Poesie (Ragazzoni)/Parte quinta/I. I Vinti
Questo testo è completo. |
◄ | Parte quinta | Parte quinta - II. I Vincitori | ► |
Dinanzi al palazzo Salmatoris a Cherasco, il 27 aprile 1796 (8 floreale anno IV della Repubblica francese) dove il generale Bonaparte, comandante supremo dell’esercito repubblicano in Italia, ha stabilito il suo quartier generale. Sotto un cielo grigio, freddo, basso, gonfio di pioggia la giornata volge al tramonto. Cittadini d’ogni classe si aggruppano curiosando, attendendo, interrogando e nella piccola folla si trova ripercosso il pauroso stupore che in tutto il Piemonte ha diffuso la fulminea conquista. In quindici giorni, i trentacinquemila sanculotti laceri, scalzi, affamati che il «giovane côrso» ha messo in campagna, senz’altri fondi che i due mila luigi da lui portati da Parigi nella sua vettura, hanno ridotta a nulla la forza dei sessantamila austro-sardi disciplinati ed ordinati di Beaulieu e di Colli. Il fulmine ha percosso a Montenotte, a Dego, a Millesimo, a Ceva, alla Cosseria, a Mondovì; Alba, in un impeto di esaltazione si è proclamata a repubblica; il generale Colli si è ripiegato a Fossano e Bonaparte, occupato Cherasco, ha inviato di qui un suo imperioso «ultimatum» alla Corte di Torino la quale, sgomentatissima, presa tra il flagello dell’invasione e quello della rivoluzione interna, senza più alcun appoggio nell’infida alleanza austriaca che rende vano il valore piemontese, si trova ridotta a sottostare ai durissimi patti. Tutta la giornata è stata una giornata di dubbi, di ansie, di timori. Ingrandite dalla paura corrono le più strane dicerie.
- Se non viene subito una risposta da Torino bombarderanno la città... - la bruceranno! - Hanno portato via le campane per fonderle e farne dei cannoni! - Dicono che fucileranno i prigionieri! - Oh! oh!... ma non sono poi mica diavoli questi francesi! - Ma sono giacobini! - Hanno fatto la festa al loro re, figurarsi se avranno riguardi per noi! - Chiedete a quei di Mondovì che cos’hanno fatto! - Eppure, ieri ho visto io un accidente di caporale che l’avreste detto un brigante al primo aspetto, che si teneva sulle ginocchia uno dei nostri bambini e lo imboccava di pappa con una pazienza da nonno. (Ognuno ha il suo caso terribile o curioso da raccontare. Di lontano, frattanto, giungono di tanto in tanto rulli di tamburi. Pattuglie di soldati rivestiti di lunghi abiti azzurri rappezzati, col petto traversato da larghi budrieri bianchi, con immensi cappelli a mezzaluna in capo, - l’uno dei corni basso sulla fronte, l’altro sulla nuca, - passano tra un tintinnare ed uno sballottare di sciabole, di giberne, di corregge di fucili. Alcuni carriaggi, vuoti e mezzo sfondati, sobbalzano sul selciato seguiti da frotte di monelli chiassosi, felici di «vedere la guerra». All’ingresso del palazzo, vigilato da alte sentinelle colla baionetta in canna, è un continuo andirivieni di staffette. Una giunge a cavallo a spron battuto, e scompare nell’androne tempestando intorno pillacchere e fango).
Nella folla, per varie voci, si diffondono le impressioni: Eccone uno ben conciato! Avete visto? Tra lui e il cavallo sembrano essersi tirati dietro un pantano! - Ci si deve affogare nelle strade con queste pioggie! (Qualche naso si volta in su a strologare il tempo) - To’, e adesso ricomincia! - Par d’essere in novembre! - (Qualche mano si stende a tastare le gocciole) - E nevica, anche! - (In certi gruppi più gravi l’arrivo della nuova staffetta desta riflessioni piene d’ansie e di preoccupazioni) - Certo viene da Torino. Chissà che cosa si macchina laggiù! - C’è poco da macchinare, c’è da fare quello che vogliono questi qui, i giacobini: cedere! - Il re forse lo vorrebbe; ma il principe Carlo Emanuele, ma il duca d’Aosta suo fratello che amano i repubblicani come il fumo negli occhi? - E allora vedremo i francesi marciare su Torino! - ... E la rivoluzione scoppiare in tutto il Piemonte... Avete visto che cosa è successo già ad Alba? - Pazzie da forca! - (Foglietti di proclami circolano di mano in mano. - Si sente una voce leggere forte:) «Ridestatevi dunque e contribuite ciascuno nella misura delle vostre forze e dei vostri mezzi a compiere una rivoluzione che farà la vostra felicità e quella delle generazioni future. Salute, coraggio e libertà!» (Clamori, discussioni) - E di chi è la predica? - Di quei d’Alba! - È il proclama di Ranza, Bonafous, Rossignoli, Trombetta... - Tutti matti che guariranno con un giro di corda intorno al collo! - Hanno proclamata la «caduta del tiranno Vittorio Amedeo e la sovranità del popolo»! - Hanno piantato l’albero della libertà! - Vi penzoleranno appiccati! - E l’arcivescovo ha cantato in duomo un Magnificat solenne! - Già, il famoso Ranza ha trovato che il solito Te Deum è stato troppe volte profanato dai realisti! - Vorrei vedere che cosa faranno quei d’Alba colla loro repubblica! - Il gioco dei francesi, si capisce. - Largo, largo! - (Curvi sotto fasci di paglia, quindici, venti soldati passano correndo - Un sergente colle spalline color piombo, una gran sciabola a fodero di cuoio che gli batte bassa sui polpacci, e un cappello a piume rosse in testa, fa il galante in un crocchio di ragazze che si tirano l’una dietro l’altra scontrose e ridono - Tre cavalli attaccati ad un pilastro scalpitano. È l’ora in cui accanto ai picchetti d’armi, nei bivacchi lungo i bastioni e nelle piazze si cominciano ad accendere i fuochi sotto le magre marmitte che fumano. Dinanzi al quartier generale i curiosi levano ora alti stupori al passaggio di due suore che tenendo ciascuna per mano i capi di un grosso paniere si avanzano verso il palazzo Salmatoris, parlamentano colle sentinelle, ed entrano) - Capperi, che buon odore di pasticcini! - Eh, eh! le suore fanno la corte ai generali giacobini. Ecco che li regalano delle loro cialde... - La specialità del convento! - Si trattano bene al quartier generale! - La cantina di casa Salmatoris ha dell’Asti squisito. - In ogni caso, non si può dire che i capi ingrassino! - Avete visto quello giovane? - Il generalissimo? - È magro che fa spavento! - E come è giallo! - E come è brutto! - Ma ha due occhi... due occhi che vi mangiano quando vi guardano!... - Ha un nome italiano. - Credete che valga più di Beaulieu? - Poiché lo ha battuto! - Ma perché Beaulieu ci si è messo di mala voglia, perché Beaulieu ed i suoi austriaci, bisogna dire la parola, ci hanno traditi! - Vedremo che cosa saprà fare... - Se campa, perché con quella faccia non mi ha l’aria di poter tirare innanzi un pezzo! (In un gruppo, l’odore di pasticcini freschi che ha solcato l’aria dietro le due suore, richiama nella mente mille preoccupazioni)... Ed intanto non rimarrà più a Cherasco un sol sacco di farina! - Né un boccone di pane! - Hanno già tirato il collo a tutti i polli! - E tutta questa gente che ha fame bisognerà pure che mangi! - E noi? - Succederanno diavolerie come a Mondovì (Nell’ombra crepuscolare che scende, corsa da brividi di raffiche, rigata di pioggia sottile le «voci» che si diradano, si appartano, se ne vanno, parlano di saccheggi, di orrori, di massacri, di case incendiate, di forni assaltati, di soldati predoni sorpresi e fucilati sull’attimo; narrano della sciagurata caccia agli ebrei fatta dai piemontesi sbandati a Fossano; dicono di chiese devastate, di cascinali rovinati, di parroci malmenati, spogliati, ridotti a tal punto - come il parroco di Dego presso cui aveva preso alloggio l’aiutante generale Monnier - da non aver più un solo tozzo di pane... Poi, un tumulto scoppia all’angolo della strada sull’uscio di una bottega. Corre voce che uno, colto a rubare, sia stato afferrato e condotto via per essere immediatamente passato per le armi. Un comandante ingiuria a grandi grida un oste che non vuole accettare in pagamento degli «assegnati»). Di un po’, tu (è il comandante che urla) forse che vuoi essere anche tu fucilato? Non ci costa che la fatica di metterti contro il muro! Non sai che la carta della Repubblica val meglio dell’oro dei tiranni? Basta, per questa volta chiudiamo un occhio!... La tua ignoranza ti salva!... Ma ti colga io un’altra volta a nascondere i viveri ed a rifiutare gli assegnati e m’incarico io di farti fucilare in mezzo alla piazza per servire di regola e di esempio agli altri! (Come per incanto tutto si è fatto deserto. Da un campanile scoccano lenti nell’oscurità otto rintocchi. Dinanzi al palazzo Salmatoris un sott’ufficiale di cavalleria, giovanissimo, rimasto di fazione si imbatte in un suo connazionale, un piacevole individuo un po’ artista che segue l’esercito per suo diletto facendo schizzi, studi, caricature. I due si riconoscono, si salutano, si scambiano brevi parole).
- L’ufficiale
- - Siete voi, Gros?...
- L’artista
- - Siete voi, Beyle?
- L’ufficiale
- - Aspettatevi per domattina grandi novità... È giunta stasera una staffetta da Torino... Questa notte saranno sicuramente qui i plenipotenziarii del re di Sardegna... Certo ci sarà una interessante veglia al quartier generale!...
- L’artista
- - E credete voi che il «generaletto» oserà trattare contrariamente ad ogni parer del Direttorio? Il suo posto è il campo di battaglia e non il tavolo verde della diplomazia... È un colpo di testa...
- L’ufficiale
- - Oh!... io lo credo capace di ben altri colpi!... Questo non sarà che il primo! E invero, si può essere audaci quando si ha per sé la vittoria!... Vedrete!...
(Senza più profferire parola, i due passeggiavano in su e in giù l’uno a fianco dell’altro come assorti in una profonda meditazione. Ad un tratto, ad una delle finestre del palazzo, che si illumina, si disegna una sottile figura nera, un’ombra caratteristica che i due meditabondi passeggiatori subito riconoscono. E i loro sguardi, fissi sovra quell’ombra, rimangono a lungo, immobili, come affascinati).
* * *
Una vasta sala al primo piano del palazzo Salmatoris. Un gran fuoco arde nel camino altissimo che come un monumento occupa tutta la parete di fronte. I riflessi delle vampe e la luce dei doppieri che ardono su un ampio tavolo in mezzo, non riescono a scoprire tutta la profondità degli angoli lontani, e la camera a mezzo immersa nell’ombra ha qualcosa di anche più grave e di più solenne. In uniforme di generale comandante, stivali e speroni, ma senza sciabola, senza cappello e senza sciarpa, uno smunto pallido giovane di ventisette anni è seduto al tavolo con dinanzi una carta militare tutta irta di spilli. È il generale Bonaparte. I suoi capelli castani e lisci scendono bassi sulla fronte ed ai lati del volto. I suoi occhi sono rossi, affaticati, ma paiono lanciare continue scintille. Al suo fianco, un generale superiore, piccolo, tarchiato, dalla testa grossa, tenace, scorre e legge un fascio di rapporti, operazione che non gli impedisce di rosicchiarsi le unghie quasi ad ogni tratto. È Berthier. A quando a quando degli ufficiali d’ordinanza entrano, recano un messaggio o ricevono un ordine rapido ed escono.
- Bonaparte
- (come astratto nel suo pensiero, seguendo collo sguardo intento le linee topografiche della carta)... Strappare ora l’armistizio al Piemonte, liberare la Lombardia, traversare il Tirolo, raggiungere in Baviera l’armata del Reno, marciare su Vienna... Benissimo!... Il mio piano è completo... e la vittoria non è che questione di rapidità (una sferzata di pioggia sui vetri che tremano sotto la raffica lo ridesta dalla sua meditazione)... Continuate Berthier!... Pulcino!... Credete forse che io non sappia guardare una carta ed ascoltare un rapporto... Voi dicevate, dunque, il caporale Urgel del 32° fanteria...
- Berthier
- (continuando la lettura dei suoi rapporti) - Il caporale Urgel del 32° fanteria, fucilato per aver rubato effetti di vestiario ad un contadino; il soldato Lefort del 51°, fucilato per aver scassinate le porte di una cappella e portati via degli arredi sacri; il caporale Rigolle del 29° cavalleggieri, fucilato per aver aggredito un abitante; il luogotenente Ripart, accantonato presso un orefice ed arrestato perché trovato in possesso d’una spilla e d’una catenella, di cui non seppe spiegare la provenienza...
- Bonaparte
- (scattando, fuori di sé) - ... Sia degradato e fucilato!... Un luogotenente!... Vergogna!... Bisogna essere inesorabili!... Bisogna che gli esempi siano terribili!... Nessuna misericordia pei predoni!... Il predone è il cattivo soldato, il vagabondo, il vigliacco che si nasconde durante la battaglia e non ricompare che dopo la vittoria! (sempre più eccitandosi) E sento anche che nella divisione di La Harpe si sono commessi degli orrori!... Voglio la verità...
- Berthier
- - La divisione di La Harpe è ieri assolutamente mancata di pane e gli abitanti, poverissimi essi stessi, non hanno potuto soddisfare alle requisizioni.
- Bonaparte
- - È inconcepibile come con Mondovì dietro di noi si manchi di pane. Il municipio di Mondovì deve a quest’ora avere inviate le requisizioni a Serrurier!
- Berthier
- (consultando le sue carte) - Come era stato richiesto: 8000 razioni di pane, 3000 di biscotto, 8000 di carne, 4000 bottiglie di vino... Inoltre, 30.000 razioni di biscotto sono state inviate a Lesegno e 1000 alla Bicocca alle truppe del generale Joubert...
- Bonaparte
- - C’è un errore!... Le razioni per Joubert debbono essere state 1500!
- Berthier
- - Infatti, 1500.
- Bonaparte
- (nervosissimo, prende a lanciare violenti colpi di temperino nei bracciali del seggiolone dove è seduto) - Caro Berthier, pensano già troppo quelle canaglie del servizio d’approvvigionamento ad imbrogliare i conti! (Trascinato dalla collera, violentissimo) Sanguisughe!... Briganti!... Ed ecco i personaggi di fiducia di quei signori del Direttorio. Gli impresari si arricchiscono sulla fame dei soldati! Smascheriamo senz’altro i dilapidatori. Bisogna che l’esercito li conosca! Il capobanda di tutti quanti, quello svizzero... quell’Haller non ha egli detto che bisogna far fortuna in sei mesi? (Levandosi in piedi) Berthier, fate eseguire questi miei ordini all’istante... Massena invii a Lesegno un ufficiale fermo ed attivo per impedire il saccheggio!... Il commissario di guerra Descamps parta per Ceva, dove veglierà alle distribuzioni dei viveri... Il commissario Mazade si incarichi di Mondovì...
(Gli ordini echeggiano sull’attimo dalla sala traverso i corridoi, gli atrii, i cortili del palazzo, dove staffette, corrieri, ufficiali d’ordinanza attendono in permanenza. Bonaparte tende l’orecchio. Già i cavalli giù in basso raspano impazienti di partire; per le scale tintinnano speroni affrettati, si sentono porte aprirsi e chiudersi sbattendo e risuonare brevi appelli di comando. Si obbedisce. Il generale si ripiega nuovamente sulla sua carta, ma nella sala, - coperto di fango da capo a piedi, come smontato in quel punto da cavallo dopo una lunga corsa, - è in quella entrato un ufficiale apportatore di un messaggio. Bonaparte, impazientissimo, lo strappa quasi di mano al messaggiero, lo schiude, e lo scorre cogli occhi balenanti, ma senza dare a vedere la menoma emozione).
- Bonaparte
- (dopo aver letto, ed aver ripiegato il dispaccio colla massima calma) - Credete voi, Berthier, che si possa improvvisare questa notte un po’ di cena? Avremo degli ospiti, sul tardi... Bisognerà provvedere!... (Dopo aver riflettuto, ridendo) Le cialde delle suore sono proprio venute in buon punto!... Se non avremo altro da offrire offriremo quelle... Volete sapere chi aspettiamo?... Leggete!...
- Berthier
- (a cui Bonaparte ha dato il dispaccio ricevuto, legge queste parole) - «Il generale De la Tour ed il colonnello marchese Costa di Beauregard, delegati del re di Sardegna presso il generale Bonaparte, sono in viaggio per Cherasco, dove giungeranno verso le undici... Sono scortati dal capitano di cavalleria Seyssel, dal luogotenente Morozzo della Rocca e da un picchetto di dragoni».
- Bonaparte
- - Si avvertano Massena, Angerau, Serrurier... Tutti gli ufficiali dello stato maggiore si trovino a disposizione. (Gaiamente) Sapete, Berthier, che ci troviamo in male acque?
- Berthier
- - In male acque quando il nemico che abbiamo vinto viene a rimettersi ai nostri patti?
- Bonaparte
- - Ciò non toglie che le nostre condizioni e le nostre posizioni siano pessime... Il nostro esercito? Ma non ha per così dire né artiglieria né cavalleria... e la fanteria manca di calzature. Le nostre posizioni? Precariissime. Se il re, ricordandosi di quello che ha fatto il suo avolo Vittorio Amedeo II nel 1706 pensasse di tener fermo a Torino, richiamando dalle Alpi una parte delle truppe del principe di Carignano a sorreggere Alessandria e Valenza; se la coalizione avesse l’idea di inviare dal Reno rinforzi nel Piemonte, noi potremmo benissimo essere cacciati dall’Italia con altrettanta rapidità quanto quella con cui ci siamo venuti. Che cosa potremmo fare noi contro piazze come Torino ed Alessandria, per esempio, sprovvisti affatto, come siamo, di cannoni d’assedio? Poi gli assedii non convengono affatto allo spirito del soldato francese, fatto per le azioni rapide e decisive... La rivoluzione su cui la Corte crede noi appoggiamo e contiamo?... Ma in Piemonte non esiste rivoluzione! Il terreno non ne è maturo. La repubblica d’Alba è una creatura nata morta! Questi repubblicani che declamano, che banchettano, che imbrattano proclami non sono gente pericolosa! Tutto quello che possiamo farne è servirci di loro come spauracchi!...
- Berthier
- (sconcertato) - E allora?
- Bonaparte
- - Allora non ci rimane che di usare del solo vero vantaggio che le nostre vittorie ci hanno dato sul nemico: del vantaggio morale. Bisogna che esso non abbia il tempo di riflettere, di pensare, di fare i propri calcoli, comprendere che effettivamente è il più forte... Bisogna che noi profittiamo del suo stordimento, del suo sgomento e della sua demoralizzazione... Quanti prigionieri fuggiti ieri?
- Berthier
- - Otto... Si sono lasciati scappare, come avete ordinato...
- Bonaparte
- - Benissimo! Essi non avranno mancato di diffondere la voce che noi abbiamo l’intenzione di marciare su Torino ed aiutato ad aumentare il panico. Ci contavo! Come se prendere Torino sia tal quale bere una tazza di latte! ... Ma bisogna che lo credano, bisogna che le immaginazioni ne siano impressionate, sgomente... (Dopo essere rimasto un momento soprapensiero) Berthier, volete una verità sacrosantissima!... È coll’immaginazione che si governa il mondo!...
- Berthier
- (fra sé) - E Beaulieu che si era messo in mente che «era tanto facile dare una buona lezione a questo giovinastro»!
- Bonaparte
- - Voi disporrete tutto, Berthier. Fate chiamare il segretario Arnoult... Ma non si abbia l’aria di aspettare nessuno!... (Chiamando un valletto) Grizzi, il mio bagno!... Per un paio d’ore diamo un giro di chiave ai pensieri. (Il valletto lo precede con un candelabro). Mi lascerete riposare fino alle dieci e mezzo!... In genere, entrerete nella mia camera il meno possibile... Non mi svegliate mai quando avete da annunziarmi una buona notizia!... Una buona notizia può attendere... Se si tratta però di una notizia cattiva, tiratemi dal letto anche colla forza, perché in questo caso non c’è un istante da perdere... Arrivederci alle undici, Berthier!...
(Bonaparte esce. Sembra che il messaggio ricevuto gli tolga dal cuore un gran peso. Per un’abitudine d’infanzia, un’abitudine côrsa in lui persistente e che si rinnova ogni qualvolta un pericolo è superato, si fa sul petto col pollice un rapido segno di croce. Poi, il palazzo pare immergersi nel sonno. All’esterno, nessuna luce, non un’anima viva. All’ingresso, negli atrii, nel cortile, né cavalli, né furgoni, né muli d’equipaggio, né domestici. Le sentinelle sonnecchiano - L’intera città riposa nella calma e nel silenzio).