Prose della volgar lingua/Libro secondo/VI
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Quivi trapostosi Giuliano, verso lo Strozza rivolto, disse: - O quanto è vero, messer Ercole, ciò che il Bembo ci ragiona del Petrarca in questa parte. Perciò che venendomi, non ha guari, vedute alcune carte scritte di mano medesima del poeta, nelle quali erano alquante delle sue rime, che in que’ fogli mostrava che egli, secondo che esso le veniva componendo, avesse notate, quale intera, quale tronca, quale in molte parti cassa e mutata piú volte, io lessi tra gli altri questi due versi primieramente scritti a questo modo:
Voi, ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospir, de’ quai nutriva il core.
Poi come quegli che dovette pensare, che il dire De’ quai nutriva il core non era ben pieno, ma vi mancava la sua persona, oltra che la vicinanza di quell’altra voce, Di quei, toglieva a questa, De’ quai, grazia, mutò e fecene Di ch’io nutriva il core. Ultimamente sovenutogli di quella voce, Onde, essendo ella voce piú rotonda e piú sonora per le due consonanti che vi sono, e piú piena; aggiuntovi che il dire Sospiri, piú compiuta voce è, e piú dolce, che Sospir; cosí volle dire piú tosto, come si legge, che a quel modo. Ma voi, messer Carlo, nondimeno seguite -. Il quale i suoi ragionamenti cosí riprese: - Molte altre parti possono le voci avere, che scemano loro grazia. Perciò che e sciolte e languide possono talora essere, oltra il convenevole, o dense e riserrate; pingui, aride; morbide, ruvide; mutole, strepitanti; e tarde e ratte, e impedite e sdrucciolose, e quando vecchie oltra modo, e quando nuove. Da questi diffetti adunque, e da simili, chi piú si guarderà, a’ buoni avertimenti dando maggiore opera, colui si potrà dire che nello sciegliere delle voci, una delle parti, che io dissi, generali dello scrivere, migliore compositor sia o di prosa o di verso, e piú loda meriti che coloro che lo fanno meno, quando per la comperazione loro si troverà che cosí sia.