, o vero che la puttanaria sia uscita del ventre a la ruffianaria.
- Balia
- A che fine mi entri tu in cotal disputa?
- Comare
- Per la coscia che possa rompere chi ci ha tolto la man ritta: perché egli è forza che la ruffiana partorisse la puttana; e tientelo per certo che così è: e s’è così, non doveria patirsi che ogni puttanuzza fecciosa ci sedesse di sopra ne le feste.
- Balia
- O bene.
- Comare
- Mi stupisco pensando che Salamone non beccasse di così fatte sottigliezze. Or lasciamo andare, e contentiamoci de la nostra arte, la quale ti farà rinascere nel raccontartela io, e a tempo e a luogo ti farò vedere come la puttana ci rende il nostro onore non se ne avvedendo: e fino ai signori lo confessano con il metterci, quando ci favellano in segreto, a destram patribus. Attendimi pure, e poi mi parla.
- Balia
- Eccomi in atte[n]zione.
- Comare
- Balia, io son più che certa di quel che la Nanna qui può avere insegnato a la Pippa, e so che il puttanare non è traffico da ognuno; e perciò il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga benefiziata, ce ne son mille de le bianche. Nientedimeno il ruffianare è di più acutezza. Non nego che il diseperarsi da sieme non sia uno di quelli impacci che hanno le mani mentre, nel volersi lavare da se stesse, si danno l’acqua da lor medesime: ma la ruffiana pesca più a fondo de la puttana; e non ci si torca il muso, che tanto è.
- Balia
- Chi ce lo torce?
- Comare
- Che so io?
- Balia
- Par bene a me.
- Comare
- Guarda a una ruffiana riputata bontà de le sue vertù e vedrai un medico dei più famosi del mondo: stammi pure a udire, se vuoi che io ti imbocchi la mia sapienzia. Ecco là un medico savio ne lo andare, saputo ne lo stare: parla per lettera, scrive per ricette e fa ogni cosa per punti di seste; onde la brigata corre a lui come corre a me la gente, la quale mi conosce per astuta, per sufficiente e per maestra. Un medico va con scigurtà per tutte le case, e una ruffiana che ci sa essere fa il simigliante; un medico conosce le complessioni, i polsi, i difetti, e collere e le malatie di questo e di quello: e la ruffiana i fernetichi, gli umori, le nature e le magagne di chi si voglia; il medico ripara al mal del fegato, del polmone, del petto e del fianco: e la ruffiana al mal de la gelosia, del martello, de la rabbia e del core de le donne e degli uomini. Il medico conforta, e la ruffiana consola il medico sana, e la ruffiana con il menar l’amica a letto fa il medesimo. La cera lieta del medico rallegra lo ammalato, e la faccia balda de la ruffiana ravviva lo amante e tanto più merita la ruffiana del medico, quanto son più pazzi e più indiavolati i mali d’amore che quelli del madrone. Il medico tocca tuttavia denar nuovi, e la ruffiana ancora, e buon per chi si ammala, se il medico vedesse ne la orina quel che vede la ruffiana nel viso di coloro che vengano a lei per aiuto e per consiglio. E sì come il medico vuole essere motteggero, parlante e pieno di facezie, così la ruffiana non vale se non ha sempre in punto cento novellette. Il medico sa promettere di sanare chi si more de l’altro dì, e la ruffiana pone in isperanza colui il qual s’impicca.
- Balia
- Non se ne perde una.
- Comare
- Il medico ha di più sorte robe: e queste porta le pasque quelle i di santi, altre i giorni solenni e altre le domeniche, e la ruffiana muta abito secondo non i tempi, ma secondo le persone con le quali si abocca per condurle a chi le spetta. Caso che io vada a parlare a una gentildonna o a una cortigiana ricca, mi vesto da poverina, per muoverla prima a compassione de la miseria mia e poi d’altrui, a le basse di condizione e di robba comparisco inanzi addobbata in su le forge, e ciò faccio per dar credito a me e speranza a loro.
- Balia
- Come speranza a loro?
- Comare
- Speranza di arricchirsi, parendole io ricca, con i partiti che io gli pongo in mano.
- Balia
- Bisogna nascerci.
- Comare
- E per tornare a dirti, il medico ha in camera polvere acque, lattovari, erbe, radici bossoletti, scatolini, lambicchi, campane, caldaie e simili ciabattarie; e la ruffiana non pure ha di cotali bazzicature, ma fino agli spiriti costretti da la bugia che le fa giurare di averlo in una verghetta. Il medico, con le sue medicine, cava il tristo e il buono di corpo a lo infermo e la ruffiana, con le sue salle-fare, cava de le scarselle i ducati e i piccioli. Il medico vuole esser di mezza età per esser creduto e la ruffiana di mezzo tempo perché se le dia fede. Ma usciamo al discoperto, e veniamo a lo introibo; e mentre ti discorro gli andamenti ruffianeschi, carpiscigli su: e impara, dai modi che io ho tenuti, i modi che tu hai a tenere.
- Balia
- S’io gli impararò, ah?
- Comare
- Fra l’altre che io ne ho fatte e farò (pur sanità), te ne vo’ dir una de le fini. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di orate fratres, là un gocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di non sum dignus, e altrove un bocconcino di erat verbum, e squadrando sempre questo e quella, e quello e questa, appostol un bel pezzo di polito uomo: una di quelle persone le quali prima lascerebbono il mangiare e il dormire che alcune feste senza vigilia, come saria a dire San Giuseppe, San Girolamo, San Giobbe e San Giovanni Boccadoro. Costui era di .XXXVI. anni o de la via, vestito bene e onestamente; e per quello che io ritraeva da lo onore fattogli da le brigate, era dotto dotto; aveva una barba lunga, nera e lucente come uno specchio. Né ti credere che egli gittasse via le sue parole, né i suoi sguardi: anzi, arrecatosi a canto a l’acqua santa, coi cenni del capo rispondeva ai saluti, e con alcuni sorridimenti savi; e guardando le belle, il faceva con un modo che non se ne accorgeva quasi veruno: e quando costei o colei intigneva la punta del dito ne la pila spruzzandosela nel viso, lodava la mano de la donna con certa maniera che la faceva passar oltre ghignando e porsi in luogo da poter vederlo ne l’aspetto. Alcune volte si fermava in un piè, e con atto sodo e gentile ricoglieva i suoi ciglioni ne la sua frontona matura; e stato così un credo, rasserenava l’aria de la sua faccia con una grazia, Balia, che imbertonava fino a lo spargolo de l’acqua benedetta.
- Balia
- Me lo par vedere.
- Comare
- A costui deliberò farne una la tua Comarina: e gliene fece come io ti diraggio, suora. Egli non usciva mai di chiesa se non la vedeva spazzata d’ogni feminuccia che vi fosse: e in San Salvadore era lo sforzo del suo stare. Onde io lo affronto una mattina che egli aveva fatto un grande uccellare a non so chi e affrontandolo fingo di coglierlo in cambio, e con boce bassa e con volto lieto gli dico: «La Signoria vostra non si parti, perché ho pur fatto tanto che quella la vedrà e vorebbe bene essere altri che voi a mettermi a così strani pericoli». Il valente uomo sentendomi dir così credendosi al tutto che io l’avessi fallito, come pratico non si guasta, anzi con bocca ridente mi risponde: «Voi non fate piacere a persona ingrata». Intanto il suo core comincia a salticchiarli in seno, e quel tremare per la dolcezza del piacer che si spetta di godere, già gli impaccia la lingua, e il colore de la faccia tornatagli in un tratto bianca e rossa. In questo io trotto a l’uscio, e affigendo il guardo in suso, veggo comparire un puttaninuzzo da venti soldi il quale, secondo la mia commessione, veniva a la chiesa.
- Balia
- Che pratica.
- Comare
- Come io lo raffiguro, accenno il messere, e gli dico con mano «Eccola»; ed egli si abellisce la barba con le fregagioni de la palma, e pavoneggiandosi tutto, acconcia la persona in su le gambe e spurgasi; e io ne lo appressarsi la ninfa a la porta gli raddoppio i cenni; e nel suo entrare in santo, gliene mostro con uno alzar di capo, e mi ritiro drento, appunto quando ella si lascia cadere il guanto: e nel voler ricoglierlo, finge una bella disavvertenza.
- Balia
- Dimmela.
- Comare
- Ella nel pigliare il guanto prese anco la veste da basso e scoprì tanto di gambettina che il falcone senza cappello le vidde la calza turchina e la pianelletta di velluto nero: di modo che la pulitezza de l’una e de l’altra lo fecero sospirar di lussuria. Ma ecco che ella si inginocchia sopra la predella de l’altar grande, e io mi movo; e mirandomi tuttavia intorno e facendo vista di non volere esser veduta, mi accosto a lo amico, e dico pian pian piano: «Venite a darle due occhiate con destrezza intanto la sua fante farà la guardia a la porta».
- Balia
- Ah! ah!
- Comare
- Il gentiluomo mi ubidisce; e tosto che si ebbe rassettato i vestimenti in sul dosso, spiegò uno andar nuovo, il qual dava tre passi al ducato, due sputi al giulio e uno sguardo al quattrino; e dipignendosi il viso, gli occhi, le gote e la bocca de la vaghezza dei sogghigni e dei sorrisi, nel passare inanzi a lei, per poterla veder meglio si fermò alquanto: ma con una galantaria che non parse per conto di vagheggiamento; e l’amica, copertasi col ventaglio solamente la guancia manca, consentì che egli le guardasse il resto a suo piacere. E così, andato due o tre volte in su e in giù, furò con gli occhi una particella de le sue non troppo belle bellezze; e io, recatami doppo una colonna lo chiamo col cenno, e venuto a me gli dico: «Be’, che ve ne pare?»; rispose egli: «Me ne pare veramente bene, ma io non la posso né ho potuta mai vedere a mio modo»; «Orsù» gli spiano io, «io voglio che vostra Signoria la vegga, e forse tocchi, da buon senno; ed escane ciò che uscir ne vuole, che, purché vi contenti, mi basta: il suo marito è andato a la Magliana, e non tornarà fino a vespro, e perciò venitici drieto bellamente; ma avvertite che non sto più a la casa di prima, e ieri mutai massarizia: e ne lo entrare dove noi entriamo fate che non se ne accorga veruno». Balia, a la fede bona che il gratia agamus appena mi arìa saputo ringraziare come ringraziò egli il mio dire «venitimi drieto»; e udendo quel «fate che a lo entrarmi in casa non siate veduto», dimenò il capo quasi dicesse: «Che, bisogna dir ciò a un par mio?».
- Balia
- Io veggo lui, veggo te, veggo lei e la fante sua con tutti gli andamenti.
- Comare
- Ora io esco di chiesa, e accennata madonna cattiva pessima, mi risponde col diguazzar de la testa che non vuol venire: onde io vado a lei e con le mani in croce, e col viso al cielo e col collo torto, faccio le viste di scongiurarla e di pregarla che venga; e si dee credere che il corrivo rinegasse la cresima in quel suo scontorcersi, e che il core gli morisse nel corpo come a uno al qual cade di mano una gioia che si pò rompere. Ma riebbe il fiato nel modo che lo rià colui che, destatosi, trova bugiardo il suo sognar di capitar male, nel vederci avviare inverso casa mia; e tenendoci drieto, era cosa da ridere a vederlo porre le punte dei piedi ne l’orme le quali pensava che avessino fatte le pianelle di madonna stucca-al-primo.
- Balia
- Che pazzie.
- Comare
- Noi siamo già a casa: io apro l’uscio, e ne lo entrarvi guardo le finestre dei vicini acciò che non ci veggano, e tutta paurosa ne la apparenza, ma tutta animosa nel fregargliene, sto doppo la porta; e tiratolo drento, sospiro, tremo e mi ristringo in me stessa, con dire: «Guai a me se si sapesse, almen fossi confessata per i casi che potessero intervenire»; «Appunto» dice colui il qual si credeva sballar seta spagnuola e poi vantarsene con tutto il mondo, «non ci è pericolo: e quando ben ci fosse, chi credete voi che io sia?»; «E nol so io?», rispondo io; «E perciò state allegra». Tu vai cercando: egli si condusse ne la mia camera seco, e olà la intentazione de la carne gli spuntava fuor de la brachetta: onde le mani prosuntuose più che quelle dei preti e dei frati, volevano far le ricercatine non pure nel petto, ma sub ombra alarum tuarum (diceva la insegna de la speziaria del Ponzetta, stitica, medicastra e tisica memoria). In questo io, che stava a la vedetta come una spia di quelle che son cagione di far tòrre, per via de la contumazia, una stomana di tinello al povero servidore, entro drento, e ne lo entrare affiso gli occhi ne la faccia del galante signore, e allargando le braccia levo le palme in alto e grido pian pianino: «Oimè, disfatta a me, trista a me, sciagurata me; io sono spacciata, io son morta, io sono in conquasso». Se tu hai a le volte posto mente a la gatta quando, ne lo stender la zampa per grappar qualcosa, le giugne sopra col «gatti, gatti» una bastonatina ancora, onde ella, spiccato un saltetto, si rannicchia sotto il letto, vedi lui tutto sospeso in se stesso per non intendere la cagione del mio lamento. E io: «Adunque vostra Signoria, a me che l’ho colta in iscambio, ha usato questo termine? deesi far così a una femina? di grazia, andate dove vi piace e, andandovene, promette[te]mi di non aprir bocca, perché, perché...», e volendo dire «sareste la mia disfazione», fingo di nol poter dire bontà del pianto che io seppi farmi scoppiar dagli occhi.
- Balia
- Tristo a chi non ne sa.
- Comare
- Tosto che egli intese il perché io mi disperava, alzò la sua cerona ridentemente dicendomi: «Orsù, io non son quello, ma da più di mille pari suoi; e ho il modo a spendere e a spandere quanto uomo che sia; e non son trombetta del disonor di niuna, anzi più secreto che i luoghi i quali nascondono i tesori: e perciò, madonna mia, non vi tormentate per la ventura che vi è corsa a dosso; e quando saperete la qualità mia, benedirete il vostro scambiarmi da chi si sia». Io a cotal conforto mi riscuoto un poco, e acquetati tutti i conturbamenti, dico: «La cera vostra dimostra anche più che non dite, e ogni cosa per il meglio; è ben vero che il grande uomo, dico grande grande, al quale l’aveva promessa uno anno fa, le portava un bel presente».
- Balia
- Tu lo toccasti nel bel presente per farlo uscire, eh?
- Comare
- Se ne avvederieno le tope cieche. Orbene: egli, doppo il promettermi Montemari e la sua croce, si avventò a la mucciaccia (disse don Diego), e io, tirato l’uscio a me, ficco il lume d’uno occhio ai fessi: e veggo balenare le lingue come le spade di filo di coloro che schermiscano per giuoco; e vistole ora in bocca a lui, ora in bocca a lei, masticava non altrimenti che se quella d’un mio bertone fosse stata ne la mia, o veramente la mia ne la sua; e nel vederle alzare i panni trassi un sospiro di quelli del sacco. Ma era pur dolce, era pur bello a vederla chiappeggiare e cosceggiare da la mano morbida de la sua Signoria: oh che soavi paroline gli sdrucciolavano fuora de la sua sapienzia! Intanto fra Bernardo picchia la porta del convento, la quale senza molto tempestarla col battitoio gli fu aperta: onde egli entrò drento urtando con la testa per ogni cantone e sfuriando da balordo; mentre la ben contenta, stralunando gli occhi, soffiando e menando, faceva smusicar la lettiera. Eccogli fermi, ecco che han fatto.
- Balia
- Non dici tu che ella è carne d’Isdraù, che chi ne mangia una volta non ne vuol più?
- Comare
- Io ti ho detto che ella era robba da quattro soldi, ma gli parve bona bontà del mio averla a menare ad altri, e che io non dico bugia il testimoniano tre ducati di papa Nicola, muffati e rugginosi di quel verde che s’impone ne l’oro incassato dagli avaroni, i quali le ficcò in pugno con dirle: «Doman da sera vo’ che dormiamo insieme»; e ci dormiva se il diavolo non ci si metteva di mezzo.
- Balia
- Come di mezzo?
- Comare
- Partito che egli fu di casa mia, trovò un suo amico il qual gli disse: «Donde domine venite voi? E chi vi averia mai creduto incontrar qui? Certo certo la Comare ruffa vi dee aver messo in sui salti». Altro non accade, Balia: egli fu informato del fatto mio di sorte che, come savio dandosi a ridere, confessò con che laccio io l’aveva preso a la trappola.
- Balia
- Ah! ah! ah!
- Comare
- Grande animo, anzi grandissimo, bisogna che abbia una ruffiana: eccone una ragione militaria. Se l’uomo burlato da me fosse stato un di quelli «puttana nostra vostra», io toccava de le stacci-queta, e il rendere i ducati indrieto era la minore: e perciò è forza di armarsi di una lingua che tagli, d’un core che si arrischi, d’una prosunzione che penetri, d’una faccia sfacciata, d’un passo che non si stracchi, d’una pacienzia che sopporti, d’una menzogna ostinata, d’un sì zoppo e d’un no da quattro piedi. Il ruffianare, oh! oh! oh! non si dubiti del suo sapere, perché terrebbe a scuola i maestri degli studianti; e non è ciancia che ne la scuola de la ruffiania si sono addottorate le sibille, le fate, le streghe, le fantasime, le negramantesse e le poetesse.
- Balia
- Crédetelo.
- Comare
- Lo ingegno de le ruffiana si potria laureare, e canonizzare, e stampar per tutto; e ho letto la Bibbia, madonna sì che io l’ho letta, e non pure i Giudei, ma le sinagoghe loro hanno taciuto quando io gli ho fatto vedere che le ruffiane saccomannarono il cervello di Salamone: or pensa se missero l’unghie nei suoi denari.
- Balia
- Io ho pur visto dipinto in una sargia verde, anzi rossa, venuta da Fiorenza, come Salamone, nel far vista che si spartisse il figliuol vivo, comandò che se ne desse mezzo per uno: onde conobbe, bontà di colei che disse «Abbiaselo tutto», la madre del morto.
- Comare
- Salamone ci fece star salda una puttana, e non una ruffiana.
- Balia
- Puttane furono, tu hai ragione.
- Comare
- Bella industria è quella d’una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun figliozzo e santolo, si ficca per ogni buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara e di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le acconciature dei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di fuora e di drento e di drieto e dinanzi. Dimandale come sta il cielo, lo sa così bene come il Garico strologo; e lo abisso è tutto suo: e sa quante legne vanno a far bollire le caldaie dove si lessano le anime dei monsignori, e quanti carboni si lograno ad arostire quelle dei signori, no per altro che per esser messer Satanasso suo compare. La luna non iscema e non cresce mai senza saputa de la ruffiana, e il sole non si leva e non si colca senza licenzia de la ruffiana: e i battesimi, le cresime, le nozze, i parti, i mortori e le vedovanze sono al comando de la ruffiana: e non accade mai una di cotali cose che la ruffiana non ci abbia un poco di attacco. Con tutte le persone che passano per la via, la ruffiana si pone a cicalare: né ti parlo di quelli che salutano col capo, coi cenni, col gombito e con gli occhi.
- Balia
- Io la piglio pel verso, e so che vuoi che io sia tale. Segue pure.
- Comare
- S’intoppa un birro, gli dice «Da paladino ti portasti ieri nel pigliar quel ladro»; imbattendosi in un mariuolo, si gli accosta a l’orecchio con dirgli «Tagliale destramente», dà di petto in una monica, e le fa di capo dimandando de la badessa e dei digiuni che fanno. Ecco che vede una puttana, e fermatasi seco, la prima cosa le dà del «Voi sète più bella che mai» ne la testa. S’incontra uno oste, dicegli «Trattate bene i forestieri»; a uno spenditore, «Comprate buona carne»; a un sarto, «Non robbate il panno»; a un fornaio, «Non abbrusciate il pane»; a un fanciullo, «Tu sei fatto uno omicciuolo, impara bene»; a una bambina, «Tu vai a la maestra, eh? Or fatti insegnare il punto incrociato»; a quel de la scuola, «Date le palmate e i cavalli con discrezione, perché dove non son gli anni non ci pò essere intelletto»; a un converso, «Adunque voi dite la corona in cambio de lo uffizio: che, non sapete leggere?»; a un contadino, «Sarà uguanno buona ricolta?»; a un soldato, «Sì che Francia farà de le sue?». Ecco ella incontra un servidore, e dicegli «Il tuo salario corre; hai tu troppa fatiga?», e «Il tuo padrone è strano?». Eccola dimandar un chierico s’egli è a pìstola o a vangelo. Trova un furfante, e a un tratto gli fa squillare le sette allegrezze. Eccoti che dice a un fraticino «Non risponder sì forte a la messa» e «Non accendere il cero se non quando si leva il Signore, perché costano troppo». S’abocca con un vecchio dicendogli «Non mangiate aceto per amor de la tossa»; poi gli entra a dire «Ricordivisi quando...ah?». Vede un garzonetto, e dice «Dàlla qua, perché tua madre e io fummo carne e unghia; quanti basci e sculacciate che io ti ho date! due anni a la fila sei dormito ai miei piedi, e mi pare ne la tua faccia veder le sue fattezze sputate». Ora ella ha incontrato un giovane e dettogli «Io ho trovato una bella cosetta che se ne contentaria un conte»; appena scorge un romito, che ella gli dice sospirando «Iddio a voi ha tocco il core, e a noi le mondanità»; s’imbatte in una vedova, e si mette a piagner seco il marito che le morrì dieci anni fa; vede uno sbricco, e gli dice «Lascia andar le quistioncelle»; trova un frate, e domandagli se la quaresima viene alta l’anno seguente.
- Balia
- Ora sì che l’hai dette tutte.
- Comare
- Credi tu che la ruffiana entri in cicalamento con tante brigate per piacere? Tu non ci sei: ella il fa per il compre[n]domine che cerca di avere con tutte le qualità degli uomini e de le donne, e per farsi conoscere da bosco e da riviera. E ti ho detto cosettine che la ruffiana fa di dì: a quelle di notte mo’.
- Balia
- Sì, di grazia.
- Comare
- La ruffiana la notte è come una nottola che non si ferma mai; e i gufi, i barbagianni, gli alocchi e le civette escano de le lor buche: così la ruffiana esce del suo nido, e scopa i monisteri, i conventi, le corti, i bordelli e ogni taverna; di qui cava una suora, di colà un frate, a colui mena una cortigiana, a costui una vedova, a questo una maritata e a quello una donzella; contenta i famigli con le fanti di messere, consola spenditori con la moglie del tale, incanta ferite, coglie erbe, scongiura spiriti, smascella morti, discalza impiccati, consacra carte, lega stelle, scioglie pianeti, e qualche volta tocca le sode bastonate.
- Balia
- Co’ così, bastonate?
- Comare
- È impossibile a poter contentar ognuno, e anche a farle tutte nette: ma pacienzia, disse il lupo a lo asino. Bisogna, sorellina, recarci a la forgia de le volpi, le quali le sanno non pur tutte tutte, ma più ancora: nientedimeno or son cacciate de le tane col fume, ora spellicciate ne le reti, e ora carpite con la bocca del sacco; e quante ce ne sono che lasciano mezza la pelle e parte de la coda e de le orecchie fra i denti al cane? Né resta perciò che esse non vadino per le case scopando i pollai. E sappi che, doppo il rassimigliare la ruffiana al medico, la simiglio anco a la volpe; ecco, la ruffiana non travaglia né vedova, né donzella, né maritata, né monica (de le puttane non parlo) in vicinato: e la volpe non becca pulcino de la sua contrada; e lo fa con inganno, perché saria appostata in un tratto.
- Balia
- Malizia volpina, ah?
- Comare
- La volpe, giunta fra i polli balordi, la prima cosa ammazza il gallo, acciò che il suo cò cò cò non desti le galline che dormano: e la ruffiana con le sue avvertenze taglia, mozza e stronca ogni scandolo che, trovata dal fratello, dal marito e dal padre a favellar con madonna Spantina, potesse roversciarsele in su le spalle. E perché la volpe si arrischia ad arrischiare il rischio dei suoi vizi, acciò che la ruffiana, con il suo essempio inanzi, si assicuri a fare de le prove, ti contarò una ribaldaria, bontà de la quale fece dare al diavolo e scoppiar de le risa insieme alcuni mulattieri.
- Balia
- Ah! ah! Io rido inanzi che tu la conti.
- Comare
- Io mi sento cader l’animo di fra le dita pensando come la felice beatitudine de la ruffiana ci sia robbata da le donne e da le madonne, dai seri e dai messeri, dai cortigiani e da le cortigiane, e dai confessori e da le moniche; e sappi Balia, che a questi tempi i tabacchini governano il mondo: essi son duchi essi son marchesi, essi sono conti ed essi son cavalieri, e mi farai dire re, papi, imperadori, gran Turchi, cardinali, vescovi, patriarchi, sofì e ogni cosa; e la riputazione nostra è andata a spasso, e non siamo più desse. Io mi ricordo quando la nostra arte era in fiore.
- Balia
- O non è ella in fiore, facendola le persone che tu conti?
- Comare
- Sì, per loro, ma non per noi; e ci è rimaso a dosso solamente la infamia del nome di ruffiana, e loro se ne vanno gonfiati di gradi, di favori e di entrate. E non ti credere che sieno le vertù quelle che ingrandiscano altrui in questa Roma porca e per tutto: ma la tabacchinaria si fa tener la staffa; si fa vestir di velluto, si fa empire la borsa e fassi sberrettare. E benché io sia una di quelle che hanno polso, legge la soprascritta de l’altre: e perciò governati come si dee. Tu hai buon principio, buona appariscenzia, galante maniera, una ciarlia viva, arguta, a tempo; il tuo «verbigrazia» in sommo, alcune cosette dolci nei motteggi; sei piena di motti, di proverbi, prosuntuosetta, doppia, spiatrice di quel che ognun fa; sai dar la quadra, negar da ladro; la bugia è il tuo occhio dritto, ti confai con ogni generazione, sei tenace del tuo, sai imbriacare a la botte d’altri e sfamarti a l’altrui tavola, e sai digiunar senza vigilia a casa tua: e tra queste tue vertù e quel poco o assai che torrai a le mie, ci potremo stare.
- Balia
- Ti piace di ben dire, e non travario sì che io non vegga come in me non è vertù veruna: ho bene speranza di farmi da qualcosa per grazia de le tue.
- Comare
- Tu la puoi avere. Ma dove eravam noi?
- Balia
- A la volpe dei mulattieri.
- Comare
- Ah! ah! la fu pur bella. Una volpa canuta, bianca e cattiva e maliziosa e trista più che non fu quella che disse al compare lupo, mentre il pecorone piombava giù ne la secchia cavando lei del pozzo, «Il mondo è fatto a scale, perciò chi scende e chi sale»...
- Balia
- La ce lo colse, vuoi tu altro?
- Comare
- ...una volpe de le volpi, avendo voglia di mangiare una scorpacciata di pesce, se ne andò al lago di Perugia con la maggior ladroncelleria che si imaginasse mai ladro; e stata così un pezzetto a pensare sopra un greppo, con la coda in pace, con quel suo muso aguzzo in fuora e con le orecchie tese, vede venire di pian passo una frotta di mulattieri, i quali chiacchiaravano (mentre i muli infilzati tutti a una fune rodevano una manciata di paglia postagli in quella baia che portano intorno a la bocca) de la carestia che era de le lasche e l’abondanza dei lucci, dando gran laude a non so che tinca, la quale avevano la mattina divorata col cavolo e col savore, ordinando anche di dar la stretta a una anguilla grossa tosto che scaricassero le some; e visti che monna volpe gli ebbe, fece un certo atto da ridere e gittossi là a traverso de la strada, propio propio come fosse morta; e nel sentire arrivarsi sopra, tenne il fiato come lo tiene uno che si tuffa sotto acqua: e distese le gambe e allargatele, non si moveva né più né meno che s’ella fosse passata. I muli che alquanto da lungi la viddero, si scansarono da lei avendo più sentimento che i mulattieri: che vistala, con quello «oh! oh! oh!» il quale esce di bocca a colui che vede scarpinare la lepre per un campo di grano alto una spanna, corsero in frotta a pigliarla per guadagnar la pelle, e perché la ciuffàr tutti in un tratto, volendola per sé e questo e quello, poco mancò che non si tagliassero a pezzi insieme, dicendo con boce mulattieresca «Io la viddi in prima» e «Io la ricolsi inanzi a te», e se non che un dei più vecchi ci riparò con tòrre una pietra nera e il resto bianche, e mettendole col diguazzarle un pezzo sottosopra drento un cappello, onde toccata la sorte a chi ella toccò si acquetàr gli altri, senza dubbio se ne davano parecchi.
- Balia
- Molte volte le ciance riescano a le spade e a le lanci.
- Comare
- Quello al quale per ventura venne la volpe, atastandola la senti calda; onde disse: «Per Dio, che ella è morta adesso adesso e di grassezza, secondo che io posso comprendere». E ciò detto, l’acconciò sopra le ceste d’un suo mulo, e ritornato a la compagnia, passata ognun la stizza, mossero il passo con i patti vecchi e con i modi usati, non senza commodità de la buona spesa de la volpe: la quale, non essendo veduta, si voltò pian piano e, tra la fame e la voglia che ella ne aveva, fece una buca nel pesce, de le maladette; e guastato lo avanzo de tutte due le ceste, spiccò un salto di quelli che sogliano spiccare saltando un fosso, avendo il buffe baffe biffe a le calcagne; e accorgendosene uno dei mulattieri, gridò «Oimè, la volpe»: e corsi ove fu posta quella giudicata per morta, non la vedendo, con iscorno di quel bravo che voleva combattere per lei, furono per far le risa di Morgante.
- Balia
- Margutte volesti dir tu.
- Comare
- O Morgante?
- Balia
- Margutte, Margutte.
- Comare
- Ma eccotene una mia, non meno astuta de l’astuzia volpina, che, senza averci veruna vecchia paura, mi riuscì. Un gentil gentiluomo, giovane di .XXIX. anni fino in .XXX., stava male malissimo d’una vedova bella e da bene, assai ricca e molto vertuosa, con la quale io aveva domestichezza via là, via loro; e sapendosi la fama del mio esser famosa ne la nostra arte, viene a me sconquassato, magro e di sorte malcontento, che non lo averia fatto far bocca di ridere uno di quei Todeschi vestiti da prelato, con la mitera in capo, suso una mula in illo tempore; e io che lo veggo e non lo veggo, lo conforto dicendogli: «Adunque vostra Signoria si lascia cincischiar da la disperazione; e che doveriano fare i disgraziati, quando un grazioso, un ricco in canna si avilisce?»; ed egli, non potendo rispondermi per la moresca che gli facevano intorno a le parole i sospiri, con guardare il cielo, con arotare i denti e con dirmi «Ei si sia», si consumava. In questo ecco una rondinella che volando mi caca in seno; e io a lui «Buono augurio, buono augurio»; ed egli alzando la testa, tutto riavuto mi dice: «E perché buono augurio?»; «Perché la rondine, che ha per costume di travagliar sempre, mi ha fatto segno che il vostro travaglio averà fine».
- Balia
- Che tu credi agli auguri?
- Comare
- Ai sogni sì che io do fede, ma se io penso agli auguri, che mi venga la moria: ma bisogna esercitargli per far che altri gli dia credito. Io non veggo mai cornacchia, né corbo, che non dia interpretazione a il lor aver volta la coda inverso il culo o no. Se cade una penna di uccello che vola o di gallo il qual canta, subito la grappo su e la ripongo per mille ribaldarie che io do ad intendere agli sciocchi che io so fare. Se si scortica becco o capra, io son ivi per portarmene il grasso. Se si sotterra alcuno, io gli straccio un poco di qualche sua cosa. Se si spicca impiccati, io gli rubacchio e capelli e peli. E con tali capestrerie scortico questo e quel menchione che per via di fatture vòle tutte le belle che ei vede; e ti insegnerò, spetta pure, lo incanto de le fave, e come si gittano, e l’orazione e ogni sua favola.
- Balia
- Tu me l’hai cavato di bocca.
- Comare
- Faccio anco professione di dar la ventura con altro garbo che non hanno i zingani nel guardarti la palma de la mano; e che ladri pronostichi che io faccio nel conoscere de le filosomie; e non si trova male che io non guarisca e con parole e con ricette, né si tosto mi dice altrui «Io ho il tal male» che io gli do ìl cotal rimedio: e santa Pollonia non ha tanti boti attaccati ai piedi, quante ho talvolta io richieste per il duol dei denti. E se tu hai mai visto la ciurma la quale spetta che il guattaro dei fratacci venga via con le caldaie di broda, vedi quella che la mattina a buona otta corteggia il mio uscio: e chi vuole che io parli a una la quale vidde due dì fa nel tal luogo, chi vuol che io gli porti una lettera, altra manda la fante per lo scorticatoio dal viso, altra vien in persona perché io le faccia una malia. Ma io entro nel pettine di sete, volendoti contare tutto quello al qual sono adoperata.
- Balia
- Io ne disgrazio Lanciano, Ricanati e quante fiere ha il mondo.
- Comare
- Io sono uscita del viottolo per entrare nel seminato: dico che ti cominciai a dire di colui che si attaccò a la speranza de lo schizzo de la rondine che mi cacò in seno.
- Balia
- Quel «cacare» ti disdice in bocca: e par che a questi tempi bisogni sputar manna, chi non vòl dare nei biasimi de le assorda-forni-e-mercati; ed è una strana cosa che non si possa dire cu’, po’ e ca’.
- Comare
- Cento volte ho pensato per che conto noi ci aviamo a vergognare di mentovare quello che la natura non s’è vergognata di fare.
- Balia
- E così ho pensato io, e più oltre ancora: e mi parria che fosse più onesto di mostrare il ca’, la po’ e il cu’ che le mani, la bocca e i piedi.
- Comare
- Perché?
- Balia
- Perché il ca’, la po’ e il cu’ non bestemmiano, non mordano e non isputano ne la faccia come fanno le bocche, né danno dei calci come danno i piedi, e non giurano il falso, non bastonano, non furano e non ammazzano come le mani.
- Comare
- Sempre si dee favellar con ogni sorte di gente, perché da tutti si impara qualcosa. Tu hai discorso, tu hai cervello, tu sei in una buona via, ed è fatto un gran torto a la po’ e al ca’ i quali mertano di essere adorati e portati al collo per gioielli e per pendenti, e ne le medaglie de le berrette: non tanto per la dolcezza che stillano, quanto per le lor virtù. Ecco un dipintore cercato da ognuno solo perché egli schimbicchera in tela o in tavola un bel giovane e una bella giovane, ed è pagato a peso d’oro per fargli di colori: ma essi le fanno vive di carne e si possano abbracciare, basciare e godere; oltra di questo, fanno gli imperadori, i re, i papi, i duchi, i marchesi, i conti, i baroni, i cardinali, i vescovi, i predicatori, i poeti, gli astrologhi, i bravi; e han fatto me e te, che importa più. Sì che un gran torto si fa non pure a mascarargli il nome, ma a non cantargli in sol fa.
- Balia
- Questo è chiaro.
- Comare
- A lo ammartellato mo’. Tosto che io lo ebbi messo suso con la cacatura de uccello, mi pigliò la mano, e chiudendomi il pugno mi ci pose un ducato: e io con quello «non bisogna, so’ per fare altra cosa per vostra Signoria» che usano dire i medici e le ruffiane, le intasco; e voltatomigli con miglior fronte di prima, gli dico: «Vi prometto e giuro di farne ogni opra». Ma al mio «forse» e al mio «ma» egli si imbianca con dirmi: «Perché ci mettete voi il forse e il ma?»; «Perché» gli rispondo io, «la trama è dificilissima e pericolosissima»; e nol diceva per burla, e niuna ruffiana ce s’era mai arrischiata, perché aveva un suo fratello soldato che, con la barba e con la spada, averia fatto tremar la state e venir caldo al verno. Ed egli, vedendomi a la fine sfuggir la volontà sua, mi pianta un altro ducato in mano, e io, col «voi fate troppo», lo ripongo a lato al compagno e dico: «Non dubitate, che io ho pensato una malizia grande e utile; non l’ho pensata no, ma vo’ pensarla istanotte e la trovarò certo. Sì che ditemi il suo nome, dove sta e di qual casato ella è». Egli mastica assenzio, e si storce, e non si assicura a dirmelo: pur se ne sforza e dicemelo.
- Balia
- Spediscela.
- Comare
- Adagio, Balia: bisogna contar le cose nel modo che elle si vegghino. Nel sentire io chi era la diva, stringo i labbri, alzo le ciglia, increspo la fronte, e con un gran sospiro cavo i due ducati del tascoccio: gli guardo, gli maneggio, e fo vista di star fra due in rendergliene; ed egli che non gli rivorrebbe, suda. Intanto gli dico: «Signor mio, queste son cose da rovinarci sotto»; e: «Qualunche altra si fosse, in otto dì ve la colcava a canto». Hotti io a dire il vero? un ducatello, che mi rimescolò con i duo primi, mi dedero le mosse: e così gli promessi, e ordinai che passassi il dì avvenire da casa sua doppo vespro.
- Balia
- Facesti bene.
- Comare
- La fanciulla vedova era per maritarsi, e io il sapeva perché anche nel maritare teneva mano; e perciò tolgo una scatola piena di ricci propio simili ai suoi capegli, e vado subito a picchiarle a casa. E per dirti, io ci aveva qualche domestichezza e ben lo sapeva l’amico, ma finse di non saperlo per il finger che io feci di non ci aver pratica. E picchiando, volse la mia buona sorte che ella propio tirò la corda, credendo che io fossi una giudea per la quale sua madre aveva mandato acciò che le portasse appunto dei ricci.
- Balia
- L’uomo s’imbatte in un punto in quello che non è possibile a imbattersi in uno anno.
- Comare
- È vero. E messo il piè drento, ella con una allegrezza grande dice a sua madre: «Ventura ci viene, ecco la Comare»; in questo io salgo le scale, e alla madre che era comparsa in cima do mille saluti, e tocco la mano a la figliuola, e tutta affannata mi pongo a sedere riavendo appena il fiato; e stata un poco in riposo, apro la scatola e gli dico: «Madonne mie belle, non vi lasciate uscir di mano questi ricci, i quali arete per un pezzo di pane»; e accostandomi a l’orecchio de la vecchia, dico: «D’una marchegiana furono». In questo ecco non so chi che chiama la madre, e io rimango con lei, e si dee credere che io desse de le cacabaldole a la sua grazia, a la sua gentilezza e a la sua beltà: «Che occhi vivi, che gote fresche, che ciglia nere, che fronte grande, che labbra di rosato» le diceva io, soggiugnendo «che fiato, che petto, che mani», ed ella, dimenandosi tutta rideva. Ma ecco tornar madonna tutta sconturbata: e secondo intesi poi, del suo sturbamento fu cagione uno che venne a sconchiudere il parentado. Ma non mi guastò l’uccellare, perché la vedova mi disse: «Tornate domani, che gli voglio a ogni modo». E io torno, e per esser la madre in segreto con una che voleva rappiccare il matrimonio, ebbi tempo tre ore di starmi con lei, e mi diede merenda. Mi menò in camera dicendomi: «Lasciatemegli pure, che certo gli comprarà»: e io che non cercava altro, gli lascio; e facendosi ella con meco a la finestra dico: «Oh che bella veduta, che strada, Iddio, e forse che non ci passano de le persone a bellezza?»; e mentre ella con gala si stava guardando in qua e in là, io che ho visto lo appassionato mi metto in una risaiuola la più spalancata e la più sonante che si udissi mai, e rido rido rido, e quanto più rideva, più mi apparecchiava a ridere: di modo che la vedova, non sapendo di che, rideva anche ella; e ridendo mi diceva: «Di che ridete voi? Ditemelo, se mi volete bene»; e io rispondendole con «Ah! ah! ah!», la pongo in una voglia di saperlo che arìa fatto farla segnata a ogni donna che ne fosse stata pregna.
- Balia
- Che risa saran le tue?
- Comare
- Ella pur prega, e io pur rido: e certo, Balia, che la fune la qual mi davano le dolcezze de le sue supplicazioni arìa mosso un di quei traditor ladroni che, stando in su la corda, non si movano per le amaritudini de le minacce del bargello e del governatore; e sì come dal ghiottonaccio non si ritrae se non pianti, così da me non si ritraeva se non risi. Ma io ho detto le bugie.
- Balia
- Come le bugie?
- Comare
- Non fu il dì doppo, il mio ridere, anzi il terzo: perché il secondo giorno che io ci ritornai, feci sì con bel modo che mostrai colui che, cotto da buon senno, logorava la via con lo spasseggiarci continuamente, senza avergli ella mai dato cura. Perché io le aveva messa la pulcia ne la orecchia non dormì mai la notte per il desiderio di sapere di che io rideva: e non lasciò menda che avesse in sé, pensando che per quella io ridessi; e togliendone il capo a sua madre, le fece non pur mandare ma venir per me: e bussommi l’uscio appunto nel raguagliare l’amante de la figliuola di ciò che io aveva fatto; e perché egli mi vidde con seco a la finestra, mi credette cinque o sei bugiette che io gli dissi in suo favore.
- Balia
- Al corrivo dàlli, dàlli!
- Comare
- Io che veggo sua madre, con una riverenzia ruffianesca le dico: «La vostra umanità svergogna la mia asinaria, la qual sopporta che una così fatta donna si degni venire a trovare la sua serva in questa casipula», ed ella che stava ammartellata de la figliuola rimasta vedova il primo anno, mi prega che subito venga a lei. Io che mi accorgo che il ridere a la sgangarata l’ha messa in succhio, rispondo: «Ecco, or ora sono a lei», e non vado altrimenti, acciò che ella più abbia voglia che io vada.
- Balia
- Non dicesti a l’amico del termine che tu usavi circa le risa?
- Comare
- Ben sai.
- Balia
- E perché mo’ cotali tuoi ridimenti?
- Comare
- Perché il mio ruffianare andassi a salvum me fac. Io tremava del fratello: il quale, rade volte, tornava a casa; aveva anco paura che la madre non ci pigliasse malizia; e dubitava che la vedovetta, ne lo entrarle nel suo onore, non mi cavasse gli occhi con le dita. E perciò usava l’arte che udirai.
- Balia
- Astuzia vince senno, e senno non vince astuzia.
- Comare
- Io andai, ivi a due dì, a trovar colei, infrascando in quel mezzo il suo guasto di foglie di speranza: dico di foglie più verdi che secche. E come le comparisco inanzi, ella mi dice: «Beata chi vi pò vedere», e io: «Figlia e padrona mia dolce, trista a chi ci nasce povera e sventurata; egli bisogna che io mi sputi in su le mani s’io vo’ mangiare e bere e Iddio il sa quante volte io digiuno senza boto: ma salvisi pur l’anima, che del corpo non mi curo». La madre, mentre io le diceva mille bugie, era occupata intorno a le faccende del rassetto di casa, onde me ne vado a la finestra e ricomincio a ridere, e rido al solito ed ella corre a me e mi si gitta sopra le spalle, e con un braccio al collo mi bascia e poi mi dice: «Per certo che mi avete messo sospetto con le risa che faceste, e non ho mai dormito le notti passate per la fantasia che mi è entrata a dosso del saper perché così tanto ridere e guardar me e questa nostra contrada».
- Balia
- Che aggiramenti.
- Comare
- Ecco che passa colui nel dimandarmi che faceva, e io ritornata a le medesime risa, pareva che stessi per iscoppiarne, ed ella: «Deh, Comare, cavatemi d’affanno, non mi tenete più su la fune; deh, ditemi chi vi fa ridere»; io: «Madonna, non ve lo posso dire, non a la fede: che, se lo potessi dire, non me ne farei pregare, non se Iddio mi guardi». Hai tu mai visto un di questi poveri importuni e prosuntuosi più che il fastidio?
- Balia
- Hollo visto.
- Comare
- Vedi il povero che al dispetto de la carità ti cava la limosina di mano, e vedi lei cavarmi de la lingua la cagion del mio riso. Vero è che io le feci far prima mille giuramenti, e di non farne motto e di non se ne adirare e di perdonarmi; e fatto i giuri e gli scongiuri con quello «il diavolo sia signor de lo spirito e del corpo mio» il qual si suol dire quando alcuno vuol che se gli creda, le dico: «Un goffo goffo e balordo in tentare cose impossibili, ne le altre cose savio e gentile, vedendomi uscir di questa casa (apertami per vostra grazia, non per miei meriti, a tutte l’ore) mi vien drieto; e per essere dei più nobili, dei più galanti e dei più belli de la terra, ebbe ardire...»; e qui mozzo il favellare, e ciò faccio per farla consumare che io il seguiti; e doppo un poco del suo lasciarmi pregare, «...egli ebbe ardire di richiedermi che io vi facessi una imbasciata».
- Balia
- O maestra de le scole, e scola de le maestre.
- Comare
- «Come che io le faccia imbasciata?» gli rispondo io, «Sono io ruffiana? ed ella è..., ah? Vi staria molto bene che io lo dicesse al fratello; andate per i vostri fatti, andatici dico: se non, ve ne pentirete». Madonna, io vi sono schiava, e so’ per fargli veder la bontà vostra e la mia». Ecco arrossarla ne lo averle conto il tradimento mio; e stata così un poco sopra di sé, mi dice: «Non dite nulla a veruno», e io: «I vostri cenni mi sono ubedienzie, ma non ci si pò più stare; è parso a lui, per esser giostratore, saltatore, cantore, componitore, ballarino, il trovator de le forge, il cassettino da le gioie, il cassettone dai denari, che gli doviate morir drieto: pazzo, semplice. Ora vostra Signoria mi renda i ricci, perché la padrona manda o per quelli o per i soldi». Ella non mi torna con la risposta al proposito; ma, rimasa in pensieri, guarda me che, visto il non-trova-luogo passar dal suo uscio, non rido più: ma con un viso da scommunicato piglio un mattone lasciato in su la finestra da la fante, che aveva scacciate con esso le noci, e fo vista di volergli spezzare il capo; ed ella, con un «Non, per l’amor d’Iddio», mi tiene il braccio e sospira, e io dico a me stessa «Io ti ho»; e senza voler più ricci e star più con lei, la do giù per la scala fingendo di avermi smenticata di serrar la porta. E trovato colui che, dubitando di buone novelle e di triste, arebbe voluto aver cento orecchie per ascoltarmi ed esser sordo in un tratto, ma io col farmi lieta in faccia gli diedi la vita. E contatogli il tutto, il veggo sciorre il fazzoletto e darmi i ducati senza contargli, nel modo che al suo procuratore gli dà chi ha la sentenzia in favore.
- Balia
- Chi mi avesse detto, due dì fa, «Egli morirà la più savia testa di femina che viva», io credendo che toccassi a la mia mi sarei andata a confessar di subito: ma a te toccava andarvi.
- Comare
- A me toccò di ritornar a la vedova: la quale, nel mio contarle le vertù e le ricchezze de l’amico con un modo che pareva si berteggiasse, ci volse l’animo come lo volge uno ai ducati altrui che egli maneggia. E riconduttami a ragionar seco, ricomincio risa più ridicule che mai; e postole un poco giuso, le dico: «Non v’ho io a dire? Il galante, il dio d’amore mi voleva ficcare, anzi mi ficcò, una lettera in seno, la quale profumò tutta la chiesa dove io la gittai coi suoi odori; e che soprascritta d’oro che ella aveva! Io credo che non mi potrò tenere di non far qualche male: io sono a mal partito con costui, egli mi è drieto con le canne aguzze, e non posso mover passo senza aver cotal cane a la coda. Per questa croce, madonna, credetemelo quando io lo giuro, che fui per tòrla e per farla... io nol vo’ dire»; ed ella: «Dovavate farlo, e se avviene che ve la voglia ridare portatemela, che ne rideremo un poco insieme». Balia cara, io le portai la storia, e perché arìa mosso un monte, mosse ancora lei: e si conchiuse altro parentado che quello che si cercava di conchiudere per via di moltissimi mezzani. E così io con la destrezza vinsi la castità, ruffianando senza ruffianare: la quale arte è sottile più che quella de la seta, e dotta e laudabile e sicurissima.
- Balia
- Qui sta il punto.
- Comare
- Venne a me un gentil gentiluomo, il quale nel dar d’occhio a una pur cittadina, molto gran donna, se ne cosse senza spettare altro: e mi dice come io, volendo, posso metterlo in paradiso; e distesomi il che e il come de la sua volontà, mi dà un ducato, anzi due, e fa sì che io gli prometto di favellare a la sopradetta cittadina. E volendomi contare la chiesa dove va sempre a messa e lo altare al qual si inginocchia e la predella dove si siede, gli tolgo le parole di bocca con dirgli: «Io so bene chi ella è, e la chiesa e l’altare e la predella: ma io non son ruffiana; pure la presenzia di vostra Signoria mi pare uomo da servirla, e perciò non passarà doman vespro che vi saperò consolare con qualche novella». La da ben persona e il bel fante era forestiero, e non conoscendo a fatto noi altre ruffiane, si lasciò dare ad intendere che io le avesse parlato, e che ella mi avesse detto: «S’egli indugiava un poco più, era forza che io mandasse a far la imbasciata a lui, la quale ha mandata a me».
- Balia
- Chi crede senza pegno non ha ingegno.
- Comare
- Pensalo tu, s’egli capiva ne la pelle, uden[do]si amare da la amata: l’allegrezza teneva corte bandita ne la sala del suo petto, e il core ballava a le nozze del suo credersi le bugie. Intanto io, che l’aveva trovato bona persona, compongo una letterina in su le grazie, e dico in nome di lei:
Signor mio, quando scontarò io mai l’obligo che io ho con la fortuna, con le stelle, coi cieli e coi pianeti, i quali mi han fatto degna di esser servitrice de la dolcezza vostra? Felice mi posso io ben chiamare, anzi beata, poiché la bontà di un tanto giovane consente che io l’adori. Oimè misera me, se voi non fosse pietoso come bello, e bello come cortese. Le signore de le cittadi mi doverebbero invidiare cotanto amore, del qual godendo non cambiaria sorte con la sorte imperiale. E caso che istanotte non veniate dove e a le quante ore vi dirà la fedele aportatrice di questa, ecco che io mi ammazzarò.
E perché paresse che la carta fosse molle de le sue lagrime, la spruzzai con l’acqua: e fattoci le cerimonie del soprascritto e del sottoscritto, gliene porto.
- Balia
- Ah! ah! eh! eh!
- Comare
- S’io avessi avuti tanti scudi quanti ebbi laude e benedizioni, e la lettera basci, buon per me: egli tremava per la allegrezza, e non la poteva aprire; e apertola, la leggeva, e sopra ogni parola si fermava con dire: «Comare, io non vi sarò ingrato; e a sua Signoria farò conoscere chi io sono»; e io, ringraziatolo, gli fo sapere che a le otto ore venga nel tal luogo, e ivi mi spetti. E beccati due altri scudarelli, lascio il beatus viro che manda per il barbieri, e fassi fare la testa antica coi panni e con i ferri caldi, i quali sempre portava seco; poi, mutatosi di camiscia, si profumò tutto quanto, e vestitosi un saio di velluto pavonazzo tempestato di ariento battuto, frangiato e sfrangiato per tutto, cenò solamente uova fresche e cardoni con pepe a furia; e ragionando con quella baldanza che si vede in quello il quale ha ricevuta la novella secondo il suo desiderio, fa stare uno a posta ad ascoltare l’oriuolo. E già sono le sei, onde non pò più tenersi in cavezza: ma piglia la cappa e la spada, dando prima uno sguardetto a una collana di dodici o quatordeci ducati incirca, la quale portava per donarla, con un rubinetto appresso di cinque in sei; la dà fuor de lo alloggiamento con un suo servidore valente seco. E portato dove gli diedi la posta, sona le sette, e io non vengo; sonano l’otto, e io non comparisco.
- Balia
- Lo aspettar de la colomba, volli dir del corbo, sarà il suo.
- Comare
- Ascolta pure. Egli cominciò, sonate che fur l’otto, a dire: «Tu non le hai conte bene, e non lo faria Cristo che non fossero le sette»; «Padrone, elle son le otto», replica egli; «Bestia, le son sette», risponde il signore. E datosi a spasseggiar, ogni strepitino che sentiva, diceva: «Eccola! certo ella non arà potuto far così presto»; e così dicendo dà due altre volte in su e in giù, e poi fermatosi dice al famiglio: «A me par pure che la vecchia ne sia venuta a la bona e senza ciance; ma qualche volta nascono degli sturbi, e non si pò venire a sua posta: e penso a me, che talvolta piglio la veste per andar fuora, e son ritenuto due ore da chi mi viene a trovare».
- Balia
- Egli se lo beccava.
- Comare
- Standosi in cotal ferneticamento, ecco scroccar le nove ed egli: «Puttana vergine, s’io sono ingannato a lo onor del Cielo, se la ruffiana ladra mi ci ha fatto stare, le darò tante ferite, le ne darò tante... spetta, spetta: adunque io sono uomo da soie, ah?», e ritornatosi a spasseggiare, soffiava come uno che si accorge del piantone datogli. E parendogli pure che io non dovesse né potesse mancargli, tre passi faceva a lo inanzi per ritornarsi a casa, e quattro a lo indrieto per aspettarmi dove gli dissi; e così andando e venendo, pareva non uno di quei bufoli che correno il palio, ma uno che non sa qual sia il suo meglio o l’andare o lo stare. Gianicco intanto lo refrustava a suo modo, arostendogli con il sufolo suo le orecchie e il viso, e col mordergli le labbra, gli cavava di bocca bestemmie nuove di trinca. A la fine chiarito e da le otto e da le nove e da le dieci, gridando un pezzo per la via «Oimè», se ne tornò donde si partì; e gittata la spada e la cappa in terra, diceva strignendo i denti: «Che, non le mozzarò il naso? non le darò ducento staffilate? non le mangiarò una gota coi morsi? Ruffianaccia traditora»; e colcandosi faceva croccare il letto con i suoi rivolgimenti; e recandosi ora in su quello e ora in su questo lato, squizzava come una biscia per i lenzuoli, si grattava il capo, si mordeva il dito, dava dei pugni al vento, e faceva un lamento crudele. E per ispassarsi il martello chiamò a dormir seco la sua alloggiatrice; e perché il fastidio che si ha, poi che l’hai fatto a una tocca da te acciò che te si passi il duolo che patisci per quella de la quale stai male, è incredibile, ficcata che l’ebbe, non se la potendo sofferire a lato, la cacciò da sé spettando il giorno: che penò, a suo giudicio, un mese a farsi, e tosto che si aprì, ecco saltarlo fuor dal letto e correre a casa mia. E io, conosciutolo al picchiare a l’arrabbiata, ne rido da me a me; e apertolo, sento fulminare: «A questo modo, ah? Con chi ti pare aver a fare, eh?», «Con un signore dei cortesi e da ben d’Italia» gli rispondo io, «e mi meraviglio de la Signoria vostra che corra così a furia contra una sua affezionata. Infine io ne farò il boto, io il farò certo: và e impacciati coi gran maestri và! Io l’ho aspettato fino a l’alba, e mi sono aghiadata di freddo per servirvi, e non ho fatto niente».
- Balia
- O questa è bella, che ti paressi anco aver ragione.
- Comare
- Ed egli a me: «Io ho conto le sei, le sette, l’otto, le nove e le dieci, e non sète venuta»; e io a lui: «Quando vi partesti voi?»; «Finite che furono di sonare le dieci»; «Appunto nel finire del sonare che fecero, comparsi ivi: e spetta spetta, poteva spettare! E per dirlo a la Signoria vostra, io la lavai con queste mani, con l’acqua rosa e non con l’acqua schietta; e mentre le spurava le pocce, il petto, le reni, il collo, stupiva de la sua morbidezza e de la sua bianchezza. Il bagnuolo era tepido e il fuoco acceso, e io sono stata la colpa d’ogni male: perché nel lavarle le cosce e le meluzze e la cotalina, mi venni meno per la dolcitudine del piacere. Oh che carni delicate, oh che membra candide, oh che spesa non più fatta da veruno: io l’ho palpata l’ho basciata e maneggiata per una volta, sempre parlando di voi». A che fine sprolungarla? Io il messi in volontà: e rizzandosigli il piei-del-trespolo, me si lascia cadere a dosso, e diemmene una che se gli poteva dir «arcivoi», non pur «voi».
- Balia
- Tu mi farai crepare, ah! ah! ah!
- Comare
- E quante ne ho beccate su ai miei dì per cotal via: insomma tutti i buon bocconi son trangusciati dai cuochi, e noi ruffiane aviamo, ruffianando, il medesimo piacere che ha colui che fa le cialde, il qual si mangia tutte quelle che si rompano; anzi quello dei buffoni, i quali vestano e mangiano de le robe e dei cibi dei signori. Sbizzarrito e sfoiato che fu sopra di me, prese tanto dispiacere vedendomi ghignare per ciò, che mi si dilequò dinanzi in quella ora e in quel punto, che nol viddi mai più.
- Balia
- E chi non si sarebbe dilequato?
- Comare
- Io te ne vo’ contare una, per via de la quale fu per uscire di sé un grande uomo. Costui che io ti dico s’innamorò di una vaga cosettina: non perciò sì diminutiva che non si trovasse in letto, ma gentiluzza, tutta spirito e tutta grazia; e con certi suoi occhietti, con certi suoi risetti, e con alcuni atti, gesti e modi trovati dai suoi andari, aguzzava il core d’ognuno. Onde il personaggio dettoti se ne infiammò al primo; e spendendo e con seco e con meco, prese la possessione di lei: e gliene lasciai avere cinque o sei volte a suo piacere; ma di giorno, quando a buonotta, quando al tardi, quando a nona e quando a vespro: di modo che quella ingordezza che mostrò nel principio de lo ottenerla, gli passò di tratto, e le faceva più tosto carezze per un bel parere che per un grande amore; e quasi per pigliarsene burla, la pregò che venisse a dormir seco, e ella me ne fa segretaria. Onde risolvo che a fargliene carestia acconciarà i nostri fatti; e ordino che ella gli prometta di venire in casa d’una sua vicina a sei ore: e facciolo piantare sei notte di lungo. La prima si trapassò con niun fastidio; la seconda, venne via un poco di voglia; la terza, il forno comincia a scaldarsi, e i sospiri si mettano in ischiera; la quarta l’ira e la gelosia lo conducano in campo; la quinta, la rabbia e il furore gli pongano l’armi in mano; la sesta e ultima, ogni cosa va in fracasso: la pacienzia rinega, lo intelletto impazza, la lingua taglia, il fiato coce, il cervello si sgangara; e rotto la briglia del rispetto, si dà drento, e con minaccia e con istridi e con pianti e con doglie e con disperazione si sta spettando, ma con altra passione che non provò quello il quale me la caricò mentre spettava chi mai non venne. E credendosi che il mancar di lei venisse dal suo avermi dato troppo poco, me lo dice, mi dà, mi promette; e bravando mi accarezza. Parla a la innamorata e, lamentandosene, la vede giurare che non campa da lei, ma che sua madre la guarda: «E perché la bevanda che per farla dormire mi deste» gli dice ella, «ne l’assaggiarla le parse amara, ha preso sospetto; e non si addormentaria, se non mi vedesse colcata, per tutto l’or del mondo». E promettendogli la notte avvenire di certo e di chiaro, e non venendo, era spasso e cordoglio a vedere un par suo farsi cento volte per attimo a la finestra, con dire: «Quante ore sono? La viene, la non pò stare, e so che non mancaria, perché mi ha promesso su la fede sua»; e ogni nottola che volava gli pareva lei che venisse; e spettando anco un poco e un poco più, con una altra oretta appresso, sbuffava, si rodeva e smaniava come un che ode il bargello che gli dice «Acconcia i fatti tuoi» e mostragli il confessore. Passato il termine di assai, si gitta vestito sopra i panni: né bocconi, né rovescio, né i[n] sui lati trova tanto di riposo che gli faccia serrar gli occhi; e il pensiero è sempre fitto in colei che se ne ha fatto beffe. Si leva suso, spasseggia, ritorna a la finestra, si ricolca: e in quello che sta per addormentarsi per istracchezza, si sveglia, e sospirando si leva, essendo già il dì alto. Vien l’ora del mangiare, e puzzandogli l’odore de le vivande, ci torce il gusto: e assaggiatone un bocconcino, lo sputa come se fosse veleno. Fugge gli amici; s’un canta, gli par che lo trafigga; s’un ride, l’ha per male; non si pettina barba, non si lava viso e non si muta camiscia; va solo, e mentre i pensieri, il core, la mente, la fantasia e il cervello gareggia coi suoi fernetichi, cade là più morto che vivo. E facendo sempre giardini in aria, non conchiude mai nulla: scrive lettere, e poi le straccia; manda imbasciate, e poi se ne pente; or prega e or minaccia, mo’ spera e mo’ si dispera; e sempre il suo «ei si sia» è amannito.
- Balia
- Io mi risento tutta nel raccontarmi ciò che tu mi racconti e tristo a chi prova cotali tormenti. Aspro è il martorio con che amore percote gli innamorati; o Iddio, che animo è quello d’un tale: ogni cosa gli è a noia, il mèle gli pare amaro, il riposo fatiga, il mangiar digiuno, il ber sete, e il dormire vegghia.
- Comare
- In .X. dì o .XII., se tu lo avesse veduto, ad ogni altra cosa che a uomo l’averesti simigliato: non si raffigurava da se stesso ne lo specchio, e certamente io non gli diedi cotal fune per volergli male ma volsi provare una ricetta da martellare uomini. Sì che, Balia, poiché la riesce, usala: e averai ciò che tu vuoi da le persone condotte a simile sorte.
- Balia
- Avestigli tu poi pietà?
- Comare
- Sì, ben sai che sì.
- Balia
- L’ho caro.
- Comare
- Io la feci venire a dormir con seco più e più volte: e come lo vedeva stregnere il pugno meco, io tirava la cavezza de la cavalla, e s’egli allargava, io allentava.
- Balia
- Anche io allentarò la briglia, se un tale allarga la mano.
- Comare
- Fàllo, se ci vuoi reggere. Ma è pur grande il miracolo che fa uno il qual racquista la donna sua, ed è pur vero che, tosto che la ribascia e abbraccia, gli torna il colore nel viso, le forze nel corpo, l’aria ne la fronte, il riso negli occhi e ne la bocca la fame, la sete e la parola, il suo senno ritruova l’amicizia, piacegli i suoni, i balli e i canti: e per dirtela in un fiato, egli risuscita più tosto che non more.
- Balia
- O Amore, tristo a chi tu ti cogli a urto.
- Comare
- Veniamo in su le allegre. Un certo fiuta-cupidi, il quale non averebbe dato la man dritta a la bellezza del Parmigiano cameriere di papa Giulio, e perché un suo servidore gli disse che tutte le cortigiane e le gentildonne de la terra nel suo passare stavano per gittarsi de le finestre per amor suo, diede l’arra a quante coltrici e a quanti materazzi ci erano, con fantasia di farsegli portar drieto donde passava, acciò che le non si rompessero nel trarsegli a dosso. E con tutte rideva, con ciascuna faceva il morto, sempre smusicava, a ogni ora scriveva lettere amorose, tuttavia leggeva sonetti, e a otta a otta si spiccava da qualcuno e correva a favellare a le pollastriere; e come aveva chiavato tutte le donne con gli occhi, si finiva di chiarire drieto Banchi. A costui ne feci io una dolce dolce.
- Balia
- Ti sono schiava in catena, perché mi parrebbe esser contessa se ne vedessi trarre un dì uno di cotali sciagurati nel cesso, e quanti ce ne sono.
- Comare
- Egli veniva ogni mattina a la Pace, e ponendosi sempre nei luoghi più onorati, con tutte la voleva; e aresti detto vedendolo civettare: «Costui pone la sella a ciascuna». Onde io poi che l’ebbi visto ascoltare quello che favellavamo, dico a la mia compagna: «Il barbagianni ci spia, non ti guastare, e stupisci del mio dire»; e ciò detto, alzo un poco più la favella e dico: «Io sono ormai fradicia per i rompimenti di cervello che mi fa quel del Piombo, il quale è sì gran dipintore: io gli ho mostro il dito, ed egli ha preso il dito e la mano»; «Come?» mi risponde ella, «Io gli feci l’altro dì ritrarre una, non bella, anzi miracolosa fanciulla, e con una fatiga da cani; e pagommi, il vero si debbe confessare. Ora mi è a le spalle per ritrarla di nuovo, non gli bastando averla avuta più volte: egli l’ha ritratta per l’angelo, per la Madonna, per la Madalena, per santa Apollonia, per santa Orsola, per santa Lucia e per santa Caterina e gli ametto la scusa, perché è bella, ti dico». Il corrivo, che ci aveva spalancate le orecchie, partita che io fui dal chiacchiarare con l’amica mia, mi tien drieto: e s’io camino, camina, s’io vo adagio, va adagio, e s’io mi fermo, si ferma, tosse un pochetto, si rischiara, saluta altrui con boce che io la sento, e fa mille movimenti acciò che io mi accorga che egli è lui. Intanto io mi lascio cascare la corona, e passo via col fingere di non me ne essere avveduta: e il coglioncino spicca un saltetto e la ricoglie, e con «Madonna, o madonna» mi fa voltare; e porgendomela, dico: «Smemorata che io sono: gran mercé a vostra Signoria; s’io posso nulla, quella mi comandi». E volendo movere il passo, ecco che mi tiene; e tiratami da canto, comincia a dirmi il desiderio che ha di farmi piacere, e che per esser giovane non gli par prosunzione il richiedere il mio mezzo per acquistarsi una manza: e che, bontà de le laude che mi ha sentito dare a colei più e più volte ritratta per lo angelo Gabriello, è caduto in un fuoco e in una fiamma che ne spasima.
- Balia
- Oh, tu il facesti uscir con grazia.
- Comare
- Io gli rompo il parlar con quel «perdonatemi» che si usa quando altri vòl cicalare anche egli; e rispondo a le partite, conchiudendo che il domesticarsi con colei saria impossibile e gli allego i rispetti e i sospetti; e licenziatami da lui, faccio cinque o sei passi masticando il «pensatici suso» col quale mi aveva lasciato, e poi mi rivolto indietro e lo accenno, ed egli a me: «Che comanda la mia madre?»; «Io spero ben per voi e mi son ricordata... basta mo’: fate di essere istasera in su la mezza ora di notte in casa nostra, che forse forse... State con Dio».
- Balia
- Che bei tratti.
- Comare
- Oh, se tu avesse veduto con che sbragiar di andar galante si partì il matto spacciato, ne aresti pur riso: se ne andò subito a veder a l’oriuolo quante ne son sonate; e ogni amico il qual trovava, poneva la mano in su la spalla e gli diceva pian piano: «Istasera toccarò una cosa che se ne terria buono un duca: non ne favellare, perché non ti posso dire altro».
- Balia
- Al goffo.
- Comare
- Ecco l’ora sona, ed egli viene; e io gli dico: «Non vi ho io a dire? Ella vi conosce, e perciò sta sopra di sé con buone ragioni»; «Come buone?» risponde il zugo, «non sono io uomo, ah?»; «Signor sì, non collera» gli dice la Comare, «ella sa che voi le volete tutte, e che tutte l’avete; e dubita che saziato che ne foste, di non rimanere imbertonata. Ma io che conosco le persone in due sguardi, ho tanto fatto e tanto detto, che è rimasa servitora vostra»; «Anzi padrona, potta di santa Bella, cane de la gatta», sfoderò egli. Io seguito: «Sappia vostra Signoria, che mi aveva dato uno anello propio come cotesto che avete in dito, perché voi il portassi per amor suo, ma io le dissi: anzi egli vòl donarvi il suo, acciò che in segno de la sua fede il godiate»; appena fornii la parola che, fregatosi il dito con la lingua, il cavò fuora, con dirmi: «Voi eravate nel mio animo quando gnele diceste: e perciò non vi incresca il portarlo a lei, e ordinare quella faccenda».
- Balia
- Ah! ah! ah! Chi non rideria del modo col quale gli trafugasti la gioia?
- Comare
- Avuto l’anello, gli prometto il dormir con lei la notte che verrà; e fattolo trarre di cinque giuli, con un «andate felice» il licenzio. Poi trovo una ciarpa assai sufficiente, e la vesto di robbe tolte a pigione, la striscio e l’acconcio pulitamente: e così in la casetta d’un mio compare, gliene colco a canto; e perché un lumicino, che tuttavia accennava di spegnersi lambiccato da me, non gliene lasciava discerner a suo modo, rinegava il Cielo. Ma fu per far boto di farsi frate quando io, una ora inanzi [dì], lo scovai e il feci levar suso, pelandomi tutta quanta, con dirgli: «Noi siamo scoperti: i fratelli, il marito, i cognati; disfatta a me! trista a me!». Possa io fare pessimo fine se la paura che ebbe non gli fece scordar la borsa sotto il capezzale: e venendo la mattina per favellarmi, gli messe tanto sospetto un mio bertone che pareva disperato, che non ci tornò mai più.
- Balia
- Come mi piace che simili stracca-amori sieno trattati in cotal maniera; venite via frasche, venite via code triemole, che elle si sbracono per tirarvisi in sul corpo: bestiuoli, caca-muschio, sputa-rubini, visi-di-mone.
- Comare
- A quella d’una monica.
- Balia
- Gran faccende son quelle de la ruffiana: per tutto bisogna che sia, e che a ogni cosa ponga mano, e prometta e sprometta, e neghi e confermi.
- Comare
- Cappe, che son gran faccende quelle de la ruffiana! Una ruffiana dee trasformarsi in un sarto.
- Balia
- Come così, in un sarto?
- Comare
- Al sarto dee simigliarsi nel promettere. Ecco che ti taglia una veste, un giubbone, un paio di calze e un saio, e benché sia certo di non poter servire non pure il dì de la promessione, ma né l’altro che segue, né l’altro che viene, né il doppo meno, pur ti promette e rafferma: e ciò fa per non si lasciare uscir di mano i lavori. Viene la mattina, e colui che si crede vestire, spettato una e due ore nel letto, manda dire che si spacci; ed egli: «Adesso adesso fornisco di ficcarci dieci punti che mancano, e vengo via». Passa l’otta di terza, l’otta di desinare, l’otta di nona, e non comparisce: talché il messere lo squarta con le bestemmie e con le braverie. Ma il maestro pratico, finiti che gli ha, trotta a casa di chi n’è padrone, e spiegati là i vestimenti, frappa, si scusa, si umilia, [si] stringe ne le spalle, dà ragione altrui, patisce: non facendo conto veruno del «ladro» né del «poltrone» che se gli dà di prima giunta. Come ancora fa la ruffiana, la quale lascia gracchiare chi gracchia con il suo non osservare così di punto le promesse de la sua fede data a credenza: e quando non va a torno altro che «ruffianaccia», «ribaldaccia», «troiaccia», è un sollazzo.
- Balia
- Un sollazzo veramente.
- Comare
- Ed è proprio a la similitudine di colui che si distrugge ne lo aspettar le vesti nuove, quello uomo il quale vede passar l’otta de la posta, onde vòle strozzar la ruffiana: la quale in ogni sua occorrenzia dee far quel viso, al burlato da lei, che fa uno oste al forestieri tirato dal suo garzone ad alloggiar seco.
- Balia
- In che modo ad alloggiar seco?
- Comare
- Ti dirò. I garzoni degli osti stanno in su la sera un miglia discosto a l’ostaria; e visto un viandante, cominciano a dirgli: «Signore, o messere, venite con meco che vi darò starne, fagiani, tordi, tartufi, beccafichi, trebiani», e fino al zuccaro brusco gli promettano; e menatolo dove vogliono, appena ha di pollastri e d’un solo vino; e gridando per ciò, l’oste si scusa con dirgli: «È vero che poco fa un monsignore cavalcato a staffetta si ha mangiato tutto quello che il mio famiglio si credeva che ci fosse»; onde è forza che chi è smontato e spogliatosi fino agli stivali, mangi di quel che ci è.
- Balia
- Come anco debbe far l’uomo al quale la ruffiana ha promesso signora o gentildonna, e poi gli pone inanzi una vitella che tien di vacca.
- Comare
- Colta l’hai. Or torniamo a la monica, a la suora, a la bizzoga, la castità de la quale corruppi con una bestemmiuzza e con un sagramentino. Ma perché non mi si smentichi, ti voglio insegnare, inanzi che io parli dei monisteri, un bel colpo: fà una professione ostinata di non bestemmiare e di non giurare, e usa ogni studio perché si divulghi che fra tutte le tue pecche è mescolata una sola bontà rada radissima in ruffiana cioè che tu non bestemmi e non giuri mai.
- Balia
- Perché ho io a far cotesto che tu dici?
- Comare
- Perché il punto nostro sta nel cacciar carote, in far creder quello che non è e non pò essere; e occorrendoti il voler ciurmare e infregiare alcuno, essendo il nome del tuo non bestemmiare e del tuo non giurare, subito che per farla bere ad altrui bestemmi o giuri, ti sarà data più fede che non danno l’usure ai pegni d’oro e d’ariento.
- Balia
- Prego la mia memoria che mi faccia prima scordare il memento mei che un sì buono avviso.
- Comare
- A la suora mo’. Un di questi che si dilettano col malanno di por le corna ai monisteri, stava a lo stillato per amore d’una monichetta graziosina, dolciatina, galantina; e per il dirieto rimedio viene a me, e mi piagne intorno, mi conta i suoi guai e dammi parole e denari. Per la qual cosa io, a la usanza dei ceretani che tolgano a guarire ogni fistola in otto dì, prometto di andar a parlarle; e vado ancora: ma ne lo alzar gli occhi al monistero, considero il sagrato del luogo, le mura alte, il pericolo ne lo entrarvi, la santità de le suore; onde mi fermo dicendo a me stessa: «Che farai, Comare: andrai o non andrai?»; «Sì sì, io andrò, anzi non andrò miga»; «E perché no?»; «E perché sì?»...
- Balia
- Tu sei dessa.
- Comare
- ...«A la fede che io mi voglio tornare a casa»; «Come a casa? È questa la prima?». In cotal contrasto stava meco medesima tosto che io squadrai il monistero; e avendo in mano alcuni collarini di rensa, lavorati di quel refe sottile il qual non si cura, me gli ripongo in seno, e apro un libricciuolo de la Donna tutto scritto a penna e miniato con ori, con azzurri, con verdi e con pavonazzi violati: cotal uffizio ebbi io da un malanotte mio amico, che lo furò a quel vescovo da ’Melia la rogna del quale ha lasciato nome di sé in Roma, e lo teneva inguluppato in un velo, e con nome di venderlo mi conduceva a favellare a le suore di tutti i conventi. Aperto che io l’ebbi e guardatolo, con istupirmi lo riserro e me lo reco sotto il braccio; e poi ritorno a risquadrare lo albergo de le rinchiuse. E nel raccontarlo a un che era stato in campo, mi disse che io pareva un capitano il qual vòl dar la battaglia a una terra: che va guardando il più forte dei muri, il più cupo e il più largo dei fossi, e dove i merli son men calcati di gente, e poi dà l’assalto. Ma ciò che io mi paressi, o a quel che mi rassimigliassi, io entrai ne la chiesa: e per non far torto al biscio del quale mi vestiva ogni volta che intrideva le mie ruffianezze con le onestà suoresche, tolsi prima l’acqua santa, e poi mi gittai inginocchioni; e pispigliato un pezzetto, datomi alcune maxima culpa nel petto, allargando le braccia nel congiugnere insieme le palme, inchinato il capo, bascio la terra; poi rizzatomi suso, picchio a la ruota. E picchiato che io ho così pian piano, odo una «ave» che mi risponde; e rispondendomi apre la grata: e io stringo le spalle e dimando se ci è niuna suora che voglia comprare il libro del Salmista.
- Balia
- Tu dicesti poco fa che egli era l’ufficiolo de la Donna.
- Comare
- Non si pò dire una bugia e starci?
- Balia
- Così ce si potesse stare a dir due veri.
- Comare
- Or basta, dunque. Come la portinaia udì che io voleva vendere il libro, corse suso: e non stette molto che ritornò a me con una schiera di suore giovani; e fattami venir drento, ecco che io lancio un sospiro, e dico: «Io non càpito mai nei monasteri, che non mi si racapricci l’anima; e solamente l’odore che di santità e di verginità esce de la vostra chiesa, mi converte e mi fa sospirare i miei peccati. Infine voi siate in paradiso, né avete impaccio di figliuoli, né di mariti, né de le mondanità: i vostri uffici, i vostri vespri vi bastano; e val più lo spasso che vi dà l’orto e la vigna vostra, che quanti piaceri godiamo noi». Ciò detto, mi pongo a sedere allato a quella per la quale sono andata ivi, e sviluppo il libro, e trovo la prima dipintura e gliene mostro: intanto elle gli fanno una capannella intorno.
- Balia
- Io le veggo mirare il libro, e sento favellarne.
- Comare
- Fattogli intorno capannella, nel riconoscer Adamo ed Eva, ecco una che dice: «Maladetto sia quel fico traditore e questo serpe ladro, il qual tentò la donna che è qui»; e toccandola col dito, sospira. E questa risponde a quella, che dice «Noi vi[ve]vamo sempre, se la gola d’un frutto non era»: «Se non si morisse, ci manicaremmo l’un l’altro, e ci verrebbe a noia il vivere; e perciò Eva fece bene a mangiarlo»; «Non fe’, no» grida il resto, «morire, ah? Oimè, il ritornar polvere»; «E io per me» dice una suora argutetta, «vorrei viverci ignuda e scalza, non pur calzata e vestita; la morte a chi la vòle». Intanto io volgo carte e trovo il deluvio, e trovatolo, sento dirgli: «Oh come è naturale l’arca di Noè: paiano vivi costor che fuggano su per gli alberi e suso le cime dei monti»; altra loda le saette, le quali tra i fuochi e i nuvoli par che caschino; altra, gli uccelli impauriti da la pioggia; altra, quelli che si sforzano di aggrapparsi a l’arca; e altra l’altre cose.
- Balia
- De la Cappella è furata cotesta dipintura.
- Comare
- Così si dice. Considerato che ebbero il diluvio, gli mostro il bosco dove piovve la manna; ed elleno, nel veder cotanta gente e femine e maschi, le quali se ne empieno il grembo, il seno, le mani e i canestri, tutte facevano festa. In questo la badessa vien giuso, e tosto che esse la viddero, corsero a lei con il libro in mano; e occupandola a vedere le dipinture miniate, io mi rimango sola con quella che io voleva; e vedendo il bello, cavo fuora i collarini lavorati finamente, e le dico: «Che vi pare di questo lavorio?»; «Oh egli è galante», mi risponde ella; «Galante è il padron loro» dico io, «e vi voglio recare domani alcune sue camisce lavorate d’oro, che vi faranno stupire; come anco vi faria stupire la grazia e la gentilezza sua. Oh che giovane discreto, che ricca persona; io vi accusarò il mio peccato: io vorrei esser come già fui, e basta». Mentre io le dico cotali cose, la guardo negli occhi; e vedendognele a mio modo, muto verso e dico: «Iddio il perdoni a vostra madre e a vostro padre, che vi imprigionarono qui; e so ben quel che mi ha detto il gentiluomo dai collari...».
- Balia
- Che bella via.
- Comare
- «...Egli spasima, more e si disfà per amor vostro: voi sète savia, e so che pensate al vostro essere di carne e d’ossa, e al perdere de la gioventù». Infin, Balia, la dolcezza del sangue de le donne passa quella del mèle, ma la dolcitudine di quello de le suore vince il mèle, il zuccaro e la manna: e perciò ella prese bellamente una lettera che io le portava da parte di chi me la diede, e si conchiuse; e si trovò via e mezzo onde egli poté andare a lei ed ella a lui. E l’astuzia mia fu il lasciar del libro: per la qual cosa mi si spalancavano gli usci; e sempre fingeva di volergliene non vendere, ma donare, e mai sì serrava il mercato.
- Balia
- Ah! ah!
- Comare
- In due dì imbertonai tutte le moniche de la mia ciancia: io gli contava le più nuove trame del mondo; e facendo ora la matta e ora la savia, beata chi mi poteva più accarezzare. Io gli diceva quello che si pensava di Milano, e chi ne sarebbe duca; le certificava se il papa era imperiale o francioso; gli predicava la grandezza dei Veniziani, e come son savi e come son ricchi; poi gli entrava ne la tale e nel tale, contandogli i loro amici, e gli diceva chi era pregna e chi non faceva figliuoli, e qual fosse colui che trattava bene e male la moglie; e gli spianava fino a le profezie di santa Brigida e di fra Giacopone da Pietrapana.
- Balia
- Che cervello.
- Comare
- Eccomi a l’uscio d’una madonna nobile e ricca (maritata in un gran gentiluomo, il quale si spettava di dì in dì), con la corona in mano, masticando paternostri e sospiri, con una letterina in seno, e con certa accia sottile in una sacchetta che io teneva in grembo; e bussandolo lente lente, prego la fante, che di su la finestra mi dice «Chi è?», che faccia imbasciata a la padrona che sono io, e gli porto accia da dirgli «voi», e per un mercato disfatto. Come si andasse, io sento aprirmi, ed entro drento con quel propio avvedimento del ladro il quale coi grimaldelli e con le lime sorde ha schiavato la bottega appostata da lui un mese prima. Salgo di sopra, e con un inchino che toccava d’inginocchiatura le dico: «Iddio vi mantenga cotesta grazia, cotesta beltà e cotesta persona fiorita di vertù, di gentilezze e di costumi».
- Balia
- Bel saluto.
- Comare
- Ed ella: «Sedete, poverina; sedete, dico»; e io seggo, e sedendo sospiro forte, e con due lagrimucce secche e affamatine mi rannicchio in me stessa, e le conto i miei guai e le carestie e le poche limosine che si fanno. Onde la movo a compassione; e mossa che io l’ho, sciorino con boce affannata: «Se come voi fessero l’altre, la povertà parrebbe ricchezza a una mia pari. Che vale una donna crudele? che laude se le pò dare? che paradiso è il suo? Quante meschine muoiono per le strade, senza essere sovvenute da niuna? quante per gli spedali, non visitate mai da l’opra de la misericordia? Ma lasciamo stare le poverette: quanti uomini serrano le pugna, bontà di questa crudeltà, di questa durezza indemoniata nel mezzo del core de chi potria aiutare gli afflitti; e con le parole e con gli sguardi, non pur con i fatti, cavargli di stento e di miseria? Siate voi benedetta, siate voi adorata, poiché voi pietosa e compassionevole non patite che io gitti via questa accia». E ponendognele in mano, sorrido con dire: «Egli mi interviene oggi quello che non mi intervenne mai ai miei dì».
- Balia
- L’arte de l’arte de la ruffiania de la ruffiana, è tua discepola.
- Comare
- La madonna mi si volta e dicemi: «Che vi interviene?»; io le rispondo: «Mentre guardo i giri dei vostri occhi, e come alcune ciocche di capegli vi escano fuor del velo, lo spazio de la fronte, il rado de le ciglia, il vermiglio de le labbra, e tutte l’altre divinitadi de la Signoria vostra, sento maggior consolazione che non sentiva doglia inanzi che la mia sorte e la vostra cortesia si degnasse che io vi comparissi inanzi»; ed ella, tenendosene bona, mi dice: «E per vostra grazia», «Pur per vostra, signora mia», le rispondo io, «e ha ragione di adorarvi e di ardere per voi...»: e qui mi fermo, ed entro ne l’accia, e dimando tanto de la libbra, più e meno, come piace a lei. Che cosa è la donna, e di quanta poca levata: appena le toccai de lo «ha ben ragione di adorarvi e di ardere per voi», che tutta diventò rossa, e inviluppandosi nel mercatare de l’accia, non dava in nulla; e io accorgendomi del suo volere entrare ne la materia, la quale era di più importanza de l’accia e del refe, ritocco dove le dole, dicendo: «Chi non ha giudizio, suo danno: val più il disperarsi per voi che il contentarsi per altri»; e parendomi che ella fosse abbattuta da la lancia del mio ciurmare, mi cavo la lettera di seno, e le ne pianto in mano; ed ecco che mi si volta con un «A me, ah? a me, eh? e chi ti paio io? e chi ti credi che io sia? Egli mi vien voglia di trarti gli occhi con le dita, con le dita mi vien voglia di trartegli, scommunicata, ruffianaccia poltrona che tu sei, vatti con Dio, escimi di casa: e se mai più ti avezzi di venirmi inanzi, ti pagarò di queste e di quelle. A questo modo, ah? a questa forgia, eh?».
- Balia
- Io mi scompiscio di paura in tuo servigio.
- Comare
- Or pensa ciò che feci io, vedendomi sospignere giù per la scala: e nel volere scappar fuora, eccoti venire il marito; ed ecco la madre corsa al rimore, e un suo fratello ancora il quale non soleva mai uscire de lo studio. Io, essendo a così maligni partiti, mi rassetto l’animo nel core e le bugie in su la lingua e lo sfacciato ne la fronte; e in un tempo alzo le grida e dico a la giovane: «Se vi è parso che io abbia chiesto troppo de l’accia, dite «non fa per me», senza villanie»; e a la vecchia: «Chi sa meglio di voi quanto si vende la libbra?»; e al fratello: «Voi ve ne potete con meco»; e al marito, il quale con gridare «Che fai tu qui?» mi urta: «Io ho errato la porta, vostra Signoria mi perdoni»; e con tali avvisi scappai da la mala ventura.
- Balia
- Una altra si saria perduta.
- Comare
- In simili casi bisogna usare la malizia che usa la volpe quando si vede giunta fra i cani, i bastoni, le reti e il fuoco: ella, non si perdendo punto, sta in cervello, e accennando di volere uscire o di qui o di qua, tutti i gesti che fa ella, fanno anche coloro; i quali se la lasciano scappare de l’unghie senza avvedersi come.
- Balia
- Dieci volte ho visto quel che tu dici.
- Comare
- Ma tu ti credi forse che colei, de la quale mi parse fuggir la furia, si corrucciasse da senno? Niente, Balia: ella ricolse la lettera squarciata da lei e calpestata e sputacciata e ricongiugnendola insieme, la lesse e rilesse mille volte; e da la finestra la mostrò a colui che mi mandò a portargnele. E perché io il credessi, il suo amante mi fece veder con gli occhi propi come ella diventò sua senza altri mezzi: e un dì, doppo desinare, mi fece stare nascosta in un luogo, del quale la viddi spogliare ignuda e colcarsi seco. Sendo il caldo grande, e perché la camera rispondeva in uno orto, le cicale, che in quella ora facevano a gara, non mi lasciavano udire ciò che madonna gli diceva: ma viddi lei, sì viddi bene, io la viddi per certo, perché egli la contemplò in ogni parte. Ella si aveva rivolti i capegli in capo senza velo niuno, onde le sue trecce le facevano tetto a la bella fronte: i suoi occhi ardevano e ridevano sotto l’arco de l’un ciglio e de l’altro; le guance parevano propio latte spruzzato di grana di colore dolce dolce; oh il bello naso, sorella, oh il bel mento che ella aveva! Sai perché io non ti favello de la bocca e dei denti? Per non iscemare la lor riputazione favellandone. Un collo, Iddio, un petto, Balia, e due pocce da far corrompere i vergini e da sfratare i martiri: io mi smarrii nel vedere il corpo con la sua gioia per belico in mezzo; e mi perdei ne la vaghezza di quella cosa bontà de la quale si fanno tante pazzie, tante nimicizie, tante spese e tante parole; ma le cosce, le gambe, i piedi, le mani e le braccia lodino per me chi sa lodarle. E son fole le parti dinanzi: lo stupore che mi cavò fuor del sentimento, uscì da le spalle, da le reni e da l’altre sue galantarie. Io ti giuro per il mio mobile, e lo do a sacco, al fuoco e ai ladri e ai birri, se non mi posi nel vederlo la mano a la cotale, menandomela non altrimenti che si menino i cotali da chi non ha dove intignergli.
- Balia
- Nel tuo dirmi ciò che mi hai detto, ho sentito di quella dolcezza che si sente nel sognare di avere a dosso il tuo amante onde ti desti nel compire.
- Comare
- Doppo il cianciare si gittarono in letto: e abbracciatosi insieme, facevano disperare l’aria, che non aveva più luogo fra loro. E standosi così, le cicale per mia bona ventura si acquetarono, e ne ebbi gran piacere, perché degli innamorati non son meno dolci le parole che i fatti. Prima che venissero ai ferri, il giovane tanto vertuoso quanto nobile le ficcò gli occhi negli occhi e mirandola fiso, disse questi versi (i quali volli da lui scritti, e messimigli ne la fantasia con de l’altre rime che ti dirò accadendo):
Non si curi del Ciel che in terra vive
felice amando e del suo amor contento;
né lassù brami fra le cose dive
sentir la gioia ove ogni spirto è intento:
perché al sommo diletto par che arrive
solo il gioco amoroso; e in quel momento
che de la donna sua si bascia il viso,
s’ha quasi un dei piacer del paradiso.
O beati color che hanno duo cori
in un sol core, e due alme in una alma
due vite in una vita, e i loro ardori
quetano in pace graziosa ed alma.
Beatissimi quei che hanno i fervori
con par desire scarchi d’ogni salma
né invidia o gelosia né avara sorte
gli nega alcun piacer fino a la morte.
- Balia
- L’anima, l’anima mi hanno tocca: oh son dolci, oh sono soavi!
- Comare
- Recitate le due stanze, de le quali si cibarono le orecchie de la fanciulla, ecco darci drento. Già i lor petti si congiungano sì fervidamente insieme, che i cori di tutti due si basciarono con uguale affetto. In quello essi si beeano dolcemente gli spiriti corsi ne le labbra per diletto; e beendosigli, gustano le dolcezze del Cielo: e i sopradetti spiriti fecero segno di allegrezza, mentre gli «ahi, ahi», gli «oimè, oimè», e «vita» e «anima» il «cor mio», il «moro», lo «aspetta che io fo» finirono. Onde cadde questo e quella lentamente, spirandosi l’un l’altro in bocca l’anima con un sospiro.
- Balia
- Un Sasso, un Tibaldeo, non che il Petrarca, non saprebbe raccontarlo così bene. Ma non ne contar più di loro, e lasciami con la bocca dolce.
- Comare
- Che ti sia fatta la grazia: benché faccio torto al sonno il quale gli piovve negli occhi a poco a poco; onde si gli aprivano e serravano, togliendogli e rendendogli la luce come toglie e rende il lume al sole un nuvoletto che ora se gli atraversa e ora se gli leva dinanzi.
- Balia
- A sua posta.
- Comare
- Un qualificato uomo, una reputata persona, il quale aveva più vertù che la bettonica, adocchiò una vedova né vecchia né giovane, molto bella e molto polita, la quale ogni mattina quasi veniva a la messa; e io, per far correre qualcuno, come io feci, sempre inanzi a lei compariva a la chiesa; e mi poneva appunto ne la predella del suo altare: e ciò usai nel principio per darle via di parlarmi, se non con altro, col dirmi «Levati di qui»; e mi venne fatto: e sempre che mi vedeva, per sua grazia mi salutava, diman[dan]domi spesso come io la faceva, s’io aveva marito, e quanto pagava di pigione, e altre novelle. Onde colui che la vagheggiava, prese per partito di farmi mezzana del suo amore; e una sera se ne viene a me solitario, e con una maniera onesta mi richiede; e io, latina di bocca, prometto e sprometto: prometto con dire «Una mia pari dee servire a un par vostro», e sprometto dicendo «Io dubito, pure io le favellarò, siatene certo». E così lo faccio venire a la chiesa; e accostandomi a la vedova, parlo d’altre cose; e voltandomi a lui, accenno: cioè gli dico coi cenni che ella, la qual rideva de le mie ciance, ride nel sentirlo mentovare; ed egli contento.
- Balia
- Capassone.
- Comare
- Finissi l’uffizio, e me ne vengo a casa: ed egli comparisce; onde gli tocco la mano, e dico: «Buon pro’ vi faccia il ben che ella vi vòle; non le poteva ragionare di cosa che più le piacesse. Ma per la prima volta, non si è arrischiata a dirmi l’animo suo: ma chi non lo conoscerebbe? Scrivetele una lettera con qualche sonettino, perché se ne diletta: e io gliene darò». Come sente de la lettera, un paio di ducatuzzi venner via: «E non ve li do per pagamento» disse egli, «ma per arra di quelli che vi ho a dare; e istasera portarò la lettera». Partisi, torna e me la porta ravolta in un poco di velluto nero, legata con fili di seta verde; e basciata che l’ebbe, me la dà: e io la ribascio e la piglio.
- Balia
- Cerimonie per cerimonie.
- Comare
- E pigliatela, gli do licenzia con promettergli darla a lei la mattina seguente. E vado a la chiesa: e la trovo e non le parlo, mostrando una fante seco, la quale non ci soleva venire; e non facendo altro, mi scuso con lui; ed egli: «Sta bene, quello che non si pò, non si può: purché mi aviate a mente, mi basta»; «Come avervi a mente? Io la darò oggi o morrò; lasciate, io voglio andarle a casa. Siate qui a due ore, che vi saperò dir qualcosa». Egli mi ringrazia e proferisce; e dà uno altro ducatetto, e partisi. E io, ivi a un buon pezzo, vado a casa de la vedova: le chieggo, se non lino, stoppa o capecchio da filare (perché, se ti ricordi bene, io ti ho detto che ne le case ricche andava vestita da povera, e da ricca ne le povere). Io ebbi lino e ciò che volsi; e tornando a me l’uomo, gli dico: «Io gnele ho data col più bel modo, con la più nuova astuzia del mondo»; e contatagli una filostroccola né vera né in quel lato, gli faccio credere che doman da sera vado per la risposta. Vien l’altra mattina, e mi conviene essere a convertire una di queste innaspaseta, bella giovanetta e povera al possibile: onde lascio una mia nepotina in casa; e non mi rammento de la lettera (che io non aveva data, né era per dare) lasciata ne la cassetta de la tavola. E mi fu per rovinare cotale smemoraggine: perché la persona che me la diede venne a casa mia, non ci essendo io, e la bambina gli aprì; e andando suso, razzolò per la cassetta, e trovò la sua lettera; e portossela seco, con dire: «Io vo’ vedere ciò che dirà la ruffiana ribalda, in risposta del mio servigio».
- Balia
- Eccoti peste l’ossa.
- Comare
- Adagio. Io ritorno, e perché il core mi diceva «qualcosa ci è», guardo la cassetta e non veggo la lettera; dimando la putta: ella mi dice «Messere tale ci è stato», e io a pensare la scusa. In questo, eccolo a me: e non si guasta punto, anzi vien via con i suoi ghigni a l’ordine e con le sue parolette in sommo. Ma la tua Comare cattiva non ci sta; e fattosigli incontra, comincia a dirgli: «Io so che sapete non lasciar dormire, né far pro’ la cena, a le vostre servitrici: per l’anima mia, che io ho avuta una de le pessime sere, una de le triste notti che si possa avere. È vero che vi dissi di aver data la lettera, io nol nego, e non ho fatto per dirvi bugia: ma non avendo avuto commodità di darla, sendo certa di poterlo fare istasera, dissi meco «questo dirgli di averlo servito potendolo servire a otta, non importa». Così voi avete ritolta la vostra lettera, e son chiara che non mi crederete più la verità: ma datemela, e vedrete non domani, ma l’altro, ciò che io so fare.
- Balia
- Odi tresca.
- Comare
- Egli tutto soave e tutto buono si trae la lettera di seno e ridammela, con dire: «Certamente io era un poco in collera, perché mi pareva esser trattato da goffo, ma io sono uomo ragionevole, e perciò accetto le scuse vostre: e ogni ruggine è andata via, ed emendesi l’errore con la prestezza»; e io a lui: «Io so bene quanto importi a dir quel che non è, a un tal signore; ella è fatta: al rimedio». E con queste traforellerie se ne va: e io a ridere e a dispiegar la lettera. Balia, mai si vidde la più bella cosa, ogni lettera pareva una perla, e non saria donna sì dura e sì villana che le parole scritteci non movessero: oh che bei trovati, che bei modi di pregare, e che belle vie di rintenerire e di fare ardere altrui. Io ebbi uno spasso mirabile nel leggere e rileggere questo madricalino, il quale ci era drento:
Donna, beltà sopra ogni meraviglia
è bella, perché a voi sola simiglia;
ma, per crescerle onore,
scemate il ghiaccio in voi, e in me l’ardore:
e sarete più bella a meraviglia,
quanto più la pietade vi simiglia.
Che alfin biasmo vi sia
s’indarno spera la speranza mia;
e dirassi: «È crudele a meraviglia
crudeltà, perché a voi sola simiglia».
- Balia
- Gentile.
- Comare
- Tosto che io l’ebbi letta a mio modo, la riposi; e feci del velluto, nel quale era ingoluppata, due brevicini da tenere al collo, ridendomi de lo aspettatore de la risposta: che venne come udirai. Nel ritornare io a casa de la vedova, sento che si grida per non so che collana rotta, nel tirare, in quattro pezzi: e perché la più bella facitura non si vidde mai, né in Roma era chi sapesse lavorarne, la madonna faceva uno schiamazzo grande; e io trincata, penso la malizia e dico: «Non vi scandalizzate, perché vi farò, come venite a la messa, favellare a un maestro, il quale potreste avere veduto altre volte, che ve la riconciarà di sorte che sarà più bella dove è spezzata che dove è intera». Ed ella tutta riavuta, mi dice: «Fate che domattina veniate a la chiesa senza fallo»; e doppo lo averle promesso, trotto a casa: e non stette un benedir di tavola a comparir lo amico. E io: «Si vòle esser donna, e aver volontà di servire come ho servito voi: la lettera è piaciuta, e tanto tanto che vi parrà di nuovo: pianti e cose, sospiri non vi dico, e qualche risetto ancora; dieci volte ha letto i versi, lodatigli non si pò dire; e non senza basciarla e ribasciarla, se l’ha riposta fra quelle sue pocce di neve e di rose. E la conclusione è che domattina, partito ognuno di chiesa, vi vuol favellare». Ed egli udendo ciò, volse ringraziarmi ad alta boce; e io: «Piano ai mali passi», «Come ai mali passi?», risponde egli; «Vi dirò» gli dico io, «ella non si fida de la sua fante; e perché non si scopra il vostro segreto, aviamo trovato una bella strada: la gentildonna ha rotta una catena che la stima assai, e vuol fingere di credere che vostra Signoria sia or[a]fo; e perché la fante riportatrice non se ne avvegga, vi mostrarà la catena, e diravvi quanto costarà ad acconciarla e quando l’arà: e voi, non uscendo di proposito, fate sì che ella rimanga sodisfatta».
- Balia
- Che diavolo d’intrigo.
- Comare
- La berta venne in campo, e si aboccarono a sieme: e saresti crepata de le risa se mentre l’uccellaccio maneggiava la collana, se avesse visto come la boce e le mani gli tremavano; e sforzandosi di cicalare per parabole, non si lasciava intendere, né manco intendeva la vedova. A la fine si partì col promettere di mandarla a vedere un lavoro simile a quello de la catena rotta. E lasciossi menar per il naso tre mesi dal mio «oggi» e «domani sarete a le strette»: e tanto gli parlai di lui mai, quanto ne parlasti tu. Al tratto dirieto, si chiarì; e per vergogna del suo aversi lasciato aggirare, non ne fece più motto. E sopra tutte l’altre burle si arrossava d’una bella mattinata fatta a la vedova, ne la quale accozzò i primi musici d’Italia; e con gli stormenti e senza, cantò molte cosette nuove.
- Balia
- Se te ne ricordi, dimmele.
- Comare
- Così mi ricordassi io di avere a morire, e degli orazioni i quali mia madre mi insegnò da piccina. Egli cantò suso il liuto:
Alma mia fiamma e donna,
s’io veggio ogni mio ben nel vostro viso,
io dico che ivi solo è il paradiso;
e s’egli è pure altrove
debbe esser uno essempio da voi tolto,
ed è bel perché vien dal vostro volto.
- Balia
- Soave e corto.
- (Comare)
- Cantarono al libro, con un monte di gente intorno:
Poi che il mondo non crede
che in me, d’amor mercede, ogni mal sia,
e ogni ben ne la nimica mia,
o empio re de le perdute genti,
e tu dio degli dèi,
questa grazia vorrei:
ch’un togliesse a le fiamme, ai mostri e al gelo
la più tormentata alma;
e l’altro, la più alma
agli angeli del Cielo;
e la mal nata stesse una ora meco,
e la beata seco.
Son certo che la rea a ognun direbbe,
fuggendo i miei lamenti:
«Io ho del fallir mio minor tormenti».
E la buona contenta non vorebbe,
presa dal volto adorno
lassù far più ritorno.
Perché in me è un più crudele inferno,
e un paradiso in lei più sempiterno.
- Balia
- Questo è bello bestialmente, e dicano di gran poltronerie cotesti tuoi poeti cicale, e ferneticano continuamente.
- Comare
- Ai dipintori e a loro sta bene ogni bugia: ed è un modo di favellare facendo grandi le donne che amano e la passione che sopportano amando.
- Balia
- Una fune, e legare insieme dipintori, scultori e poeti: perché son pazzi.
- Comare
- I dipintori e gli scultori, salvo la grazia di Baccino, son matti volontari: e che sia il vero, tolgano il naturale a lor medesimi per darlo a le tavole e ai marmi.
- Balia
- Leghiamogli adunque.
- Comare
- Lasciamo il biscantare
- Occhi, per voi, per voi morir sopporto:
- voi, voi mi avete morto...
- Balia
- Fà tu.
- Comare
- ...e quel che dice ne la fine, a non so che occhi:
- Faccia il sole fra noi
- chiara la notte come fate voi.
Io ti vo’ contare de le menutezze, perché non ci è dubbio alcuno che la ruffiana non voglia essere a le volte simile al ragnatelo: e s’avviene che i disegni le sieno guasti, rifacciagli come egli rifà le tele che se gli rompano; e sì come il ragno sta tutto un dì paziente per tarpare una mosca, così la ruffiana dee stare queta e fissa per carpire altrui; e veduto il bello, lanciasi al suo utile nel modo che il ragno si scaglia a lo animaletto dato ne le sue reti; e se bene la caccia è pochina, non importa: purché si becchi un boccone, basta. E quando la ruffiana s’imbatte ad alloggiare a discrezione, mercé de la menchionaria di qualcuno, sugga il sangue de le borse, come sugge il ragnatelo quel dei mosconi presi da lui. Il ragno vegghia, e la ruffiana è desta; il ragno, ad ogni pelo che dà ne le maglie, corre; e la ruffiana senza indugio apre a chi le tocca pur la porta: sempre buscando, come anche sempre busca il ragno.
- Balia
- Io non credo che la natura, che fa le cose da le quali togli le simiglianze, sapesse come te trovare le similitudini.
- Comare
- O pensa se io ci pensassi.
- Balia
- Se tu ci pensassi, faresti stupire il Cielo.
- Comare
- Qualcosa farei io, benché non mi curo di nome e non son di quelle vanagloriose spasseggia-largo e gonfia-fama; io mi sto nei miei panni, e mi contento di quel che io sono. Ma lasciamo il mormorare d’altri; io, Balia mia, ho navicato secondo i tempi, non perdendo mai ora: e sempre ho guadagnato, poco o assai. Talvolta, doppo desinare, me ne andava per Banchi, per Borgo e fino in San Pietro; e squadrava i forestieri menchioni, i quali si conoscano altrimenti che non si conoscano i melloni; e squadrato che io ne aveva uno, me gli accostava balorda balorda, e salutatolo gli diceva: «Di che paese sète voi, omo da bene?». Poi gli entrava nel quanto era che si trovava in Roma, e se cercava padrone, e cotali chiacchiarine: e mi domesticava seco al primo. E fatta l’amicizia, stupiva insieme con lui de la gente che tuttavia passa per ponte Santo Agnolo. A la fine gli diceva: «Di grazia, venite meco fin dove io alloggio: perché ho a far conto con la padrona, e non conosco questi baiocchi, questi mezzi giuli e questi interi, né quanto si vaglia un ducato di camera, né altro». Lo scempione, con un «bene e volentieri», senza star punto a l’erta, trottava meco. E così io lo conduceva in una cameretta dove era una puttana frola; e nel giugnere diceva: «Chiamate vostra madre»; ed ella che sapeva il gergo, mi rispondeva: «La vi spetta in casa di sua zia e dice che andate là per ogni modo: perché non so chi, vi vuol parlare; e poi tornarete a far conto».
- Balia
- Che pratica, che trama, che andamento: ma non mi cape ancora.
- Comare
- «Sta bene», diceva io; e voltatami al cornacchione, dico: «Or ora sarò a voi, fate colazione intanto»; ed egli, vedendo la poledra domata per lo in giù e per lo in su: «Andate pure, che son per aspettarvi uno anno, non che un poco poco». A che fare perdere il giorno in diceria? Il poveruomo non stando forte a le carezze che gli fece la cialtrona, ci diede drento; e credendosene andare senza pagar lo scotto, ella gli leva il rimor drieto: e gli tolse la cappa, e lo spinse fuora di casa con villanie crudeli.
- Balia
- Ah! eh! oh!
- Comare
- Ogni dì ci coglieva gente, e chi non aveva un quattrino ci lasciava dei panni di dosso: e potevano spettare che io ritornassi!
- Balia
- Chi non sa notare ed entra nel cupo senza notaiuolo di giunco e senza zucca, affoga tosto: questo dico per chi si mette nel voler ruffianare senza maestra.
- Comare
- Tu la intendi.
- Balia
- S’io non la intendo, mi pare intenderla.
- Comare
- Attendi ben bene a questa.
- Balia
- Io non fo motto.
- Comare
- Non so in che modo il diavolo fece rompere il collo a la moglie d’uno uomo di conto, la quale era famosa per le sue bellezze: e se ne andò, né mai si seppe con chi. E mentre non si favellava d’altro che del suo esser fuggita, io chiamo un favorito d’un gran maestro, e gli faccio giurare su la pietra sacrata di tener secreto quel che io gli dirò; ed egli giura e rigiura di non favellarne pure a se stesso. Intanto io gli dico, dandomi la mano per questa fede, che la moglie de l’amico è in camera mia, ma serrata al buio; e saria gran cosa, che facesse scoprirmela a veruna persona. Come egli intende che io l’ho al mio comando, corre al leccarmi con le carezzine, e dammi de la madre, de la madonna, de la sirocchia e de la padrona; e io: «Non vorrei che si sapesse, perché, oltra che la poverina ne andria a pericolo di essere uccisa, io ne scavezzarei il collo, la spalla e la coscia, saria scopata, bollata e forse arsa».
- Balia
- A qualche fante darà la stretta costui: mi par così vederla.
- Comare
- E a chi credi tu che l’avesse a dare?
- Balia
- Non te l’ho io detto?
- Comare
- Balia, doppo molte cerimonie, no senza la bene andata, lo condussi a l’oscuro con la fante che indivinasti: la qual pagò e chiavò da uomo; e ringraziatomi se ne andò a trovare uno imbasciadore; e poi che ebbe tolta la sua fede, gli narrò la trama: e fu forza che, travestito venisse a infantescarsi. E la toccò e ritoccò più di dieci volte; e non pur egli, ma un centinaio di cavalieri e di uffiziali e di cortigiani gnele accoccarono: di modo che ne guadagnai quasi tutto quello che io ho.
- Balia
- Dimmi, scoprissi la ribaldaria?
- Comare
- Scoprissi.
- Balia
- Come?
- Comare
- Mentre una mattina per tempo si aveva tirato sopra uno schiericato, sendo il freddo grande, una tegghia di carboni, che io aveva posta in camera, levarono da loro stessi un poco di fiamma, per la qual cosa il monsignore la vidde in viso, e conoscendo non esser quella, mi volle manicare: e mi disse una villania de le buone, e due e tre volte mi spinse le dita negli occhi per cavarmigli; né si poté tenere di non darmi un rifrustetto di pugna: e se non che la lingua mi diè socorso, io era spacciata. E poco mancò, ne lo spargersi de la berta che io faceva ad altrui, che il marito di colei che se ne era fuggita, parendogli infatti che gli fosse maggior vergogna la seconda che la prima, non mi tritasse a pezzi e a minuzzoli. Pur, chi scampa da una scampa da cento: e perciò la soia si convertì in risa.
- Balia
- Mi piace.
- Comare
- Quante puttane e quanti uomini ho io traditi, assassinati e scornati ai miei dì!
- Balia
- L’anima scontarà le poste.
- Comare
- Pazienzia: non si pò esser santa e ruffiana insieme, e caso che ella paghi i debiti del corpo ne l’altro mondo potrà pur dire «Chi gode una volta non istenta sempre»; e poi ci è tempo a pentirsi.
- Balia
- Egli è vero.
- Comare
- Io ho fatto dormire venti pollaiuoli, trenta acquaiuoli e cinquanta mugnai con le prime cortigiane che ci sieno, dandogli a credere che fossero signori e cavalieri che vi adunate (dice lo Innamoramento): vero è che hanno dato del buono. Volgendo poi carta, ho fatto trassinare di gran baldracche a molti gran personaggi, repezzando le bruttezze loro con i drappi accattati a vettura: e non mi terrei mai di non raccontartene una che io ne feci per utile de la signora e mio. Guarda, fratellina, benché io faccia accorta la cortigiana che io ti dico, fìccati pur nel cervello che ogni suo accorgimento sia condito col mio olio e col mio sale.
- Balia
- Non è lecito a credere per altro verso.
- Comare
- Venne qui un mercatante forestiere, anzi ci stava per sue faccende otto mesi de l’anno: e come volse Amore, s’innamorò d’una de le prime, la quale si stava molto più bene che non saprei dirti. Ed essendone cotto come si dee, non avendo altro mezzo, capitò ne le mie mani: e dicendomi il suo affanno, gli rispondo con quel «vedrò» e con quel «non so», «potria essere», «forse», «ma», che si mescola con il dubbio che si ha ne lo ottenere de le cose. Pur vado, favello, ritorno, do speranza, la ritolgo, e simili baie; ed egli mi dà lettere, mi dà sonetti appresso: e io il tutto porto a la sua donna.
- Balia
- Sempre i sonetti o le lettere sono i primi a visitarci: e perché non i denari? Altro che carte e versi bisogna, a chi non se lo vuol menare a l’odore di costei e di colei.
- Comare
- Tu parli di costrutto: nientedimeno le gentilezze son gentilezze; ed erano già molto usate le canzoni, e quella che non ne avesse saputo una frotta de le più belle e de le più nuove, se ne saria vergognata; e cotal piacere tanto era ne le puttane come ne le ruffiane: e la Nanna qui non mi lasciarà dir bugia, perché so il pro’ che ella ne cavò, e con che spasso intertenne un tempo altrui con quella che dice:
Io ho, donne, una cosa
che, quando Amore un solo fa di doi,
l’avete ancora voi.
L’è bianca e il capo ha d’ostro,
i capei come inchiostro,
drizzasi s’un la tocca,
e sempre ha il latte in bocca;
cresce e scema sovente,
non ha orecchie e sente:
dunque, per vostra fé,
ditemi ciò che ella è.
- Balia
- So ben: tu vuoi dire quella da la coda.
- Comare
- Da la coda, madonna sì. Ma il mondo, più invecchia, più s’intristisce; e le virtù de le cortigiane sono trafigurate in saperci essere, e quella n’è piena che ha più arte e più sorte: come la Pippa dee avere inteso da sua madre. Ma diciamo del mercatante, al quale doppo un mezzo mese di pratica gli dico: «La signora è contenta di contentarvi: e non crediate che ciò faccia per i vostri denari, che denari non le mancano; ma la vostra grazia, la vostra bona presenzia l’ha mal condotta». E così, fattogli credere che ella verrà in casa mia e che per buon rispetti non lo lascia condursi ne la sua, la faccio comparire: e si aviticchiano insieme. E l’ebbe alcune volta furon furoni, e le fece de bei presenti, credendosi perciò che ella per star mal di lui venisse ne la mia casetta, e anche perché un grande uomo che la teneva non se ne accorgesse (mi era uscito di mente). Il mercatante tanto pregò, tanto giurò e tanto donò, che la sforzò e costrinse a dormire due notti nel mio letticciuolo; onde ella, avezza ne le piume, nei matarazzi, nei lenzuoli di rensa con la coperta di seta e fra le cortine di velluto, nel voltarsi a lui con abbracciarlo disse: «L’amore che io vi porto mi fa dormire dove non dormirebbe la più trista fante che io avessi mai; ma gli spini, gli spini mi diventano morbidi, essendoci voi»; e dandogli un basciuzzo, segue: «Doman da notte delibero che veniate nel mio; e che più, se me ne riuscissi male?».
- Balia
- La polvere lavora drento, e scoppiarà lo scoppio.
- Comare
- Udita la promessa, il corre-corre le manda da cena: fasciani e cose. E nel primo tocco de l’una ora, l’entra in casa; e messo il piè drento, al lume d’un torchio bianco monta la scala: e giunto in sala, la vede parata, la vede larga; condotto in camera, stupito dei suoi paramenti, dice fra se stesso: «E con che le pagarò i disagi sofferti per me mentre ha dormito nel letto che ella ha dormito?». Per abbreviarla, cenarono e andàrsene a riposare; e poco poi de lo spegner de la candela, anzi appunto nel chiudere gli occhi al primo sonno, ecco sfracassare ogni cosa da un mattone avventato; onde ella si ristrigne a lui con dire «Oimè». Intanto la coperta del letto è levata via e quasi rimasero scoperti: e nel tirarsela a dosso scoppiano molte risa. Il mercatante tutto sospeso le dice: «Sarebber mai spiriti?».
- Balia
- Io mel pensava.
- Comare
- «Messer sì, signor mio» rispose ella, «e oltra un che mi ha fatta quel che io sono il quale non pò patire che le mosche mi guardino, e perciò robbo la commodità che io do ai vostri compiacimenti, lo spirito d’un mio amoroso poverello impiccatosi per amor mio mi perseguita: e sempre sempre, quando io dormo con qualcuno, mi fa de le tresche che tu odi; dormendo sola, si quieta». In questo una fanticella sua, che si aguattava sotto il letto, ritorna a scoprirgli e a ridere.
- Balia
- O Iddio, le son pur belle truffe.
- Comare
- Ne l’udire parlar lei e nel sentire gli scherzi de la fante, il mercatante spiritava: e se non che ella gli faceva animo, era forza di menarlo a la colonna. E levatosi la mattina, fece segnare e benedire la camera, la sala, la cocina, la cella dal vino, dove si tengano le legne, il tetto, e per tutto; e trovato un prete dei manco tristi che poté, disse col dargli un ducato: «Dite le messe di san Gregorio per l’anima de lo spirito che sta in casa de la signora tale».
- Balia
- Ah! ah!
- Comare
- La bestiaccia, la quale faceva del sacente e del pratico, si lasciò ficcare in mente che lo spirito non aveva fatto mai le pazzie che fece dormendo egli con lei: e questo avveniva perché mai ella amò con il core che amava lui.
- Balia
- Caprone.
- Comare
- Il bello è che il balordo, contando la trama de lo spirito, sendo ripreso del dar fede a così fatti cianciumi, voleva combattere con tutti coloro che non credevano.
- Balia
- Mercatante di bucce d’anguille.
- Comare
- Egli era ricco, il pappa-lasagne.
- Balia
- Tanto peggio.
- Comare
- Si mi ricordo bene, io promessi dirti in che modo le puttane ci rendono l’onore che ci hanno usurpato.
- Balia
- Tu mi hai detto non so che di man ritta.
- Comare
- Quando le puttane, le quali ci disprezzano circa l’onorarci, hanno bisogno di noi che, se scoppiassino, non ponno far senza, ci vengano incontra, ci menano in camera, e ponendoci di sopra ci danno del voi, ci si raccomandano, ci promettano, ci donano e ci basciano; e la minor parola che ci dicano, «Voi sète la mia speranza» e «La nostra vita è in man vostra» e noi sempliciacce ce gli gittiamo drieto. Ma è forza di mutar natura, e di non andarsene così a la buona: e quando spasimano di martello, di morbo e di necessità, lasciarle spasimare e non dargli il rimedio ad ogni cosa; e se pur gliene diamo, far che gli costi o vero che ci rendino il grado. E non conosco uomo, parlo di signori e di principi, che non lasci il favellare de lo Stato, non che il mangiare, tosto che gli è fatto sapere de la ruffiana: e si riserrano con noi, e a la domestica ci trattano, e sempre a man ritta.
- Balia
- Non ti darei nulla de le tue man ritte.
- Comare
- Tu sei pazza per ciò: io ho veduto fare a le pugna insieme per il luogo de la predica dal rettore de lo Studio; e quando il papa cavalca in pontificale, ogni persona di dignità combatte il suo lato; i camerieri son da più che gli scudieri, gli scudieri degli staffieri, e gli staffieri dei famigli di stalla, e i famigli di stalla dei guattari; e che fatica si dura a diventare messere di sere, e di messere signore. Tutte le cose denno andar per l’ordine; ci son le gentildonne, le cittadine e le popolane: ed essendoci nel caminar insieme o nel sedere, la gentildonna si porrà in mezzo, la cittadina a la man ritta e la popolana a la man mancina. Sì che la ruffiana ha ragione; e se non che il litigare è uno smagra-litigatori e uno ingrassa-avvocati o procuratori che si chiamino, io litigarei questo passo con qual puttana si voglia: ma le ladroncellarie loro mi fanno star così così.
- Balia
- Litigare, ah? È meglio avere a dare che ad avere.
- Comare
- De la coscienzia ruffianesca non ti ho favellato: non, che io non te ne ho favellato.
- Balia
- No.
- Comare
- Ipocresie e coscienzie sono orpellamenti de le nostre cattività. Eccomi passare da una chiesa: ed ecco che io entro, e intingo la polpa del dito ne l’acqua santa, e me ne faccio una croce in fronte; e dico un pater e una ave, e vado via. Veggo una figura dipinta per la strada, e dommi d’un «renditi in colpa» ne la bocca e seguo il mio viaggio: saluto i sacerdoti facendo due parti d’un moccolo, e dollo per limosina, e due morsi di pane, un danaio e una cipolletta ancora. Sempre porto la sacchetta sotto il braccio, e quando ci ho .XX. fichi secchi, quando dieci noci mezze forate, quando una cocitura di fava infranta, quando una scodella di cicerchie, e quando tre capi d’aglio, alcuni fusi, alcuni tozzi e alcune scarpacce; sempre tengo in mano de le candeluzze, degli agnusdei; qualche volta mentre camino, volgo una carta de la confessione, mando giuso de la corona; se cade un poverino, lo aiuto ad arizzarlo; insegno le feste a chi me ne dimanda; do in iscritto il conoscere il dì di San Pavolo converso, cioè:
S’è sole o solicello,
noi siamo a mezzo il verno;
se fulmina o se piove,
del verno siamo fore;
s’è nebbia o nebbiarella,
carestia o coticella.
Io non me ne rammento più, tanto è che non la dissi. Che bel vedermi la stomana santa darla per tutto con la sportella piena di cose; e senza mai sputar in sacrato, udire il passio con la mia candela accesa e la palma de lo olivo; al basciar de la croce, i pianti celati mi rigavano le gote soavi soavi; il sabito santo stava a tutto l’uffizio; a la predica de la Passione onorava il frate con i gridi che io, spigolistra e picchia-petto, cacciava. E acquistai un gran credito per una berta che io feci.
- Balia
- Come berta?
- Comare
- Io mi imbatto un giorno a passare da una strada ne la quale si stavano forse da dodici donne filando il fiore de la bambagia; e salutatele e riveritele, mi fecero seder giuso; e cominciando a entrarmi nei miei fatti, gli cacciai le più belle carote del mondo: io gli dissi d’un mio compare che, per avermi promesso prima che morisse, mi era venuto a trovare e non mi aveva fatto paura; gli feci credere che una strega mi aveva menata non solo a la noce, ma, senza bagnar mai i piedi, sotto i fiumi e sopra il mare; gli contai in che modo si possano intendere le favelle de le bestie di Beffania, e quante vertù hanno le vie in croce; e dato a tutte co[n]sigli, ammaestramenti e rimedi fin per il riscaldato, nel levarmi su per andarmene lascio cadere una pezza ne la quale era inguluppata la disciplina: e tosto che fu veduta, la brigata mi tenne una magnificatte, non pure una santificetur e un alleluia.
- Balia
- Il mondo è dei gabba-dèi.
- Comare
- È e sarà. Sappia pur fingere la santità chi vuol còrcigli tutti, vadisi a messe, vadisi a vespri e vadisi a compiete, e stiasi le belle ore inginocchioni: che, se ben non si crede altro, sei padron de le lodi e de le glorie. Quante donne conosco io vestite di bigio, digiunatrici lemosiniere, che se lo tolgano dove gli è messo; e quanti graffia-indulgenzie ho io veduti imbriacare, sodomitare e puttaneggiare: e per sapere torcere il collo e far di boto di non mangiar storione né carne che passi tre soldi la libbra, governano e Roma e Romagna. E perciò una ruffiana catolica è una corgnuola apprezzata da ognuno.
- Balia
- Chi non ti crede è eretico.
- Comare
- Al tenere scola mo’.
- Balia
- A che fare scola?
- Comare
- Per far più cose: per passar tempo, per esser tenuta d’assai, e per beccar qualche avanzetto. Io ti poteva mostrar già, ora no, quindici o sedici bambine sotto il mio comando, insegnandogli a contare il pane che vien dal forno, a piegare i panni de la bocata sciutta, a fare inchini, a portar le cose in tavola e a benedirla, a rispondere a madonna e a messere, a segnarsi, a inginocchiarsi, a tenere lo ago in mano, e così fatte vertuette da fanciulline.
- Balia
- Che donna.
- Comare
- Acconciava garzoni, dava ricapito a omini fatti. Ma dove lascio le fanti? Sempre ne teneva cinque o sei in conserva: e poi che io ne aveva tratto il sugo con il farle provare a questo e a quello, a chi le dava per figliuole d’anima, a chi per vergini e a chi per la sacentaria: e nel partirsi di casa mia, gli dava ricordi e gli faceva ammonizioni che una madre non poteva migliorare; e sopra tutto le confortava a serrar gli occhi agli andamenti de le padrone: «Siate secrete» gli diceva io in segreto, «perché se sarete, elleno vi diventaranno fanti e voi gli diventarete padrone: il lor letto sarà comune, le lor camisce il lor pane, il lor vino, beendo sempre di quel dolce che smaglia».
- Balia
- Tu gli ricordavi la pura verità.
- Comare
- Io salto, con il cervello che vola, a un fratacchione grasso, paffuto, con una chierica tonda, vestito del più fino panno che si possa trovare: egli cercò di farmisi amica, e me si fece e facendomisi, mi presentava di alcuni cordonucci molto artifiziosi, d’insalatucce, di qualche susina e, che so io, di alcune altre fantasticarie fratine; e come mi vedeva in chiesa, lasciava ognun per venire a me. E io, che ben mi accorgeva da qual piede zoppicava il mio mulo, sto sempre ne la contrizione, nel far del bene per l’anima con tutti i mali del corpo. Al tratto de le fini egli mi si scopre: e mi fa consapevole del suo innamoramento, e mi vòl mandare a fare una imbasciata la quale averebbe messo pensieri agli imbasciadori, che non portano pena di quanto gli è commesso che dichino.
- Balia
- Anco ai frati piace il menare de le calcole?
- Comare
- A loro sa egli buono, e che sapor che gli danno.
- Balia
- Fuoco di san Bano, il qual si spegne coi sassi.
- Comare
- Io, che non posso mancare a la paterna Paternità del padre, ne lo aprirmi del suo core dico: «Non dubitate che farò più assai; domattina sono a voi»; e con questo il lascio. E vado pensando, lasciato che io l’ebbi, in che modo io ho a cavargli de l’anima cento ducati, dei quali mi faceva pala spesso spesso non per altro che per farmi volare per contentarlo: e non lo andai molto pescando, che io lo trovai.
- Balia
- Possi dire come il pescasti?
- Comare
- Ben sai.
- Balia
- Or dillo.
- Comare
- Ecco che io imbrocco la fantasia a una poltrona che, circa le fattezze e le membra grosse e grasse, si assimigliava, cioè al buio, a la matrona che sua Reverenzia cercava; ma ne l’altre cose, il demonio non l’arebbe fiutata. Ella aveva saziati i famigli degli Spagnuoli e dei Todeschi, i quali fecero il bello scherzo a Roma; aveva sfamati quelli de lo assedio di Fiorenza, e quanti ne furono mai drento e fuora di Milano: or pensa, se al tempo de la guerra si portò sì bene, che prove fece al tempo de la pace, e per le stalle, e per le cucine, e per le birrarie. Ma le sue bellezze ricoprivano i difetti de la sua verginità: ella aveva due occhi che, a la barba de la canzona la qual dice «duo vivi soli», si poteva dirgli «due morte lune».
- Balia
- Perché? Erano cispi?
- Comare
- Messer sì, madonna. Oltra questo, un gozzo assai orrevole le faceva postema ne la gola: e si disse che Cupido il teneva pieno de la ruggine dei dardi che faceva brunire da non so che suo patrigno fabbro; le sue poppe parevano litighe ne le quali Amore manda gli amanti che si ammalano in suo servigio a lo spedale.
- Balia
- Non me ne contar più.
- Comare
- Son contenta. Ti contarò bene che il frate vestito da capo di squadra venne a casa mia a l’ora che io gli dissi; e perché ne doveva spettare anco tre, se misse a leggere un libretto tenuto da me per passar tempo; e ne lo aprire legge forte un cotale che dice:
Madonna, per ver dire,
s’io vel facessi, che io possa morire:
perché so che sapete
che ne la vulva vostra
sovente Amor con le piattole giostra;
poi sì grande ano avete
che v’entrarebbe tutta l’età nostra.
E tu, Amor, senza giurar mel credi,
che egualmente le puzza il fiato e i piedi.
Adunque, per ver dire,
s’io vel facesse, che possa morire.
Letto che l’ebbe, dàlla nel ridere a scoppia-core; e credendo che io ridessi per il suo rider raddoppiava lo «ah! ah!», né si accorgendo che la Comare smascellava perché la robba che egli doveva toccare era simile a quella de la canzona,...
- Balia
- O bene.
- Comare
- ...il frate volge carta e legge cantando:
Madonna, io ’l vo’ pur dir che ognun m’intenda,
io vi amo perché io ho poca faccenda:
ma se io comperassi
un quattrin l’uno i passi,
a non dirvi bugia,
men d’una volta il mese vi vedria.
O voi potresti dire
che io ho detto che il foco
mi ancide, mercé vostra, a poco a poco:
egli è ver che io l’ho detto, ma per fola,
e mento mille volte per la gola.
E andò seguitando il resto, che le cure di maggiore importanza mi hanno tolto de la mente.
- Balia
- Oh che bella fine che debbe avere.
- Comare
- L’ha per certo. Ne lesse poi un terribile, fatto in laude di una signora Angela Zaffetta, il quale ancora vado cinguettando quando non ho che fare, o vero nel darmi noia i miei guai.
- Balia
- Che, i guai si discacciano con il cantare?
- Comare
- Io ti dirò, Balia: colui che a mezzanotte passa per un cimitero, canta per fare animo a la sua paura; e colei che similmente canta pensando ai suoi affanni, il fa per dare core al suo fastidio.
- Balia
- Mai più, mai più sarà una altra Comare: abbai chi vòle, e per invidia e per ciò che gli pare, che ella è così.
- Comare
- Ora eccoti quel che lesse il frate:
L’esser prive del Cielo
non sono oggi i tormenti
de le mal nate genti:
sapete voi che doglia
l’alme dannate serra?
il non poter mirar l’Angela in terra.
Sol la invidia e la voglia
ch’elle han del nostro bene,
e ’l non aver mai di vederlo spene,
le afflige a tutte l’ore
ne l’eterno dolore:
ma se concesso a lor fosse il suo viso,
fòra lo inferno un nuovo paradiso.
- Balia
- Oh bello, oh buono, oh galante! E se ne pò ben tenere bona colei per la quale fu fatto, se ben le lodi non empieno il corpo.
- Comare
- Lo empieno e non lo empieno. Il frate lo rilesse tre volte, e poi cominciò quello che dice:
Io mor, madonna, e taccio:
dimandatene Amore,
che tanto è foco in me, quanto in voi ghiaccio.
Egli non lo fornì, perché lo avanzo era stracciato, e vedendone uno altro bene scritto, lo volse leggere, né gli potei ritòrre il libro di mano. Io tel vorrei dire e non vorrei dirtelo...
- Balia
- Dillo a mio conto.
- Comare
S’è possibile, Amore,
compartisci nel cor d’altre persone
questa mia passione.
Gli spirti, l’alma e i sensi
per il duol che dispensi
hanno martire in questa carne immensi:
e perch’è pena atroce
su l’amorosa croce,
tue grazie aspetto ne l’estrema voce.
Ma non guardar, signore,
a le mie pene tante:
ch’io vo’ morire amante;
e benché nel dolore
il corpo tenti la salute sua,
sia la volontà tua.
- Balia
- Egli è in canto, e arìa de l’amor divino: così dice il maestro, che quando era discepolo lo fece con quelli che hai detti e dirai.
- Comare
- Il Flagello dei principi gli fece nel fiorire de la sua gioventudine. Or il frate, sentito picchiar la porta, gitta via il libro e corre in camera; e io apro a la poltrona: e presela per mano, la meno a lui senza lasciarla ricòr fiato. E tirato l’uscio de la camera a me, sto così un poco, e odo un ticche tocche ticche: il più bestiale che picchiasse mai porta di ruffiana e di puttana doppo gli assassinamenti fatti.
- Balia
- Chi bussava così forte?
- Comare
- Certi mei sbricchetti.
- Balia
- O perché?
- Comare
- Per mia commissione.
- Balia
- Non la ricolgo.
- Comare
- Io feci accompagnare la paltrocca da forse tredeci miei masnadieri, e ordinai che stessero alquanto e poi picchiassero con furore.
- Balia
- Perché cotesto?
- Comare
- Perché, ne lo udir battere, accenno il frate e dico: «Ascondetevi sotto il letto; presto, piano, oimè, vituperati siamo: il bargello con tutta la famiglia drieto vuol venire a pigliarvi; non vi dissi io che non ne parlassi nel convento? non so io i costumi frateschi, non so io la invidia che vi manuca, non la so io?». Il frate cade morto, e la volontà de l’uomo gli cascò nel catino de le brache; e non sapendo che si fare, credendosi entrar sotto il letto, messe il ginocchio in su la finestra: e se non che io lo tenni, balzava giuso.
- Balia
- Ah! ah!
- Comare
- Un ladro colto in furto, pareva il reverendo: e pur la porta si percuote, e con gridi rabbiosi me si minaccia e dice: «Apri, apri, maliarda, o ce lo mena giù». Io tremo, e con un viso di frittella amara dico: «Racquetiamolo coi denari»; «Oh bastassi pure», risponde il porcaccio; «Proviamo», gli dico io. Egli, che arebbe pagato tutta la micca la quale gli veniva in provenda tutto il tempo de la vita sua, mi dà .XX. ducati; e io mi faccio a la finestra, e dico sotto boce: «Signor capitano, signore mio, misericordia e non giustizia: noi siamo tutti di carne e d’ossa, e perciò la sua Paternità non si vituperi né col senatore né col generale...
- Balia
- Io per me son fuor di me, udendo quel che io odo.
- Comare
- ...godetivi questi», e gittandogli un paio di ducati da sguazzare, rimpongo gli altri e ringrazio il bargello da beffe; il qual mi dice: «Le vostre bontà, le vostre piacevolezze, le vostre vertù, Comare, gli hanno levato la mitera di capo»; e così, tutta riavuta, scovo e faccio sbucar il poveruomo di dove lo feci appiattare; e gli dico: «Voi ne avete scampata una che, quando ci penso, ella è andata bene: denari a sua posta non ve ne mancaranno». Balia, egli voleva far buono animo e ritornare a salir la cavalla, ma non gliene arìen fatto arizzare i puntelli: e se ne andò via senza far peccato. E io con cinque giuli contentai la scanfarda; e il trippa-da-vermini non mi fece mai più motto d’amorose né d’altro.
- Balia
- Con il malanno.
- Comare
- Un geloso dei più ostinati e dei più maladetti che si vedesse mai, egli la notte stangava la camera, la finestra del letto e quelle di sala e di cucina; né si saria colcato prima che non avesse dato l’occhio e doppo e sotto il letto e le casse: e fino al necessario guardava. Stava in sospetto dei parenti e degli amici, e non voleva che anche sua madre favellasse a una innamorata la quale teneva a posta sua; e a qualunche si passasse onde stava, lo metteva in su le furie: «E chi è quello?», «E chi è quella?». Uscendo di casa, la chiavava e rinchiavava, ponendogli il suggello suo per vedere s’alcuno lo ingannava; né poveretto né poveretta gli picchiava la porta, perché tosto gli diceva «Via ruffiani», «Via ruffiane». Io che sapeva, come ti ho detto, incantare e medicare e risuscitare con le parole ognuno, spio se il geloso ha verun difetto: e trovo che spesso spesso un dente l’ammazza; onde ci faccio disegno, e dico a uno che stava male de la incarcerata: «Non vi disperate».
- Balia
- Tu rincori me, solamente ad accennarmi, nel modo che rincorasti lui.
- Comare
- Fatto animo a lo avilito, mando un mio ghiottone sconosciuto dinanzi a la porta del geloso, cioè dove teneva rinchiusa la giovane; e nel passare de la gente, ordino che vada in angoscia, e che, tornato in sé, gridi: «Io arrabbio, io moio per i denti». E così fece; e mentre gridava e arrabbiava, lasciatosi cader là, ragunò più di .XXX. persone pietose del suo duolo: talché la madonna, se bene aveva comandamento di non farsi a finestra né a uscio, comparse al balcone tirataci dal rimore. In questo mezzo io passo oltra, e vedendo il caduto in terra, dimando de la cagione; e inteso come la doglia dei denti lo crocifiggeva, dico: «Fatemi largo; non dubitare, che io vo’ guarirti; apri la bocca»; e il ribaldo l’apre e toccasi il dente guasto; e io, postoci sopra un filo di paglia in croce, mastico una orazione: e fattogli dir tre volte «credo», sbandisco il suo dolore. E stupito ognuno al miracolo, mi parto con una torma di fanciulli drieto, la simplicità dei quali raccontavano a tutti la cosa del dente.
- Balia
- Perché non ci è uno che scriva queste cose e poi le stampi?
- Comare
- Mentre io mi tornava a casa, il geloso appare; e visto non so che brigatelle favellare insieme presso al suo uscio, dubitò che non si fosse fatta qualche mischia, ma inteso la trama, corse a la donna la qual teneva sotto le chiavi e le dice: «Hai tu veduto guarire il dente?», «Che dente?» risponde ella, «Io da che vi entrai ne le mani, non ho mai posto mente a l’aria, non che a le persone che abbaiano ne la via: e veduto voi, ho visto ogni bene». Il sospettoso, contatole il tutto, mi viene a trovare e mostrami la magagna che gli apuzzava la bocca; e io la veggo, e vedutala dico: «Io non vorrei far torto a la avvocata dei denti, e me ne faccio coscienzia; pure son per cavarvi il fastidio di bocca. Ma dove state voi?»; ed egli più me lo dava ad intendere, più traeva di lungi. A la fine mi mena seco, e fammi toccare la mano a colei che io doveva convertire per amore di... e cetera.
- Balia
- Tu ti domesticasti in casa sua per via di cotal tua malizia, non me ne dire altro.
- Comare
- Odi questa, e non più.
- Balia
- Dì.
- Comare
- Io ebbi tempo e arcitempo a ficcar in core a la madonna la morte che era lo star serrata e a petizione d’un fastidioso; e perché ella non usciva de il ragionevole, non mi tenne troppo a bada col pensarci suso: e non solamente consentì a un bel giovane, ma scampò via con seco. E non vo’ dirti questo io, ma una burla.
- Balia
- Sono contenta d’ascoltarla.
- Comare
- Il geloso poltrone non ebbe la doglia che soleva avere in forse un venti dì che io gli praticai per casa; e perché egli aveva paura di non me si perdere, con doni, con promessioni e con cicalamenti mi cavò la orazione che guariva i denti del segreto: cioè si credette di cavarla. Ma io, che non aveva orazione né leggenda, apposto l’ora che quella che egli teneva fuggì; e trovatolo in una chiesa, nel vederlo favellare con un suo amico, me gli accosto e gli do suggellato come lettera:
La mia donna è divina,
perché piscia acqua lanfa e caca schietto
belgiuì, muschio, ambracane e zibetto;
e s’ella a caso pettina i bei crini,
giù a migliaia piovano i rubini.
Stilla da la sua bocca tuttavia
nettare, corso, ambrosia e malvagìa;
e in quella parte u’ son dolci i bocconi,
stanno smeraldi invece di piattoni.
Insomma, s’ella avesse oggi fra noi
un buco solo, come n’ha sol doi,
direbbe ognun che venisse a vederla:
«Ella è propio una perla».
Tu pòi pensar, Balia, quello che restò e ciò che disse il geloso arrabbiato, quando lesse la baia e quando non trovò l’amica in casa.
- Balia
- Io l’ho bello che pensato.
- Comare
- È un pezzo che io ti volsi dire de la fatiga d’una ruffiana in fare alzare i panni a quelle fila-lana e innaspa-seta e agomitola-accia e tessitrici e cusce-ad-altri: Sappi che, se noi potessimo andare per le case de le gran maestre come potiamo per le loro, parlandogli con la medesima scigurtà, le acconciaremmo a nostro modo senza un disconcio al mondo. Le poverine stanno in quello «io mi mariterò» ostinatamente; e gli pare, avendo marito, poter comparir per tutto; e per non essere avezze a ber vino, e a mangiar carne rade volte, non si curano degli agi i quali posseno avere dandosi altrui: e stansi là ignude e scalze, dormendo ne la paglia, vegghiando tutte le notti del verno e de la state guadagnandosi a fatiga il pane. E quando ci si recano, il nostro tempestar le madri, le nonne, le zie e le sorelle le sforza; e ne conosco assai che, se bene i mariti, perduto che hanno e imbriacati che sono, le bastonano, le pestano e le tranno giù per la scala, sopportano ogni male per viversi con l’onestà di aver pur marito.
- Balia
- Certamente egli è ciò che tu conti.
- Comare
- Ma l’altre ruffiane non sono la Comare, a la quale basta la vista di corrompere le verginità di ferro, di acciaio e di porfido, non che quelle di carne. Serra a tua posta gli usci e gli orecchi: ogni cosa apre la chiavicina del mio ingegnuzzo, per poco che sia. La Comare, ah? Non ne nasce ogni dì, non per la fede mia; e son grazie che si colgono al nascere; e cicali chi vòle, che non cambiaria arte con qualsivoglia artigiano: e se la non ci fosse stata robbata dai tabacchini che io ti ho detto, i capitani e i dottori ci starebbono di sotto. E s’io ti volesse dire quanti grandi uomini e quanti bei garzoni si lasciano cadere sopra i nostri corpi, non fornirei in un mese; tutte quelle che vengano buse, si sfogano sul fatto nostro: e così godiamo, senza sospiri e senza pianti, di quello che se ne poterebbero tener bone le prime de la terra.
- Balia
- Io compresi il resto da quella che ti diede colui il qual mettesti in succhio nel contargli come era fatta sotto panni colei che gli facesti credere che saria venuta a trovarlo se il marito, o chi si fosse, non tornava di villa.
- Comare
- Pò essere che io te lo abbia detto. Ma io la vo’ mozzare con gli incanti: e ti dirò prima che ciancia usava per certificare la donna pregna se sarà maschio o femina; se le cose perdute si deon trovare; se il matrimonio andrà inanzi o no; se il viaggio si farà; se la mercatantia guadagnarà; se il tale ti ama; s’egli ha più innamorate; se lo scorruccio si pacificarà; se l’amante tornarà tosto, e altre simile frascarie di donne pazzerelle.
- Balia
- Ho caro di sapere cotali inganna-balorde-e-balordi.
- Comare
- Io aveva sculpito uno angioletto di sugaro piccin piccino, e colorito benissimo; e nel mezzo del fondo d’un bicchier forato stava un perno, cioè uno stiletto sottile, sopra del quale si fermava la pianta del piè de l’angiolo: onde si voltava con il soffio. Il giglio che teneva in mano era di ferro, e ne lo incantarlo pigliava una bacchetta, ne la cima tutta di calamita e ne lo accostarla al ferro, si volgeva dove voleva la bacchetta; e quando una o uno desiderava sapere s’era amato o se rifaria la pace con lui e con lei, io scongiurando e borbottando parole infrastagliate, faceva il miracolo con la bacchetta, a la calamita de la quale il giglio di ferro veniva drieto: e così l’angiolo mostrava la bugia per verità.
- Balia
- Chi non ci starebbe saldo?
- Comare
- E perché mi imbatteva talvolta a dire il vero e perché la cosa pareva pur grande a chi non sapeva il tradimento, ci erano molti i quali credevano che tutti li demoni mi rendessero ubidienzia. Ma al gittar de le fave.
- Balia
- Io non ho mai visto cotale sciocchezza, ma io intendo che se ne vede le maraviglie.
- Comare
- Io ti dirò: lo incanto loro è trovato da poco in qua, e s’usa a Vinegia, e ci è chi gli dà fede come i Luterani a fra Martino eretico traditore.
- Balia
- Che fave son queste?
- Comare
- Si piglia il numero di .XVIII., nove fave femine e nove fave maschi; e con il mordere dei denti se ne segna due, cioè una donna e uno uomo, e si accompagnano con un poco di cera benedetta, di palma e di sale bianco: le quali cose mostrano il martello degli amanti. Appresso si toglie un carbone, che significa il corruccio de lo innamorato; e togliesi anco de la calcina del camino per conoscere quando verrà a casa; e dove lascio io il pane? a le ciance sopra dette si aggiugne una fettuccia di pane, il quale dinota la robba che se le dee portare. Doppo questo, si piglia una mezza fava oltra il numero de le .XVIII.: e cotal mezza fa segno del bene e del male. Come si è ragunato in uno e fave e cera e palma e sale e calcina e pane, si rimescolano le cose insieme, e con tutte due le mani si diguazzano e ventilano leggermente e si segnano con la bocca aperta: e caso che la bocca la quale ci sta sopra sbadigli, è buon segno, perché gli sbadigli certificano la cosa. Segnate che altrui l’ha, se gli dice queste parole:
- Ave madonna santa Lena reina, ave madre di Costantino imperadore. Madre foste e madre sète; al santo mare voi andaste: con undecimilia vergini vi mescolaste, e con più d’altrettanti cavalieri vi accompagnaste; la beata tavola voi dirizzaste; con tre coricini di mille foglie la sorte gittaste; la degna croce voi trovaste; al monte Calvario voi andaste, e tutto il mondo alluminaste.
E rimescolando e squassando e ventilando le fave e l’altre cose, e risegnatele di nuovo con gli sba[di]gli in mezzo, si dice:
- Per le mani che l’han seminate, per la terra che l’ha nutricate, per l’acqua che l’ha bagnate, e per lo sole che l’ha sciugate, vi prego che mi mostriate la verità: e se il tal le vòl bene, fate che io il trovi appresso di lei su queste fave; se le parlarà tosto, fate che io lo ritrovi a bocca a bocca con seco; e se verrà presto, fate che caschi di queste fave; se le darà denari, fate che io trovi de le fave in croce appresso di lei; o vero, se mi mandarà qualcosa, mostratemi il vero in questo pane.
Si tolgano poi le fave e si legano con tre nodi in una pezza lina, e per ogni nodo si dicano queste parole:
- Non lego queste fave, ma lego il cor del tale: che non possa aver mai bene né riposo né requie in verun luogo; né mangiare né bere, né dormire né vegghiare, né caminare né sedere, né leggere né scrivere, né con donna né con uomo parlare né praticare, né far cosa né dire, finché non viene a lei e che non ami se non lei.
Poi si aggira la pezza ne la qual sono le fave, tre volte sopra il capo, e lasciasi cadere in terra: e se rimane con il nodo in su, significa amore ne lo amante. Fatte tutte le bagattelle che io ti ho detto, si legano a la gamba mancina de la donna che fa gittar lo incanto; e quando va a dormire, se le mette sotto il capezzale: e così dà martello a colui, ed ella si certifica dei suoi dubbi.
- Balia
- Io non intendo quel «fate che io il trovi appresso di lei a bocca a bocca; e se verrà presto, fate che caschi di queste fave».
- Comare
- Ella dice: fate che la fava maschio si tocchi con la fava femina; e nel cader suo, nel rimescolare, dimostra il venire a lei.
- Balia
- La intendo, sì, sì: e per mia fé che ella mi va.
- Comare
- Si dice che santa Lena si leva da sedere tre volte, mentre si incanta con la sua orazione: ed è un peccato che non lo cancellaria le stazzoni di dieci quaresime; e ho visto credergli da persone che non lo crederesti. E penso...
- Balia
- Che?
- Comare
- ...che io ne lo incanto de l’angiolo di sugaro ho smenticato l’orazione la quale si dice cinque volte prima che si porga la bacchetta al giglio.
- Balia
- Mi pareva pure che ci mancasse non so che: or dilla.
- Comare
Angiolo buono, angiolo bello,
messer santo Rafaello,
per le vostre ali d’uccello
intendete ciò che io favello:
se colui la colei strazia
volgetevi in là, di grazia
e in qua s’altra nol sazia.
- Balia
- Quante cantafavole si dicano e si credano.
- Comare
- Se si dicano e credano, ah? Non si potria stimare la semplicitade altrui: e sia certa che, chi contasse i tristi e i goffi, non trovarebbe molto meno scempi che cattivi.
- Balia
- Non ne faccio dubbio.
- Comare
- Ne lo incanto de la cera se piglia quattro soldi di cera vergine e una pentola nuova, e si mette al fuoco con detta cera; e secondo che si comincia a scaldare, si dice la scongiurazione; e poi si toglie un bicchier non più adoperato, e gittasegli drento la cera distrutta: e tosto che è fredda, si vede tutto quello che tu sai dimandare.
- Balia
- Dimmi la scongiurazione.
- Comare
- Una altra volta.
- Balia
- Perché non ora?
- Comare
- Ho in boto di non dirla in questo dì che noi siamo; e ti insegnarò quello dei paternostri, la malia de l’uovo, e fino a la staccia da cernere la farina, ne la quale si ficca le forbici, con lo scongiuro del san Pietro e del san Pavolo; ma tutte son tresche e trappole e gabbamenti, e tengano parentado con le tristizie di chi fa cotali ribaldarie; ma perché ognun crede senza fatiga ciò che gli torna bene, la ruffiana spaccia le menzogne degli incantesimi per verità: e lo imbattersi che ha fatto alcuna nel vero, ci fa stare l’altre sgraziate.
- Balia
- La mi par la novella dei boti.
- Comare
- Non poniam la lingua nei boti, perché si dee scherzar con i fanti e non con i santi: e fai bene a darti ne la bocca, dicendone tua colpa come tu fai. Ma io sono ormai stracca di favellare; e mi incresce a dirti come io, non avendo altro a fare, appostava le case dei forestieri a una ora o due di notte, e picchiavagli le porte, non rispondendo mai al «chi è là giù?». Vero è che, venendo il servidore, diceva: «Non sta qui la Signoria di messer tale?»; ed egli, veduta balenare o questa o quella lordarella che io soleva menar meco, mi risponde: «Madonna sì, venite suso, che vi ha spettata due ore». E ciò diceva per credersi di avermi colta, e per dare da trastullarsi al padrone il quale si dilettava di puttanine: e di ciò era io informata, onde io veniva a lui a posta fatta; e passata drento, mi si serrava la porta perché io non me ne potessi andare; e giunta di sopra, poteva esclamare con il ramaricarmi di non esser la casa di colui che mi aspettava! Anzi eravamo messi in capo di tavola, e si altro altro, la cena e il rimandarci accompagnate a la stanza non ci mancava; e anco lasciava la baldracca seco a dormire: dico qualche volta, beccando su e giuli e ducati.
- Balia
- Non mi dispiace questa sorte d’astuzia.
- Comare
- Talora andava a trovare uno, il quale erano passati due anni che non lo aveva veduto; e facendo stare aguattata la ninfa che io menava a vettura, picchiava l’uscio suo; e sendomi riposto, io diceva: «Dite a messere che io son la tale»; ed egli venutomi incontra in persona, dice: «Io mi credeva che fosse altri; la luna da Bologna, ti si pò dire; ma che è di te?»; e io: «Bene, per servirvi; io passando di qui vi ho voluto visitare: e ci son voluta venir cento volte, e poi non mi sono arrischiata per non vi dar noia». E con queste berte lo appiccava con la diva che io menava meco per tutto.
- Balia
- Or non ti straccar più: e detto che tu mi hai come io ho a nascondere questo segno di mal francioso, che io ho in cima a la fronte, e il taglio che mi vedi nel mezzo de la gota ritta, finiamola.
- Comare
- Come a scondere il segno e il taglio? Io voglio che tu te ne tenga ben buona: domine è, che te ne dei tenere, perché il fregio e il segno significano e dimostrano la perfezione de l’arte ruffianesca; e sì come le ferite che i soldati beccano su ne le battaglie gli fanno parer più valenti e più bravi, così i segnuzzi del mal francioso e i fregetti de le coltellatine chiariscano altrui de la sufficienzia de la ruffiana: e cotali cose son perle le quali ci ornano. E lasciamo andar questo; non si conosceria la differenzia da una a una altra speziaria e taverna, se non fossero le insegne: lo spezial «dal moro», il «bonadies», lo spezial «da l’angelo», «dal medico», «dal corallo», «da la rosa» e «da l’uomo armato». Ecco l’osteria «de la lepre», «de la luna», «dal pavone», «da le due spade», «da la torre» e «dal cappello»; e se non fossero l’armi le quali sono ne le valige portate d’alcuni disgraziati sopra un cavallaccio pien di crusca e bolso, chi conoscerebbe i padroni dei poltroni che le portano? E perciò i segni e i fregi son necessari a la ruffiana, come anco i merchi ai cavalli: e non si sapria di qual razza fossero, non avendo il merco ne la coscia; e più ti dico, che non sarebbero in prezzo se venissero in mostra senza segnale.
Qui la terminò la Comare; e levatasi suso, fece rizzare anco la Balia, la Pippa e la madre: e vista la colazione apparecchiata, immolla un poco la lingua e le labbra secche per cotanto favellare. Intanto porge l’orecchie a la Nanna, la quale commenda la sua diceria e con istupirne confessa che tutte le ruffiane del mondo insieme non ne sanno quanto ne sa ella sola; e voltatasi a la Balia disse: «Questo pesco che ha udito il bel discorso, potria tenere scola dei suoi ricordi: or pensa quel che doveresti far tu»; poi ammonì la figliuola a tenere a mente ciò che ella ha udito. Intanto monna Comare spesseggia il bere, dando gran laude a chi lo trovò; e perché il corso peloso, mordendola e basciandola, le aveva fatto venire la lagrimetta a l’occhio, andava in estasis, non dando cura a la Nanna che, per essersi scordata nel primo suo ragionamento un punto solo, cioè d’insegnare a la Pippa il modo de lo intertenere quelli che falliranno o per suo conto o per il loro, e perché ogni femina gli caccia a le forche non se ne ricordando più né più volendo vedergli, le pareva cosa importante a dirne due paroline. Pure le lasciò stare, perché la Comare, avviatasi per l’orto, cominciò a vagheggiarlo tutto, dicendo: «Nanna, il tuo robba-fastidio è un vago spassa-tempo»; replicando: «Oh il bello orto, certo certo egli pò disgraziarne il giardino del Chisi in Trastevere e quello de fra Mariano a monte Cavallo. È un peccato che quel susino si secchi; guarda guarda, questa pergola ha i fiori, lo agresto e l’uva; quanti melagrani, Iddio, e dolci e di mezzo sapore: io le conosco, e si vogliano ormai còrre acciò che non sieno colte. Oh bella spalliera di gelsomini, oh bei vasi di bosso, che bel muricciuolo di ramerino. To’ su questo miracolo: le rose di settembre, misericordia. Fichi brogiotti, ah? Infine, io delibero di venirci fra l’aprile e il maggio; e voglio empirmi il seno e il grembo de le viole a ciocche che io veggo qui. Oh quanti testi di viole da Dommasco! Per conchiuderla, le bellezze di questo paradisetto mi aveva fatto smenticare che egli è già sera: e perciò monna menta, madonna magiurana, madama pimpinella e messer fiorancio perdoneranno al mio non più far l’amor seco; e per mia vita, che ogni cosa ride quinci; che ventarello che trae, e che aria, e che sito. Per questa croce, Nanna, che se qui fosse una fontanella la quale zampillasse l’acqua in suso, o che fuor degli orli versasse e a poco a poco innaffiasse l’erbe per i suoi viottoli, tu gli potresti por nome il giardino dei giardini, non che l’orto degli orti».
Così disse la Comare; e parendole l’ora di ridursi a casa, basciata che ebbe la Pippa, con una «buona sera» e «buona sera e buono anno», si redusse con la Balia dove avevano a ridursi.