V. De consolatione Crucifixi.

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V. De consolatione Crucifixi.
IV. VI.
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V.


DE CONSOLATIONE CRUCIFIXI.


Quando el suave mio fido conforto
     Per la pietà de la mia stanca vita
     Con la soa dolce citara fornita
     Mi trae da l’onde al suo beato porto,
     Io sento al cor un ragionar acorto
     Dal resonante et infiamato legno,
     Che me fa sì benegno,
     Che di for sempre lacrimar vorrei:
     Ma, lasso! gli ochi mei
     Degni non son de la suave pioggia,
     Che di là stilla dove amor s’alloggia.
 
Qual veloce, qual sitibondo cervo
     Se vide al fonte mai tai salti fare,
     Qual a le voce il cor, che già spontare
     Il fin azial io vidi assai protervo?
     Sagitte acute gira il bianco nervo
     Da penetrar un solido diamante;
     Vivace aque stillante
     Ch’el sdegnoso Neron farebben pio.
     Lasso! qual cor sì rio

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     Non fan pregion le corde e le saette,
     Le voce sorde, e dolce parolette?
     
Alma, che fai? Or questa or quella corda
     Suavemente dentro al cor resona,
     Che mi conforta et al camin mi sprona,
     Ben che l’andato tempo mi rimorda.
     O quanto ben al mio desir se acorda
     Quella armonia, e il son de le parole!
     Pallidette viole
     Da terra trae nel serto suo beato.
     O felice peccato!
     Che cosa, o qual ti fa degno d’onore?
     Chi t’ha donato un tanto Redentore?

Venite, gente, dal mar Indo al Mauro,
     E chionque è stanco dentro nel pensiero:
     Non forza d’arme quivi, non impero.
     Prendete sanza fine argento et auro;
     Venite, povri e nudi, al gran tesauro,
     A le dolce aque d’un celeste fonte:
     Levate or mai la fronte,
     Che più non temo un om coperto d’arme!
     E sanza dubio parme
     Già, sciolti i lazi e dentro il cor avvampa,
     Mirando el segno e la spiatata stampa.

Ai! orbo mondo, dimme chi l’ha spento
     In questa valle obscura e tenebrosa?
     L’amor d’una bellissima amorosa,
     E la pietà del grave suo lamento.

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     Lasso! fosse lei, qual io son contento
     Farmi d’un pede pur l’estrema parte,
     E ne l’ultime carte,
     Ben ch’indegno assai, por il nostro nome!
     So che l’aspere some,
     E le catene portarebbe in pace,
     Forte di spirto e d’animo vivace.

Ma che debbo altro ormai che pianger sempre,
     Dolce Iesù, che sanza te son nulla?
     Io comenziai al latte et a la culla
     A declinar da le toe dolce tempre:
     Et or che fia di me, se tu non tempre
     Le male corde e la scordata lira?
     Per l’universo gira
     Questo sfrenato e rapido torrente.
     Che or fossen tutte spente
     Soe voglie ingorde e il subito furore,
     Et io col mio dolcissimo Segnore!

Canzionetta, io te prego
     Che ispesso meco sola tu ragioni,
     E ch’el mio cor tu sproni.
     Io dico a voi, Segnor, dove si mostra
     Il dolce aspetto de la terra vostra.


Explicit.