Poesie (Ragazzoni)/Parte seconda/Le nostalgie del becco a gas

Parte seconda - Le nostalgie del becco a gas

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Oh, il faro elettrico,
re della sera,
quello ha fortuna!
Non egli immagine
5— sia pur leggera —
è della luna?

La via, nel nitido
suo vel di perle,
sembra una sala
10da ballo. — Diafane
garze, e vederle
come bengala!

Quanto a me, un umile
fanale io sono,
15tremulo, a gas;
un paria, un’anima
nell’abbandono,
molto Ruy Blas.

Scialbo m’accoccolo
20tra sonnolente,
livide mura;
e solo illumino
un qualche agente
della Questura!

25Talora un ebete
che fa all’amore
sotto i balconi;
oppure un Lazzaro,
raccattatore
30di mozziconi,

l’ebbro che dubita
della sua porta
— stolto! — e gli scaltri
che invece trovano,
35con mano accorta,
quella degli altri.

Bacivendugliole
che, sul selciato,
stancano il tacco
40e senton l’alcool
mal tracannato,
ed il tabacco.

Ed anche i triboli
delle stagioni,
45tutti conosco!
La pioggia, il nugolo
degli aquiloni
l’inverno fosco;

e fino i pargoli
50(da Roma a Jeddo,
e viceversa)
sanno che l’esile
mio lume ha freddo
se il gel l’avversa!

55Persino gli uomini
(la gente ch’io
guido la notte)
per loro collera,
per spasso rio,
60mi dan le botte.

A me i suoi ciottoli,
ogni momento,
lancia il monello;
e a dire i popoli
65lor malcontento,
fan come quello!

E s’essi, — torbidi
per qualche abbaglio —
la piazza attira,
70l’indispensabile
son io bersaglio
della lor ira.

Oh quanti i popoli,
per i supremi
75loro ideali,
sassi scagliarono
ed anatemi
su noi, fanali!

E nuovi turbini
80pel mondo sento
minacciar tetri,
ed ho un tristissimo
presentimento,
per i miei vetri.

85Già sento infliggermi,
a mani dure,
tutto un selciato.
Ebbene, brontolo:
— Ma faccian pure,
90son sì noiato! —

M’annoio. Dicono
che in certa tale
rossa stagione,
un tempo avevasi
95pel buon fanale,
qualche attenzione.

Sovente, ad opera
di giustiziere
ero invocato,
100e il mio riverbero
s’ebbe il piacere
d’un impiccato.

«Ça ira», vociavasi:
«Alla lanterna!»
105O tempi! O quadri!
Vedessi io pendermi
— giustizia eterna! —
giù, certi ladri.

Cert’epe sudicie
110di bottegai,
figure grame
che s’impinguarono
(porci, usurai),
sopra la fame!

115Ma no, m’accoccolo
fra sonnolente
livide mura...
e solo... eccetera
(già v’è presente
120la mia sventura).

Le birbe corrono,
(e senza allarmi)
libere, il mondo,
e invano io medito
125di consolarmi
col loro pondo.

Ah, ben m’è il barbaro
destin, cocciuto!
Ma più mi secco
130che un qualsiasi
primo venuto,
mi chiami «becco».