Poesie (Ragazzoni)/Parte prima/I bevitori di stelle
Questo testo è completo. |
◄ | Parte prima | Parte prima - Ascensione | ► |
a Leonardo Bistolfi
Le notti che non c’è la luna,
le lucide notti d’estate
che il cielo la terra importuna
4col lampo d’innumeri occhiate,
— occhiate di stelle! — e le cose
(che troppo si sentono addosso
le tante pupille curiose)
8mal dormono un sonno commosso,
è allora che vengono fuori,
e, a un fiume che sanno, in pianelle,
s’avviano giù i bevitori
12di stelle per bere le stelle,
le stelle piovute in riflessi
nell’acqua. Bocconi, alla scabra
si gittano, sponda, e sott’essi
16han liquido un cielo alle labra.
E bevono, bevono e dalla
profonda quïete del fiume
si vedon fiorire essi a galla
20— offerto al lor giubilo — il lume
dei mondi lontani, e le ghiotte
sorsate s’affannano a bere,
nell’acqua ove nuota, la notte,
24il fosforo e l’or delle sfere.
Le turbe beate son esse
di quelli che vivon di sogni,
d’azzurro, di terre promesse,
28di limbi siderei, d’ogni
castel che si dondola in aria,
di quei che le fate morgane
richiaman con nuvola varia,
32e le principesse lontane.
Ma non — a purpuree treccie
d’audaci comete afferrati —
si lanciano a schiudere breccie
36nel ciel, verso cieli ignorati,
non essi, con tese le scotte,
frugando lontano per l’onde
vedranno balzar dalla notte,
40nell’alba le nuove Golconde;
non mai, con lo scettro nel pugno,
(re magi orditori d’incanti),
trarranno le rose di giugno
44dal grembo dei verni tremanti.
Se cercan di là dalla vita,
di là dalla meta altre mète,
se l’anima dolce han smarrita
48a caccia di nubi, ed han sete
d’azzurro, di terre promesse:
di limbi siderei, d’ogni
miraggio che in aria si tesse;
52è sol per gonfiarsene i sogni.
Flemmatici Ulissi, argonauti
che insegne d’ostiere han per bussola,
e donchisciottini ben cauti
56impantofolati di mùssola,
così piano piano, uno ad uno,
levatisi tardi da pranzo,
sen vanno — nel grado opportuno —
60a beversi un po’ di romanzo.
Tra i nembi a ghermirsi il suo mondo,
per gioghi intentati altri salga;
più giova cercarselo al fondo
64d’un flutto, tra qualche fil d’alga;
e quelli — a portata d’un sorso —
d’ebbrezze ne han mille milioni,
(quanti Aldebarani in lor corso
68mulinano i cieli, ed Orioni!)
E bevono, bevono, e i diacci
sommersi fantasmi degli astri,
per loro han più fascini e lacci
72degli astri viventi, i grand’astri.
Borbottano l’acque. Dai margini
s’allungan le lingue volubili,
e l’ugole, libere d’argini,
76esultan di liquidi giubili.
Gorgogli, glu-glu (giù pei vicoli
dell’epa) di gocciole garrule,
arpeggi qua e là — dai ventricoli —
80di blandule bolle bizzarrule.
Aneliti come d’armenti
raccolti ad abbeveratoi,
sospiri, sussulti repenti,
84d’alcun che tropp’avido ingoi.
Null’altro nell’ombra s’intende;
null’altro, se non questa sola
orchestra di fauci in faccende,
88stromenti ineffabili a gola.
E quelli tracannano, e dalla
profonda quïete del fiume,
fiorisce lor tremulo a galla
92il ciel col suo fervido lume.
Ma vedi, miseria! La stella
che in gocciola al labbro s’approccia,
al labbro si nega e ribella,
96tal bacio che s’offre, e non sboccia.
Eppure — mirabile caso! —
allora che levano in suso
il mento i beventi, ed il naso,
100un cielo in lor credono chiuso,
e (quasi s’avessero i mondi
davvero vibranti e commossi
nell’acqua de’ lor ventri tondi,
104com’entro un boccal, pesci rossi),
si rizzano in piè, trïonfali,
ed empiono l’ombra di ciancia,
strillando i sublimi ideali,
108di cui hanno gonfia la pancia.
Ognun sembra in estasi, ognuno
par preso da dolce delirio:
— Mi sono bevuto Nettuno!
112— Mi scende nell’ugola Sirio!
— Me Venere inzuppa! — Portento,
traspiro Mercurio! — Ed io Marte!
— Io l’Algol del Pérseo sento
116filtrarmi nel cor da ogni parte!
Io Giove! — Altair! — Vega! — Arturo!
È quasi una gara. Un signore
strillando proclama: — Vi giuro,
120che in corpo ci ho l’Orsa Maggiore!
— Che buona, Alcïone! — che aroma
fermenta la Vendemmiatrice! —
— È come un sciroppo, la chioma
124sidërea di Berenice!
— Per me, questo infuso di sfere
virtù diuretiche ha rare...
— Sui piedi — volete vedere? —
128vi sprizzo la Stella Polare... —
Le voci s’incalzano, e un dotto,
il labbro leccandosi tumido,
proclama che non c’è decotto
132che valga un Empireo in umido...
Le Jadi, le Pleiadi, l’Orse
e le nebulose; i zodiaci,
là in alto non tremano forse
136quant’ora, in quest’otri elegiaci?
Così, cotti a punto, i compari,
(fradici di poësia)
esaltano in lieti parlari
140il ciel divenuto osteria...
Poi tutti (li vidi una volta)
si danno a una danza simbolica,
coll’arte e la grazia raccolta
144d’idropici ch’abbian la colica;
idillici grilli un po’ brilli
fra i timi squillando — per loro! —
un trito concerto di trilli,
148sottile zampillo canoro.
Li vidi una volta... E «Ben giunto»
— l’un d’essi mi disse — «fra noi...
L’inter firmamento abbiam munto...
152Ma ancor stelle restano. — Vuoi?
«Vuoi tu con noi scendere? Mentre
sei qui, puoi levartene l’uzzolo.
Mi senti un tintinno nel ventre?
156Son stelle sonanti. Ne ho un gruzzolo.
«Ve n’hanno di bianche, di gialle,
di rosse; infinite ne sgorgan,
assai più che dòllari dalle
160scarselle di Carnegie e di Morgan.
«Ti basta piegare la schiena
e mettere fuori la lingua;
così vai agli astri, e d’avena
164celeste così ci s’impingua...».
Parlava, ed or quella ed or questa
di stelle m’offerse: una ad una...
Ma dissi di no. — Nella testa,
168ci ho già, che mi gira, la luna...