Poesie (De Amicis)/Invito alla villa
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INVITO ALLA VILLA
a Enrico Panzacchi.
Son qui nella villetta
In un sopor profondo,
Lento e meditabondo
Giro di vetta in vetta;
Non leggo una gazzetta,
Non so che avvenga al mondo,
Non scrivo, non rispondo,
Non faccio una saetta.
Parlo coi paesani
Di vacche e di galline,
Colgo le insalatine
Fresche con le mie mani;
Tiro dei torsi ai cani,
Sbircio le contadine,
M’affaccio alle chiesine
Nascoste dagli ontani.
Incontro pei sentieri
I preti della Pieve;
Mi dicono: — Si beve?
Rispondo: — Volentieri!
Scontro i carabinieri
Dal passo lento e greve,
Giro spedito e lieve
Intorno ai cimiteri.
Muto, chiudendo gli occhi,
Penso a lidi lontani,
Sull’orlo dei pantani
Sto a sentire i ranocchi;
Taglio bastoni e stocchi
Dagli alberi montani,
Butto cicche ai villani
E spiccioli ai marmocchi.
Sbocco da macchie ombrose,
Mi trovo in faccia ai monti;
Varco su vecchi ponti
Acque precipitose;
Entro in mezzo a muscose
Rocche d’antichi Conti,
Bevo a gelate fonti
E fumo tra le rose.
O fo un’allegra gita
Con qualche campagnolo;
Si stende il tovagliolo
Sull’erbetta fiorita;
Si mangia con le dita
Un pollo e un cetriolo,
Si trinca del Barolo,
Si pianta una dormita.
Quando una bell’acquata
Ci rompe il desinare,
Si fugge a un casolare,
Si fa una gran fiammata;
Si mangia una bruciata
Da qualche pia comare,
Si cova il focolare
Facendo una pipata.
Poi scendo giù pei dossi
De le colline belle,
Sotto le pioggerelle
Degli arbuscelli scossi;
Salto ruscelli e fossi
Ridendo a crepapelle,
Spruzzo le villanelle,
Colgo i funghetti rossi.
E son viste divine
Dal sommo d’ogni altura;
È un manto di verzura,
È un mare di colline;
È un riso senza fine
Dai monti a la pianura,
È l’aria immensa e pura
De le vallate alpine.
Ed io solo soletto
Tutto contemplo e ammiro.
Dal cielo di zaffiro
Al fiore di mughetto;
Seguo il vol d’un insetto,
L’odor d’un’erba aspiro,
Scendo, risalgo, giro.
M’arresto ad ogni tetto,...
Poi, di sudore asperso,
A casa mia ritorno,
E par che a me dintorno
Sorrida l’universo;
E se non feci un verso
In tutto il santo giorno,
Non me ne importa un corno,
Il tempo non l’ho perso.
No; tra le messi e i fiori.
Tra quei ridenti aspetti
Fo meglio che sonetti
Da dare agli Editori!
S’apre il mio cor, gli umori
Si fan più vivi e schietti.
S’innalzano gli affetti,
Svaporano i rancori.
Così, Rico diletto,
Passo i miei dì sereni;
Verrai? Se ti sovvieni.
Scrivesti: — Lo prometto.
L’albergo è poveretto,
Ma i colli sono ameni;
Annunziami che vieni
E ti preparo il letto.
Troverai forse ancora
Dei dolci di Torino,
Fichi del mio giardino
Raccolti sull’aurora,
Un burro che innamora,
Un cacio sopraffino,
Un succo porporino
Che ispira un inno all’ora.
Vieni; i tuoi santi dritti
Rispetterò, lo giuro:
Grazie al Signor, son puro
Del peggio dei delitti,
Gli ospiti derelitti,
Com’altri, non torturo;
Vieni franco e sicuro,
NON LEGGO MANOSCRITTI.
- Cumiana, settembre 80.