Prose della volgar lingua/Libro primo/XII

Primo libro – capitolo XII

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Avea messer Federigo al suo ragionamento posto fine, quando il Magnifico e mio fratello, dopo alquante parole dell’uno e dell’altro fatte sopra le dette cose, s’avidero che messer Ercole, tacendo e gli occhi in una parte fermi e fissi tenendo, non gli ascoltava, ma pensava ad altro. Il quale, poco appresso riscossosi, ad essi rivolto disse: - Voi avete detto non so che, che io, da nuovo pensamento soprapreso, non ho udito. Vaglia a ridire, se io di troppo non vi gravo. - Di nulla ci gravate, - rispose il Magnifico - ma noi ragionavamo in onore di messer Federigo, lodando la sua diligenza posta nel vedere i provenzali componimenti, da molti non bisognevole e soverchia riputata. Ma voi di che pensavate cosí fissamente? - Io pensava, - diss’egli - che se io ora, dalle cose che per messer Federigo e per voi della volgar lingua dette si sono persuaso, a scrivere volgarmente mi disponessi, sicuramente a molto strano partito mi crederei essere, né saperei come spedirmene, senza far perdita da qualche canto; il che, quando io latinamente penso di scrivere, non m’aviene. Perciò che la latina lingua altro che una lingua non è, d’una sola qualità e d’una forma, con la quale tutte le italiane genti e dell’altre che italiane non sono parimente scrivono, senza differenza avere e dissomiglianza in parte alcuna questa da quella, con ciò sia cosa che tale è in Napoli la latina lingua, quale ella è in Roma e in Firenze e in Melano e in questa città e in ciascuna altra, dove ella sia in uso o molto o poco, ché in tutte medesimamente è il parlar latino d’una regola e d’una maniera; onde io a latinamente scrivere mettendomi, non potrei errare nello appigliarmi. Ma la volgare sta altramente. Perciò che ancora che le genti tutte, le quali dentro a’ termini della Italia sono comprese, favellino e ragionino volgarmente, nondimeno ad un modo volgarmente favellano i napoletani uomini, ad un altro ragionano i lombardi, ad un altro i toscani, e cosí per ogni popolo discorrendo, parlano tra sé diversamente tutti gli altri. E sí come le contrade, quantunque italiche sieno medesimamente tutte, hanno nondimeno tra sé diverso e differente sito ciascuna, cosí le favelle, come che tutte volgari si chiamino, pure tra esse molta differenza si vede essere, e molto sono dissomiglianti l’una dall’altra. Per la qual cosa, come io dissi, impacciato mi troverei, che non saperei, volendo scrivere volgarmente, tra tante forme e quasi facie di volgari ragionamenti, a quale appigliarmi -.