Quand'ero matto..../1. Il soldino
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§ 1.
IL SOLDINO
Prima di tutto chiedo licenza di premettere che ora sono savio. Oh, per questo, anche povero. Anche calvo. Quand’ero ancora io, voglio dire, il riverito signor Fausto Bandini, ricco, e in capo avevo tutti i miei bellissimi capelli, è però provato provatissimo ch’ero matto. E un po’ più magro, s’intende. Ma pur con questi occhi che mi sono rimasti da allora spauriti, nella faccia così tutta scritta dagli atteggiamenti che prendeva per le croniche pietà da cui ero afflitto.
Per distrazione, ogni tanto, ci ricasco. Ma sono lampi che Marta, saggia moglie, spegne subito in me con certe sue terribili paroline.
Per esempio, l’altra sera.
Cose di poco momento, badiamo. Che può mai accadere a un povero savio e savio povero, ridotto a vivere più ordinatamente d’una formica?
Quanto più tenue la tela, tanto più delicato il ricamo, ho letto una volta, non so dove. Ma prima di tutto bisognerebbe saper ricamare.
Rincasavo. Non si può dare, credo, maggior fastidio di quello che l’insistenza d’un mendicante cagiona quando non s’abbia il soldo in tasca e quegli ci veda all’aria dispostissimi a darglielo. Era, nel caso mio, una ragazza. Senza interruzione, con voce piagnucolosa, da un quarto d’ora m’andava ripetendo dietro le stesse frasi, due o tre. Io, sordo; senza guardarla. A un certo punto, mi lascia: investe e s’appiccica, come una mosca tavana, a una coppia di sposi novelli.
— Glielo daranno il soldino? — dico tra me.
Ah, tu non sai, ragazza! La prima volta che gli sposi novelli van per via a braccetto, credono d’aver tutti gli occhi del mondo appuntati addosso; sentono l’impaccio delle cose nuove che tutti quegli occhi veggono e suppongono in loro, e non sanno nè possono fermarsi a far l’elemosina al povero.
Sento poco dopo, difatti, qualcuno che mi corre dietro gridando:
— Signorino, signorino. —
E rièccola, col piagnisteo monotono di prima. Non ne posso più; le grido esasperato:
— No! —
Peggio. Come se con quel no avessi dato la stura a un altro pajo di frasi tenute in serbo in previsione del caso. Sbuffo una prima volta, sbuffo una seconda, finalmente: auff! — alzo il bastone. Così. Quella si tira da un canto, levando istintivamente il braccio a riparo della testa, e di sotto il gomito mi geme:
— Anche due centesimi! —
Dio, che occhi apriva quel volto smunto, citrino, sotto i capelli rossastri abbatuffolati. Tutti i vizii della strada vermicavano in quegli occhi; e la precocità li rendeva spaventevoli. (Non metto alcun punto esclamativo perchè, ora che son savio, nessuna cosa deve più farmi meraviglia).
Già prima di vederle quegli occhi ero pentito dell’atto di minaccia.
— Quant’anni hai? —
La ragazza mi guarda di traverso, senza abbassare il braccio, e non risponde.
— Perchè non lavori?
— Magari, a trovarne. Non trovo.
— Non cerchi, — le dico io, riavviandomi. — Perchè hai preso gusto a codesto bel mestiere. —
Manco a dirlo; colei mi seguì ripigliando l’affliggente cantilena: che aveva fame, le déssi qualcosa per amor di Dio.
Potevo cavarmi la giacca e dirle: “Tieni„? Chi sa: in altri tempi, forse l’avrei fatto. Ma già, in altri tempi, avrei avuto in tasca il soldino.
Mi nacque improvvisamente un’idea, della quale sento il dovere di scusarmi al cospetto della gente savia. Lavorare — è senza dubbio un buon consiglio; ma si fa così presto a darlo. Mi sovvenne che Marta cercava una servetta.
E si badi: qualifico pazzia quest’idea improvvisa, non tanto per la trepida gioja che mi suscitò e che riconobbi in prima benissimo, per averla altre volte provata tal quale, quand’ero matto: specie d’ebbrezza abbarbagliante che dura un attimo, un lampo, nel quale il mondo sembra dia un gran palpito e sussulti tutto dentro di noi; quanto per le riflessioni da povero savio con cui cercai subito di puntellare quell’ebbrezza in me. Pensai: “Purchè a questa ragazza si dia da mangiare, da dormire e qualche veste smessa, ci servirà, senza pretendere altro. Sarà pure un risparmio per Marta„. Così.
— Senti: — dissi alla ragazza, — soldi, non te ne do. Vuoi davvero lavorare? —
Si fermò a guardarmi un tratto con quegli occhi scontrosi, sotto le ciglia odiosamente aggrottate; poi chinò più volte il capo.
— Sì? ebbene, vieni allora con me. Ti darò io da lavorare a casa mia. —
La ragazza si fermò di nuovo, perplessa.
— E mamma?
— Andrai a dirglielo dopo. Adesso vieni. —
Mi pareva di camminare per un altro viale e che.... mi vergogno a dirlo, case e alberetti fossero in preda all’agitazione che provavo io. E l’agitazione crebbe, crebbe di punto in punto, appressandomi a casa.
Che avrebbe detto mia moglie?
In un modo più balordo non avrei potuto presentarle la proposta (balbettavo). E certo, certissimo questo modo balordo dovette contribuire non solo a fargliela respingere, com’era giusto, ma anche a farla arrabbiare, povera Marta. Ma se io, ora che sono di venuto savio, col timore continuo che mi scappi qualche stramberia, non so più dire due parole, una dopo l’altra? Basta; mia moglie non si lasciò sfuggire l’occasione di ripetermi quel suo terribile: “Ancora? Ancora?„ che per me è peggio d’una doccia a sorpresa; poi mandò via la ragazza senza neanche volerle dare qualcosina, perchè — disse — per quel giorno l’elemosina era fatta. (E realmente Marta l’elemosina la fa ogni giorno; badiamo: dà un soldino al primo povero che capita, e quando ha dato quel soldino e ha detto: “Raccomandami alle anime sante del Purgatorio„ s’è messa in pace con la coscienza, e non vuol sentire altro).
Intanto io penso e dico: quella ragazza, se non è già perduta, certo sarà tra breve. Sì, ma che deve importarmene? Io, ora, sono divenuto savio, e a queste cose non debbo più pensare nè punto, nè poco. — “Pensare a me!„ — questa, la mia nuova divisa. Ce n’è voluto per persuadermi a intestarne tutti gli atti di questa mia nuova vita, chiamiamola così. Ma come Dio vuole, non facendo nulla.... Basta. Se io ora, per modo d’esempio, mi fermo sotto la finestra d’una casa ove sappia c’è gente che piange, debbo subito vedere a quella finestra la mia smarrita, sparuta immagine, la quale, affacciandosi, ha l’obbligo espresso di gridarmi di lassù, crollando un po’ il capo e appuntandosi l’indice d’una mano sul petto: — E io? — Così.
Sempre: — E io? — in ogni occasione. Che è qui la base della vera saggezza.
Quand’ero matto invece....