Poesie (Parini)/VII. Odi/II. Nella festa di sant'Ambrogio

II. Nella festa di sant'Ambrogio

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II. Nella festa di sant'Ambrogio
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II

NELLA FESTA DI SANT’AMBROGIO

[1752?]

O d’Insubria superba alta reina,
che da’ tuoi figli hai gloria e lor la imparti,
ben gir di te medesma altera e balda,
ben ti vegg’io, poiché le nobil’arti
5e i sacri studi e l’alta e pellegrina
fama dell’opre tue si chiara e salda,
ogni cantor d’un bel foco riscalda.
Ma chi, veggendo il puro e largo fonte,
dará nome al suo rio, che d’alto caggia?
10Chi, mentre il sol tutto in bel cerchio irraggia,
suoi vaghi effetti innalzeralli a fronte?
Non io tue lodi conte
farò; ma di colui, che in te sol spande
quanto, Milan, se’ bella oppur se’ grande.
15Folle chi primo un nero spirto immondo
bestemmiando chiamò genio del loco:
e i patri muri e i dolci amati campi
a lui diè in guardia e ’l famigliar suo foco.
Hanno i celesti sol cura del mondo:
20essi fan che virtude in terra stampi
sue lucid’orme: e Lui che di sé gli ampi
abissi ingombra, in loro man la cura
dell’uom commise; e in lor custodia ei diede
qual piú si piacque a lui terrena sede:
25però s’ognor piú bella e piú secura
e di luce piú pura,

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o madre inclita mia, ognor ti fregi,
ben dèi saper cui tu debbi i tuoi pregi.
Chi fu che i tuoi pensieri a Dio rivolse
30onde ogni ben deriva, e a le tue preci
e a’ tuoi culti diè norma e nome ancora?
Ambrosio ei fu, che i latin riti e i greci
e i tuoi puranco in un bel nodo accolse,
onde l’ordin tuo sacro alto s’onora;
35e dal ciel sopra te trae grazie ognora,
sicché per lui ne’ tuo’ fòri e ne’ tempi
tu sovr’ogni altra terra il capo estolli,
emulatrice de’ romulei colli.
Ei te dagli esecrandi e stolti esempi
40forte purgò degli empi,
quale il vigil cultor sterpa anco acerbe
le infelici dal campo inutili erbe.
Né, poiché del gran Padre in ciel lo spirto,
sciolto del nostro fral, giunse al suo meglio,
45ei t’obliò; ch’anzi i tuoi crudi affanni
mirò pietoso nell’eterno speglio;
e ratto ei corse; e ’l sanguinoso ed irto
tuo crin ritolse ai barbari tiranni:
e d’implacabil’ire acceso, ai danni
50scese de’ tuoi nimici. Ecco il re gallo
tuo traditor, ch’a Malaspina il nome
diè con sua morte, ancor alza le chiome
per cui passò la fatai punta, ond’hallo
punito ei del suo fallo,
55il di, che gli mostrò in si chiare note
che le minacce sue non tornan vuote.
Conrado, e tu, qual gelo allor ti corse
a ricercar tutte le vene e Possa
e ad agghiacciarti ’l seno, allor che in alto
60scorgesti Ambrosio con mirabil possa
brandir suo ferro? Di tua vita in forse
ben fosti il di ch’ai suo celeste assalto

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caddero i tuoi; e risonar dell’alto
suo furor fra le nubi udisti il tuono.
65Misero! a che t’addusse il volger Tarmi
contro a la sua cittade, allor ch’ei s’armi
in suo favore? Udisti il fiero suono
di sue folgori: e prono
tei vedesti sul capo andar vibrando
70incontro a te Tinesorabil brando.
Fra’ tuoi buon giorni ogni anno il di ritorna,
Milan felice, oh di chiaro e beato!
quando incontro mirasti al tuo rubello
figlio, Ambrosio venir dal cielo armato;
75ed a’ nimici tuoi fiaccar le corna
col crudo inevitabile flagello.
Oh come allor l’inviperito e fello
suo corridore urtò Tarmate schiere,
rotando ei la gran ferza! oh come al piano
80stese il nemico, resistente invano;
e di bei lauri ornò le tue bandiere!
Tanto pungenti e fiere
gli furo al cor le tue sventure; e tanto
cálsegli ognor di rasciugar tuo pianto.
85Ma non creder però lui si pietoso,
che teco ancor de la paterna sferza
non usi: il genitor, ch’ama il suo figlio,
non sempre dolce il guarda, e con lui scherza;
ma spesso ancor dentro al suo petto ascoso
90manda gli sdegni a balenar sul ciglio.
Tale Ambrosio vèr te: nel tuo periglio
del nume offeso ei ti fa scudo all’ire;
ma poi, ministro del gran braccio eterno
fatto, a te mostra con valor superno,
95che ben può nulla chi non può punire.
Cosí all’eterno sire
tal fe’ voti pe’ suoi, del Sina in vetta,
chi poi tanta ne scese a far vendetta.

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Volgi d’intorno il guardo; e vedrai Torme
100de’ suoi gastighi nel tuo corpo impresse.
Chi credi tu che tante in varia etade
dall’estremo aquilone armi spignesse
a rovinarti in si barbare forme?
Non, quale al vulgo appar, la tua beltade
105incontro a te le pellegrine spade
non allcttò, come il bel vello a Coleo
trasse i legni primier; ma gli error tuoi
punser, tacendo Ambrosio, i lenti buoi
ad ararti per mezzo orribil solco!
110mentre il crudo biflfolco,
de’ tuoi pianti e sospir duro al gran nembo,
spargeati ’l sai sterminatore in grembo.
Entro al bell’orbe di tue mura in tempio
sacrata al tuo gran Padre augusta mole
115s’alza vittrice del millesim’anno.
Ben al gran veglio alato incresce e duole;
ma toccar non Tosò giammai, né Tempio
barbarico furore a lei far danno,
però ch’ivi a posar le membra stanno
120sante di lui, ch’è tuo presidio e scorta.
Quivi però, se tu desii che ’l cielo
mai piú d’atro ti copra infausto velo,
di tue felicitá quivi è la porta;
indi vedrai risorta
125un’aura, che le nubi oscure et adre
sgombri, pur che tu ’l chiami: — O padre, o padre! —
Ben se’ rozza, o canzon; ma innanzi all’ara
n’andrai pur di colui, cui tesser godi
piccol fregio di versi; e ’l pregherai
130che dell’eccelso tuo platano, ond’hai
vita ed onor, gli caglia; e i dolci modi,
che suonan di sue lodi,
ei non sdegni, e lo stuol de’ cigni arguto,
ch’a lui fa di bei carmi annuo tributo.