Prose della volgar lingua/Libro primo/XVI

Primo libro – capitolo XVI

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Allora mio fratello: - Egli par bene da una parte, - disse - messer Federigo, che per contento tener se ne debba Giuliano, perciò che egli ha senza sua fatica quella lingua nella culla e nelle fascie apparata, che noi dagli auttori il piú delle volte con l’ossa dure disagiosamente appariamo. Ma d’altra non so io bene, senza fallo alcuno, che dirmi; e viemmi talora in openione di credere, che l’essere a questi tempi nato fiorentino, a ben volere fiorentino scrivere, non sia di molto vantaggio. Perciò che, oltre che naturalmente suole avenire, che le cose delle quali abondiamo sono da noi men care avute, onde voi toschi, del vostro parlare abondevoli, meno stima ne fate che noi non facciamo, sí aviene egli ancora che, perciò che voi ci nascete e crescete, a voi pare di saperlo abastanza, per la qual cosa non ne cercate altramente gli scrittori, a quello del popolaresco uso tenendovi, senza passar piú avanti, il quale nel vero non è mai cosí gentile, cosí vago, come sono le buone scritture. Ma gli altri, che toscani non sono, da’ buoni libri la lingua apprendendo, l’apprendono vaga e gentile. Cosí ne viene per aventura quello che io ho udito dire piú volte, che a questi tempi non cosí propriamente né cosí riguardevolmente scrivete nella vostra medesima lingua voi fiorentini, Giuliano, come si vede che scrivono degli altri. Il che può avenire eziandio per questo, che quando bene ancora voi, per meglio sapere scrivere, abbiate con diligenza cerchi e ricerchi i vostri auttori, pure poi, quando la penna pigliate in mano, per occulta forza della lunga usanza, che nel parlare avete fatta del popolo, molte di quelle voci e molte di quelle maniere del dire vi si parano, mal grado vostro, dinanzi, che offendono e quasi macchiano le scritture, e queste tutte fuggire e schifare non si possono il piú delle volte il che non aviene di coloro, che lo scrivere nella lingua vostra dalle buone composizioni vostre solamente, e non altronde, hanno appreso. Né dico già io ciò, perché non ce ne possa alcuno essere, in cui questo non abbia luogo: sí come non ha, Giuliano, in voi, il quale, da fanciullo nelle buone lezioni avezzo, cosí ragionate ora, come quelli scrissero, de’ quali s’è detto. Ma dicolo per la maggior parte, o forse per gli altri, che io non so se alcuno altro s’è de’ vostri, che questo in ciò possa che voi potete -.