Poesie (Campanella, 1915)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/34. Che la malizia in questa vita e e nell'altra ancora è danno, e che la bontà bea qua e là

34. Che la malizia in questa vita e e nell'altra ancora è danno, e che la bontà bea qua e là

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34. Che la malizia in questa vita e e nell'altra ancora è danno, e che la bontà bea qua e là
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34

Che la malizia in questa vita e nell’altra ancora
è danno, e che la bontà bea qua e là

Seco ogni colpa è doglia, e trae la pena
nella mente o nel corpo o nella fama:
se non repente, a farsi pian pian mena
la robba, il sangue, o l’amicizia, grama.
Se contra voglia seco ella non pena,
vera colpa non fu: e se ’l tormento ama,
ch’è amaro a Cecca e dolce a Madalena,
per far giustizia in sé, virtú si chiama.
La coscienza d’una bontá vera
basta a far l’uom beato; ed infelice
la finta ed ignorante, ancor ch’altèra.
Ciò Simon Piero al mago Simon dice,
quando volessim dir che l’alma péra,
ch’altre pur vite e sorti a sé predice.

Notabile sonetto per far conoscere che il male punisce l’uomo da sé subito e che, quando non è vero male, non porta pena contra il volere. E che la coscienza netta può bear l’uomo. E, quantunque l’alma fosse mortale, è piú beato chi vive bene e puramente che gli malfattori. Questa sentenza è di san Piero in san Clemente [p. 84 modifica]romano, dove risponde a Simon mago, che dicea che con la speranza dell’altra vita perdiamo la presente. E nell’ultimo verso pruova che sia immortale, perché essa alma ha tali sillogismi efficaci a provarlo; e trovansi oltre le profezie e religione.

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Che ’l principe tristo non è mente della repubblica sua

Mentola al comun corpo è quel, non mente,
che da noi membra a sé tutte raccoglie
sostanze e gaudi, e non fatiche e doglie;
ch’esausti n’ha, come cicale spente.
Almen, come Cupido, dolcemente
ci burlasse, che ’n grembo della moglie
getta il sangue e ’l vigor, che da noi toglie,
struggendo noi, per far novella gente.
Ma, con inganno spiacevole, in vaso
le sparge o in terra: onde non puoi sperare
alcuna ricompensa al mortal caso.
Corpo meschin, cui mente ha da guidare
piccola in capo piccolin, c’ha naso,
ma non occhi, né orecchie, né parlare.

Arguto e dotto modo di mostrare che il principe epicureo macchiavellesco è mentola, e non mente, del corpo della Repubblica, secondo doverebbe essere, come gli filosofi dicono; se bene l’autore dice che il re è cuore o testa, ma anima è la religione, contra Aristotile, nel libro della Monarchia del Messia. Questo sonetto vuol attenzione. Nota con che arguzia dice che la mentola di Cupido almeno dá gusto, se ben c’inganna con falso gusto per tôrci la sostanza e far altri uomini di quella; ma il principe tristo ci mangia con disgusto, e senza speme di frutto pensa, perch’è cieco, senza lingua e senza orecchie.