Poesie (Parini)/I. Opere drammatiche/I. Abbozzi/2. Abbozzo dell'Ascanio in Alba
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ABBOZZO DELL’«ASCANIO IN ALBA»
Era antica fama tra gli abitanti del delizioso e fertile paese dove poi fu Alba, che sarebbe un giorno venuto un giovane straniero della stirpe di Venere ad abitarvi, e sposarvi una nobilissima ninfa della stirpe generosa di Ercole, e a compier la felicitá di que’ popoli assumendone il governo. Il giovane straniero era Ascanio che giá da qualche tempo vivea quasi sconosciuto per informarsi delle qualitá del paese e della ninfa. Erasi egli di lei innamorato ed ella di lui, non conoscendolo per Ascanio.
Venere avea giá da gran tempo assunto la protezione del paese, ove fu poi fabbricata Alba; poiché era sua mente di stabilirvi Ascanio, celebre figliuolo d’Enea. Era pure antica fama tra gli abitanti di quella fertile e deliziosa regione, che sarebbe un giorno venuto un giovane straniero del sangue di Venere stessa ad abitarvi, a sposarvi una nobilissima ninfa della stirpe generosa di Ercole. Di fatti una ninfa chiamata Silvia, discendente da quell’eroe, veniva con ogni diligenza allevata sotto la tutela d’un antico sacerdote, perché crescesse al compimento di quelle future speranze; ed Ascanio, cosí ammaestrato da Venere, vivea giá da qualche tempo sconosciuto in quelle contrade per informarsi delle qualitá del luogo e della ninfa, della quale erasi poi innamorato. La ninfa medesima, benché non sapesse né la condizione, né il destino d’Ascanio, e l’avesse poche volte veduto, era pure accesa di lui, massimamente per la riputazione delle sue virtú. Ma non osava però ella di manifestare il suo amore, anzi faceva ogni sforzo per reprimerlo, sapendo a quale altro sposo la riserbava il destino, e l’interesse della patria. Correva il giorno in cui solevano que’ popoli solennemente sagrificare a Venere in rendimento di grazie della protezione e degli insigni benefici ch’ella lor compartiva, e supplicandola a mandar la sua promessa progenie a governarli, quand’ecco la stessa divinitá comparisce dal cielo davanti a tutto il popolo radunato, dicendo esser lei finalmente venuta ad appagar le loro brame. Rimase a tale annuncio fortemente turbata la ninfa, la quale si credette in punto di dover rinunciar per sempre al diletto Ascanio, per legarsi a quello sconosciuto, che a lei verrebbe destinato dal cielo. Combattè ella gran tempo fra i vari affetti che portava la sua circostanza; ma finalmente, generosa com’egli (sic) era, si risolvette di posporre la sua privata felicitá alla comune della patria. Presentasi adunque al popolo, a Venere, all’ara. Giá vi accosta la mano per giurare, domanda quale sia io sposo che Venere le destina; e con sua infinita e dolcissima sorpresa vede accennarsi Ascanio, quel medesimo ch’ella tanto amava. Si celebrano le nozze fra le lodi date agli sposi ed a Venere, e fra la comune contentezza del popolo che vede portata al colmo la sua felicitá. Sulla base di questi pensieri si potrebbe tessere una breve e semplice azione capace d’affetti e di varietá, e d’un genere di spettacolo campestre e gentile quale si desidera, e continuamente allusiva alle circostanze del matrimonio di S. A. R.