Quadro dell'uomo/Lettera
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Al Sig. Abate GENOVESI.
ALLA vista dell’idee metafisiche, delle quali voi avete ripiena l’opera che vi è piaciuto comunicarmi, si son risvegliati i miei pensieri, e secondo la tenuità dei miei talenti, sono andato immaginandomi l’uomo quale egli è, e quale dovrebbe essere. In un istante io l’ho veduto sì piccolo e sì grande, sì debole e sì forte, che nello stesso tempo mi son trovato pieno di gloria e di abbassamento.
Da per voi giudicherete se io l’ho ben conosciuto, giacchè unisco alla presente il Quadro, che l’intimo mio sentimento, o se volete piuttosto la mia fantasia, mi ha disegnato. Se voi troverete in esso quanto desiderate, goderò del piacere di aver secondate le vostre intenzioni, e contribuito all’opera che dovete dar fuori sopra l’uomo, e sopra Dio.
In simili materie non si richiede tanto il dir cose nuove, quanto il dirle bene. Spesso si disgustano quelli che leggono opere metafisiche, per l’affettata astrazione di chi le scrisse, tanto è vero che le cose più naturali e più semplici son le più belle. La Metafisica che ha per fine l’aggirarsi sulla verità, qualor si tratti delle facoltà dell’anima nostra non dee rendere che quanto sentiamo; altrimenti si va a spasso in un paese chimerico.
La maggior parte dei Metafisici antichi e moderni hanno creduto di doversi formar dei sistemi, e questo è ciò che ha fatto quasi divenir ridicola la Metafisica, perchè questa scienza è in se stessa semplicissima, e verissima.
Non avviene degli occhi dello spirito come di quei del corpo. Quello che io vedo in idea, non lo vede quello che mi siede accanto, essendochè le nostre idee hanno mille cause diverse; e da ciò deriva la gran varietà d’opinioni tra i filosofi: e che Mallebranche si persuase che noi vediam tutto in Dio, e Locke, che tutte le nostre idee vengon dai sensi.
Approvo tanto più le vostre osservazioni, perchè voi non siete sistematico, nè volete sforzare alcuno a pensare a vostro modo. Tutte le vostre idee mi son parse nette, i vostri principii chiari e le conseguenze giuste, cosicchè si dirà che la vostra opera è il frutto di un giudizio sano, e di sodo ragionamento.
Se dopo di averla pubblicata voi troverete dei contradittori, sarà ciò una prova del non avergli convinti, ed un avviso per voi, perchè non vi diate la pena di rispondergli. Tra gli scrittori ve ne sono di quelli che non san contenersi, come i cani, dall’abbaiare, e questi bisogna lasciar che si sfoghino. Tutti gli uomini non possono mai trovarsi d’accordo.
Siccome il vostro libro dovrà comparire in latino, così ho creduto bene il dirigervi le richiestemi osservazioni in questa lingua che mi è egualmente familiare che l’italiana. Se voi vi troverete alcuno squarcio degno della vostra opera, vi sarà facile l’inserirlo adattandovi il vostro stile, e così gli darete un merito reale con la maniera con cui lo approprierete.
Questa sarà forse la prima volta che una penna d’oro ed una di piombo, si sono unite a lavorare una stessa opera, ma voi l’avete voluto, ed io non posso far resistenza, quando si tratta di dimostrarvi tutta l’estensione della mia stima, e del mio attaccamento.
Roma 22 Giugno 1755.