- Bene e ragionevolmente, sí come egli sempre fa, rispose messer Trifone al Calmeta, - disse il Magnifico - in ciò che raccontato ci avete. Ma egli l’arebbe per aventura potuto strignere con piú forte nodo, e arebbel fatto: se non l’avesse, sí come io stimo, la sua grande e naturale modestia ritenuto. - E quale è questo nodo piú forte, Giuliano, - disse lo Strozza - che voi dite? - È - diss’egli - che quella lingua che esso all’altre tutte prepone, non solamente non è di qualità da preporre ad alcuna, ma io non so ancora se dire si può, che ella sia veramente lingua. - Come, che ella non sia lingua? - disse messer Ercole - non si parla e ragiona egli in corte di Roma a modo niuno? - Parlavisi - rispose il Magnifico - e ragionavisi medesimamente come negli altri luoghi; ma questo ragionare per aventura e questo favellare tuttavia non è lingua, perciò che non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittore. Già non si disse alcuna delle cinque greche lingue esser lingua per altro, se non perciò che si trovavano in quella maniera di lingua molti scrittori. Né la latina lingua chiamiamo noi lingua, solo che per cagion di Plauto, di Terenzio, di Virgilio, di Varrone, di Cicerone e degli altri che, scrivendo, hanno fatto che ella è lingua, come si vede. Il Calmeta scrittore alcuno non ha da mostrarci, della lingua che egli cotanto loda agli scrittori. Oltre acciò ogni lingua alcuna qualità ha in sé, per la quale essa è lingua o povera o abondevole o tersa o rozza o piacevole o severa, o altre parti ha a queste simili che io dico; il che dimostrare con altro testimonio non si può che di coloro che hanno in quella lingua scritto. Perciò che se io volessi dire che la fiorentina lingua piú regolata si vede essere, piú vaga, piú pura che la provenzale, i miei due Toschi vi porrei dinanzi, il Boccaccio e il Petrarca senza piú, come che molti ve n’avesse degli altri, i quali due tale fatta l’hanno, quale essendo non ha da pentirsi. Il Calmeta quale auttore ci recherà per dimostrarci che la sua lingua queste o quelle parti ha, per le quali ella sia da preporre alla mia? sicuramente non niuno, che di nessuno si sa che nella cortigiana lingua scritto abbia infino a questo giorno -. Quivi tramettendosi messer Ercole: - A questo modo - disse - si potranno per aventura le parole di messer Carlo far vere, che non essendo lingua quella che il Calmeta per lingua a tutte le italiane lingue prepone, niun popolo della Italia dolere si potrà della sua sentenza. Ma io non per questo sarò, Giuliano, fuori del dubbio che io vi proposi. - Sí sarete sí, - rispose il Magnifico - se voi per aventura seguitar quegli altri non voleste, i quali perciò che non sanno essi ragionar toscanamente, si fanno a credere che ben fatto sia quelli biasimare che cosí ragionano; per la qual cosa essi la costoro diligenza schernendo, senza legge alcuna scrivono, senza avertimento, e comunque gli porta la folle e vana licenza, che essi da sé s’hanno presa, cosí ne vanno ogni voce di qualunque popolo, ogni modo sciocco, ogni stemperata maniera di dire ne’ loro ragionamenti portando, e in essi affermando che cosí si dee fare; o pure se voi al Bembo vi farete dire, perché è, che messer Pietro suo fratello i suoi Asolani libri piú tosto in lingua fiorentina dettati ha, che in quella della città sua -. Allora mio fratello, senza altro priego di messer Ercole aspettare, disse: - Hallo fatto per quella cagione, per la quale molti Greci, quantunque Ateniesi non fossero, pure piú volentieri i loro componimenti in lingua attica distendeano che in altra, sí come in quella che è nel vero piú vaga e piú gentile -.