Racconti e bozzetti/Carne venduta (frammento I)
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Su per la china, dalla città addormentata nell’alba chiara, saliva di tratto in tratto come il muggito del mare in burrasca, e nel porto la fregata si copriva di fumo. Tornavano indietro contadini frettolosi, spingendosi innanzi le loro bestie, spiando il cammino con occhio inquieto. Una comare che s’era fermata un momento a metter giù la cesta e ripigliar fiato, disse stendendo il braccio a indicar laggiù, verso la città; - Vengono!... I soldati!... La cavalleria!... -
Più tardi erano passati dei soldati infatti: cacciatori neri, fantaccini di cui i calzoni rossi facevano come una ondata di sangue, nella via bianca, e per tutta la strada, di qua e di là, non si udiva altro che il tintinnio delle armi, in cadenza col passo grave e uniforme della moltitudine. Neppure le galline s’erano arrischiate nell’aia, dinanzi al cortile, per paura del sacco e fuoco che dicevano. Compare Nunzio, colle spalle appoggiate al muricciuolo, stava a guardia del suo orto. Alla Lia, che s’era affacciata all’uscio, venuta l’ora di mangiare un boccone, aveva risposto di no, col capo.
Era più di un’ora che passavano dei soldati, prima in folla, come un armento in mezzo al polverone; poi a gruppi di dieci o venti, alla spicciolata, col fucile a bandoliera, e il chepì sulla nuca, stanchi e trafelati. Alcuni chiedevano dell’acqua, rossi pavonazzi dall’arsura. Uno, stanco morto, s’era messo a sedere all’ombra del mandorlo, col fucile fra le gambe. - Vieni tanto da lontano? - gli chiese compare Nunzio. L’altro levò il capo e lo guardò cogli occhi azzurri come il fiore del lino, senza comprendere e senza rispondere. Aveva i capelli biondi come le spighe, e una carnagione bianca di fanciullo o di donna, dove non era arsa dal sole, sotto il collarino di cuoio, e l’uniforme sbottonata. - Di dove sei? Non capisci nemmeno la lingua del paese dove vai? Che ci sei venuto a fare? - L’altro balbettò infine qualche parola che nessuno capiva, come una povera bestiola che non sa dire il suo bisogno. - Poveretto! - disse la Lia. - Carne venduta! - ribatté compare Nunzio. Il soldato guardava lui, guardava la ragazza, e non aggiungeva altro. Poi si alzò da sedere, affibbiò il cinturone, rimise in spalla il suo fucile, e se ne andò cogli altri.
- Va, vattene alla malora! - gli gridò dietro lo zio Nunzio. - Tu e chi ti paga! -
Colla notte scese un gran silenzio, come succede al cadere del vento, prima della burrasca. Solo, per quanto era lungo lo stradale, correva un uggiolìo di cani. A un tratto, dietro le imposte sbarrate del casolare si udì un gran tramestìo, della gente in folla che correva, e delle voci alte e brusche, in mezzo al mormorio. Verso l’alba si udirono pure le prime fucilate, e il cannone laggiù, e le campane che suonavano a martello, nella città. Poi cannonate e fucilate scoppiarono vicine, furiose, come un uragano. Il muro del pollaio crollò a un tratto, e sulle tegole le palle fioccavano fitte come una grandinata. Insieme grida e urli disperati, dei colpi tirati a bruciapelo, dalle imposte, dalle finestre, e degli altri colpi che rispondevano, dalle siepi, da ogni albero vicino, dalla cresta dei muri, di lassù in cima allo stradale. Una tempesta di colpi che squassò casa e villaggio, per più di un’ora, e si lasciò dietro uno strascico di gemiti e di rantoli, quando si dileguò infine, laggiù, verso il piano, distruggendo e bruciando ove passava, e i cadaveri sparsi, per la via, fra i seminati, lungo i muri, dietro le siepi. All’ombra del mandorlo, in una pozza di sangue, giaceva il giovanetto biondo del giorno innanzi, colle braccia aperte, e cogli occhi azzurri spalancati che sembravano guardare l’azzurro del cielo che non era quello del suo paese. - Poveretto! - tornò a dire la Lia. - Carne venduta! - tornò a ribattere compare Nunzio. - Che ci veniva a fare? -