Primo maggio/Parte quarta/VI
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Non gli rimaneva che il Cambiasi; andò da lui una sera, lo tirò fuor di casa, e gli confidò l’animo suo, passeggiando sotto gli alberi sfrondati di corso Oporto, in una nebbia fitta, squarciata qua e là dalla luce fioca dei lampioni. - Mio caro -, gli disse quegli con la sua cordiale franchezza, - quello che ti accade è naturalissimo. Tu sai che cos’è il misoneismo: un dolore che si prova all’urto delle idee nuove. Ora tu dai un vero dolore alla gente, e non vuoi che se la piglino con te? È tale e quale come se facessi il mestiere di andar a pestare i calli al colto pubblico sui marciapiedi delle strade. Tu offendi con le tue idee la natura fisiologica dei tuoi amici, che pensano come la moltitudine, la quale pensa secondo gli istinti ereditari della specie, e non secondo concetti nuovi e individuali; e chi è offeso offende, mio caro, e chi ha torto sei tu, che fai la parte di provocatore. Non credere che nella maggior parte sia egoismo o stupidità quello che li fa respingere le tue idee: non le accettano perché non le possono accettare, come non potrebbero tener sullo stomaco una sostanza repugnante all’organismo. - E gli citò le parole del suo prediletto Taine, il "suo" filosofo, com’egli lo chiamava.
- La macchina sociale, applicata a noi da tanto tempo, ci ha modellati in una data forma, perché essa ci sostiene, ma ci comprime ad un tempo, e noi abbiamo contratto tutte le infermità che la compressione produce: arresti di sviluppo, turbamenti della sensibilità, sviamenti della volontà e dell’intelligenza, idee fisse e idee false. Quelli che riescono a guarire se stessi di queste infermità, mettendosi con lo spirito fuor della macchina, che è il solo modo per vederne i difetti, che la fanno parer mostruosa ed odiosa, sono miracolose eccezioni. Come puoi far colpa alla gente di non far dei miracoli?
- Del resto -, soggiunse, voltando il discorso al faceto -, tu avrai una grande consolazione. Conosci le mie idee: io non credo nel trionfo durevole del socialismo, ma credo certa e non lontana una rivoluzione sociale, che avrà il socialismo per bandiera, e da cui uscirà quello che Dio vorrà. Ebbene, via via che si faranno più gravi e patenti i sintomi della rivoluzione, tu avrai il piacere di vedere tutti i tuoi amici dissidenti d’adesso passar l’un dopo l’altro al nemico. Li conosco tutti, potrei fissar le date delle diserzioni. - E continuò, facendo i nomi. Il tal professore sarebbe stato uno dei primi, nel 96 o nel 97. Il Commendator tale, che gridava: - Manette! - nel corrente ottantanove, avrebbe gridato: - Giustizia sociale! - nel novecento e due; quel tal altro sarebbe stato più duro, quello avrebbe resistito per tutto il primo decennio del nuovo secolo, ma si sarebbe gettato all’avanguardia nel 911, pubblicando una biografia di Carlo Marx, con note e documenti inediti. E tirò avanti con deputati, industriali, scrittori. Negli anni successivi, poi, si sarebbero visti accorrere nelle file dei socialisti, a drappelli, tutti i più cocciuti e i più furibondi antisocialisti d’adesso, e provare di esser stati sempre di quell’idea, e tener conferenze amorose agli operai, e trattare il Rateri d’ideologo. Ah! egli desiderava di vivere un pezzo per vedere. Sarebbe stato maraviglioso lo spettacolo di tutte quelle conversioni in extremis, la grande fiera delle coscienze rivoltate, il gran ballo mascherato degli entusiasmi dell’ultim’ora, ballato al suon di tromba della Paura! Se fosse arrivato ad assistervi, gli pareva che sarebbe morto di buonumore.
E vedendo Alberto rasserenato, gli batté una mano sulla spalla, dicendogli affettuosamente: - Rimettiti di buon animo dunque, e non pensare che al tuo lavoro. - Poi gli domandò, fissandolo, come andassero le cose in casa.
- Pace armata -, rispose Alberto sorridendo.
- Prepàrati, però -, disse il Cambiasi, con viso grave; - perché è inevitabile la guerra... e sarà disperata.