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Poesie (Antonio di Guido) II


 
Dormi Giustíniano e non aprire
gli occhi a veder le tue leggi corrotte,
ché, veggendol, faresti mille morti;
vedresti chi più erra il buon punire,
5e que che son nella più tetra notte
son que’ che si ripùtano e più acorti;
rapine, incendi e torti
s’usano in cambio di tua data legge.
Nella pecoril gregge
10si truova una caterva d’aspri lupi,
c’hanno i ventri sì cupi,
che ciò che pòn veder non gli ríempie;
né più ròse le tempie
Tideo di Menelippo, ch’oggi questi
15fanno agli agnei più mesti.
Però, Giustinían, dormiti in pace,
e lascia a me veder quel che mi spiace.

Io veggio Circe andar col vessillo alto
che mai non ebbe nella sua pastura
20turba quant’oggi trasmutata in fere;
e però, se d’un duolo a molti salto,
qual maraviglia poi che la natura
veggio quasi corrotta in aparere?
Chi più sa vuol tacere,
25ché sa ch’è meglio il silenzio che ’l tedio.
O Iddio, ponci rimedio,
e non voler che’ buon perin pe’ pravi!
Molti si tengon savi,
che son poi stolti a punto di ragione;
30ma questa oppeníone
gli terrà sempre in calamità strema.
La vita ogni dì scema,
e fassi in questo picciol corso tanto
di mal, che m’è cagion d’amaro pianto.

35Anticamente si solea usare
s’alcun vedea il suo prossimo afflitto,
quel sovenir con ogni ingegno e arte,
consigliarlo, essortarlo e reparare
per preservargli il suo stato diritto,
40sanza lasciarlo mai da niuna parte.
Oggi con false carte
testimoni, spergiuri e omicidi
par che ciascun si guidi,
e chi me’ lo sa far, quel ci val più;
45el dir voi e ’l far tu
per la volpina calle sempre s’usa,
ogn’altra strada è chiusa,
e ’n questa è tanti e tali adulatori
che voglion che gli errori
50sien singular virtù; ond’io rimango
quasi confuso e sol di questo piango.

Non son più quelle donne altere e belle,
che solièno imperare in questa vita,
e non son morte no, ma vive in cielo,
55dov’è quel sol ch’allumina le stelle,
dove la vista lor non è impedita,
dove non è dolor, caldo, né gelo,
né d’ignoranza il velo,
e sette e sette donne ornate inseme
60di pulcre díademe,
che s’abracciano insieme en vista allegra;
e questa parte negra
hanno lasciato a noi miseri e lassi,
con pensier vani e bassi,
65in compagnia di sette ardenti furie
onde tutte le ’ngiurie
per mezzo di costoro a Dio si fanno,
tal ch’io piangerò sempre questo danno.

Chi sa lo stile imitar d’Antenòre,
70di Tolomeo, di Cassio e di Bruto,
quello è colui che si dice eccellente;
ma chi fosse un solenne detrattore
e ben doppio e fellone, è ricevuto,
e vuollo ognun per amico e parente;
75e chi è più diligente
a fornicare, a strupi e sacrilegi,
quello è di maggior pregi;
e chi fosse filosafo morale,
divino o naturale,
80è sì in dispetto all’ignorante turba,
ch’ognun la via gli sturba
con antri e con iscogli e lacci e spine,
tal ch’al debito fine
giugner non può colle diritte tempre:
85piangere ho pianto, e credo pianger sempre.

— Canzon piena di lagrime e sospiri,
fatta ove surge una tranquilla fonte,
c’ha volto il corso suo verso oríente,
dove regge le piante il maggior monte
90che presso a Fiesol sia verso occidente,
dipartiti da me pien di martiri
e ne’ floridi giri
va’ dove tu vedrai in bruna vesta
una efige modesta.
95Amator di virtù fa’ che ti legga,
e pregal che corregga
e mancamenti tuoi, e di’ ch’io spero
anche intender da lui s’io dico il vero.