Prose della volgar lingua/Libro secondo/XXII

Secondo libro – capitolo XXII

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Avea cosí detto il Magnifico e tacevasi, quando lo Strozza, che attentamente ascoltato l’avea, disse: - Deh, se il cielo, Giuliano, in riputazione e stima la vostra lingua avanzi di giorno in giorno, e voglio io incominciare a ragionar toscanamente da questa voce, che buono augurio mi dà e in speranza mi mette di nuovo acquisto, non fate sosta cosí tosto nel raccontarci delle vostre voci, ma ditecene ancora, e sponetecene dell’altre; che io non vi potrei dire, quanto diletto io piglio di questi ragionamenti. - E che volete voi, che io vi racconti piú oltra? - rispose il Magnifico. - Non avete voi oggi da messer Carlo e da messer Federigo udite molte cose? - Sí di vero, - rispose lo Strozza - che io ne ho molte udite, le quali mi potranno ancora di molta utilità essere o nel giudicare gli altrui componimenti, se io ne leggerò, o nel misurare i miei, se io me ne travaglierò giamai. Ma quelle cose nondimeno sono avertimenti generali, che vagliono piú a ben volere usare e mettere in opera la vostra lingua, a chi appresa l’ha e intendela, che ad appararla: il che a me convien fare, se debbo valermene, ché sono in essa nuovo, come vedete. Per la qual cosa a me sarebbe sopra modo caro che voi, per le parti del vostro idioma discorrendo, le particolari voci di ciascuna, le quali fa luogo a dover sapere, pensaste di ramemorarvi, e di raccontarlemi. - Io volentieri ciò farei, in quanto si potesse per me fare, - rispose il Magnifico - se piú di spazio a quest’opera mi fosse dato, che non è; ché, come potete vedere, il dí oggimai è stanco, e piú tosto gli ’nteri giorni sarebbono a tale ragionamento richiesti, che le brievi ore. - Per questo non dee egli rimanere, - disse mio fratello, a queste parole traponendosi - che a messer Ercole non si sodisfaccia. E poscia che egli fu da noi ieri allo scrivere volgarmente invitato, convenevole cosa è, Giuliano, che noi niuna fatica, che a questo fine porti, rifuggiamo. Vengasi domani ancor qui, e tanto sopra ciò si ragioni, quanto ad esso gioverà e sarà in grado. - Vengasi pure, - disse il Magnifico - e ragionisi, se ad esso cosí piace; tuttavolta con questa condizione che voi, messer Carlo e messer Federigo, m’aiutate; ché io non voglio dire altramente -. A queste parole rispondendo i due, che essi erano contenti di cosí fare, quantunque sapessero che allui di loro aiuto non facea mestiero, e messer Ercole aggiugnendo che esso ne sarebbe loro tenuto grandemente, tutti e tre insieme, sí come il dí dinanzi fatto aveano, dipartendosi, lasciarono mio fratello.