Platone in Italia/LXXI. Di Cleobolo a Mnesilla - Capua - Lusso, voluttà, gladiatori

LXXI. Di Cleobolo a Mnesilla - Capua - Lusso, voluttà, gladiatori

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LXXI. Di Cleobolo a Mnesilla - Capua - Lusso, voluttà, gladiatori
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LXXI

Di Cleobolo a Mnesillá
Capua. Lusso, voluttá, gladiatori

[Capua è la piú grande e ricca cittá d’Italia — Ma tutto vi langue — Della cosa pubblica non s’occupano se non coloro che debbono ancora far fortuna — Ritratto d’un giovane senatore capuano — Com’egli amministri la giustizia — I vasi capuani — Gli spettacoli pubblici — I gladiatori — Le donne — Una patrizia capuana — Sua indifferenza per la famiglia.]

Ho passato il Matese ed il Tifata, e dico, siccome Diogene quando da Sparta era ritornato in Atene: — Son passato dall’appartamento degli uomini a quello delle donne. — Quando era sulla vetta del Matese, vedeva al tempo istesso e l’uno e l’altro mare; ma da quella parte, ove tu sei, l’aere era puro e sereno; nebbioso dalla parte opposta <0. Tu puoi indovinar da qual parte eran rivolti i miei sguardi. Capua è senza dubbio la piú grande e la piú ricca cittá d’Italia. La pianura, in mezzo alla quale siede, è la piú nobile e la piú fertile di tutte. Il Volturno le apre la comunicazione con un mare portuosissimo e frequentatissimo. Sul mare, a mezzogiorno è Sinuessa, Cuma, Pozzuoli, Napoli, Nuceria; a settentrione, entro terra, Cale e Teano; tra il mezzogiorno e l’oriente, Nola; ed in mezzo di tutte siede Capua siccome regina. Ora non mi sembra (i) Questo fenomeno è costante sul Matese. [p. 198 modifica] piu inverosimile ciò che si narra di aver gli stessi numi fatta guerra pel dominio di queste contrade ú). La guerra dura ancora. I presenti abitatori di Capua sono appena cento anni da che l’han conquistata, uccidendone crudelmente gli antichi, dai quali erano stati accolti come amici <*>. Ed oggi essi vivono in modo che ben invitano nuovi conquistatori a ripetere lo stesso esempio. Né mancherá chi ripeta l’entimema che allora fecero i sanniti contro gli etrusci: — Noi siamo i piú forti, dunque noi dobbiamo essere i padroni — Ma gli antichi esempi sono perduti per i capuani. La natura ha fatto questo suolo e questo cielo per godere, e non si gode che nel momento presente. Memoria del passato, previdenza di avvenire, sono due flagelli della vita. Di disciplina militare neppur l’ombra. Pare che la natura istessa l’abbia eternamente sbandita da questa cittá M. Degli affari pubblici si occupan quei solamente che debbono ancor fare una fortuna: chi giá l’ha fatta, non vuole degli affari altro che gli onori esterni, e non sai se sia piú geloso di questi o piú nemico della fatica. Vuole al tempo istesso esser egli il pretore e che un altro eserciti la pretura. Ho conosciuto un giovine senatore. Mi ha invitato a lautissima cena. Ho passata tutta la giornata in sua casa. Egli era tutto odoroso di unguenti, e giuocò per molte ore ai dadi. Quando furon le dieci : — Per Giove ! — disse — non mi ricordava che oggi si tengono i comizi! Ehi !... — e chiama un suo servo — va’ subito nel fòro, e vedi che cosa vi si è fatta; chi ha dato il suffragio e per chi... No: aspetta... Or mi ricordo che debbo uscire io stesso. Vi è una maledetta lite che mi obbliga ad andar in persona al tribunale. Che mestiere facchinesco è mai quello di amministrar la giustizia in una cittá nella quale questa canaglia di popolo non ha ombra di discrezione, e litiga sempre e (1) Polibio, ih. (*) Livius. iv. (3) Lo ripeterono i soldati di Roma pochi anni dipoi. Livius, VII. (4) Livius, tbid . [p. 199 modifica] 2 3 4 LXXl-CAPUA 199 litiga per tutto, e crede che un giudice sia un verna* 1 ), il quale debba star sempre al suo servizio!... Ah!... Andiamo... — Io l’accompagnai. Per istrada si soffermò piú di quaranta volte: ora guardando un cavallo; ora dicendo male di un tale che andava in cocchio, mentre non era se non un semplice fittaiuolo che coi suoi risparmi avea accumulate molte ricchezze; ora lodando la bellezza di un cane... Finalmente siede nel tribunale. Chiama i testimoni. Ne ascolta un solo, né permette che dia fine al suo discorso. Gli sopravviene un bisogno... va, e ritornando dice alle parti litiganti: — Ho giá inteso abbastanza; dimani pronunzierò la sentenza. — A me poi : — Andiamocene a casa. Perché perdiamo il tempo con questi ciarloni? Ho una gran sete di vino col miele. A cena avremo tordi grassissimi, eccellente pesce: triglie, sopratutto, triglie divine!... Andiamocene (*). — La cittá abbonda di arti, di lusso. In nessuna altra vi sono tanti fabbricatori di unguenti e profumi, i quali godono grandissima riputazione^). Si fabbricano vasi eccellenti, molto superiori a quelli di Samo; pregevoli egualmente e per le forme, e per le figure che vi sono dipinte, e per la stessa materia, che si suole comporre riunendo varie nature di creta, e si tiene, sia per conservarla, sia per macerarla, in vaste grotte destinate a tal uso to). Gran pompa di oro e di argento: sono ricche di oro e di argento finanche le armi, le quali son divenute ormai piuttosto materia di preda che istrumenti di vittoria. E questo costume incomincia ad estendersi anche tra li sanniti pentri: (1) Servo nato in casa. (2) Un discorso simile a questo trovasi in Mácrobio, Saturnali, ili. È messo in bocca di un romano. I vizi si rassomigliano. (3) Plinio, Naturalis bistorta . (4) 1 vasi capuani cran celebri nell’antichitá. È noto che i romani del tempo di Cesare li tenevano in grandissimo pregio. Quando Cesare fondò la seconda Capua, si ricercavano con molta premura tra le rovine dell’antica. Or i vasi della antichissima Capua non potevano esser opera delle arti greche. Che gli antichi mescolassero, a formar i vasi loro, probabilmente i piú fini, diverse terre, è noto a tutti. Esistono anche oggi in Capri delle grotte destinate a conservarle. K vi è ancora molta creta conservata. Dicesi che siasi trovata inutile ad ogni lavoro. Non so né chi né come ne abbia fatto respcrimcnto. [p. 200 modifica] anche tra quelli i figli di un larte voglion distinguersi da’ loro compagni per oro e per argento inopportuno (*). Gli spettacoli sono o la commedia atellana o i combattimenti de’ gladiatori: goffi o feroci. I campani chiamano i gladiatori «sanniti»(*); ed in questo vi è piú odio che veritá. I sanniti non hanno tra loro tali orrori; ma i campani li amano fino alla follia. Sai tu, o Mnesilla, eh’è mai un gladiatore? È un uomo il quale per prezzo fa professione di uccidere e di esser ucciso, e tutto ciò per dar piacere all’uomo che lo paga. Mi volean condurre a vedere simile spettacolo... No, non ne vedrò mai... mai... Le nostre passioni sono sante: non reggo all’aspetto del vile che vende, del piú vile che compra l’amore e Podio... Intendo che in origine quest’uso de’ gladiatori sará stata una non inutile scuola di guerra; vuoi piú? la credo scuola piú utile de’ nostri atletici giuochi. Ma chi ha cangiata una nobile scuola in ispettacolo di disgustevolissimo orrore? chi ai due valorosi, ch’esercitavano il loro braccio per adoprarlo contro i nemici della patria, ha potuto far obbliare che quel braccio non era il loro? qual destino ha potuto mai ridurli alla viltá di venderlo ad un altro? Essi non combattono piú per esercitarsi, per istruirsi ; si obbligano a combattere fino alla morte; e la morte dipende da un cenno degli spettatori... E voi, stolti! i quali avete mal comprata quella vita, che risponderete alla patria quando ve la richiederá? Narrasi che in secoli piú feroci gli animi piú irritabili de’ nostri antichi eroi tingevano spesso di sangue e di morte il campo della loro istruzione, ed era almeno il morire glorioso, poiché si donava la vita alla propria gloria. Ma qual gloria può rimanere al vile che vende la vita?... Io spero, Mnesilla, e non m’inganni questa mia speranza; io spero che tanto orrore non si vedrá mai in Grecia (3>. Per buona sorte, non possiamo esser mai tanto corrotti quanto lo sono i campani. Abitatori di un suolo meno fertile, non potremo acquistar le nostre ricchezze (1) Livius, ix. (2) In km, ibid . (3) Difatii, quando i giuochi gladiatòri si vollero introdurre in Grecia dopo la guerra macedonica, noti piacquero. Vedilo in Livio. Ma la ragione, che nc da Clcobolo, mi par piú filosofica di quella di Livio. [p. 201 modifica] senza molto lavoro; prima di ricevere i doni della fortuna, dovremo rendercene degni; e non potremo per fortuna precoce riunire i due estremi : i vizi della miseria e della barbarie e quelli della opulenza e della corruzione. Scusami se ti lodo soverchio la patria mia: noi saremo sempre non piú ricchi, non piú forti, vuoi piú? non piú colti; ma saremo sempre piú gentili. È necessario aver l’animo oppresso dal peso del corpo per trovar diletto nella goffaggine e nella ferocia; due cose che sembrano in apparenza diverse, ma che dipendono dalla medesima cagione: l’insensibilitá di un animo incallito, il quale non è mosso piú se non dagli estremi tanto nelle idee quanto nelle sensazioni, e, siccome non può elevarsi fino aH’estremo del bello, corre all’estremo opposto. Un uomo ricco, che non si occupa di nulla, dopo aver piena la pancia di cibi e di vino, si diletta dei buffoni, e ride se qualche suo servo cade e si rompe la testa o si disloca un braccio. Cosí son fatti anche i popoli. Ma io non ti ho ancora parlato...; e tu per certo avrai riso del mio silenzio, che non avrai creduto innocente. Ora te ne parlerò, e forse riderai de’ miei detti, che non crederai sinceri. Voi donne prendete egualmente in mala parte ed il silenzio, e la lode, ed il biasimo che si dá alle altre donne; perché all’amore il primo non basta, si offende della seconda, e spesso sospetta del terzo. Ma tu, Mnesilla, sei una donna simile a tutte le altre? Sei tu solamente amata? Non ti negherò che qui in pochi giorni ho conosciuto molte donne. Le donne forman da per tutto la metá della specie, ma in una cittá qual è Capua occupano quattro quinti della vita umana. Ne ho conosciute moltissime, ed ai detti ed all’opre sembrano tutte della stessa etá. — Che bel giovine è mai questo nostro Cleobolo! Quanti anni avete? Fate all’amore? Quante infedeltá avete commesse alla vostra bella? Vi tratterrete in Capua? La tale vi par forse bella o brutta? Chi vi acconcia i capelli? Vi piacciono queste gioie? Non sono della piú squisita eleganza? E il colore di questa veste? — Queste dieci o dodici interrogazioni, ed altre venti o trenta simili a queste, alle quali il piu delle volte o non aspettan [p. 202 modifica] risposta, o non si deve dar risposta, formano il soggetto de’ discorsi di tutte. E se taluno per sua disgrazia si annoia, si dice eli’è o un fanciullo o un pedante il quale non sa piacere alle donne; e siccome il piacere alle donne forma quattro quinti dell’occupazione della vita, si dice che quell’uomo non sa vivere. In una cittá come Capua il saper vivere non ha che due sole parti: o piacere alle donne o ingannar gli uomini. Una di queste donne, nel primo giorno che fui in sua casa, mi parlò per due ore delle sue vesti, della sua toletta, delle sue gioie. Eran ritornati dagli esercizi letterari i figliuoli, e mi si dice che sien giovinetti di ottima indole e di liete speranze. Li vidi piú volte passare e ripassare per la stanza nella quale noi sedevamo chiacchierando di cose tanto importanti quanto erano le vesti, la toletta, le gioie. La madre non me ne fece motto. L’amico, che mi avea condotto in casa, propose di presentarmeli; e ciò non senza molta lode de’fanciulli. — È vero — disse la madre: — i loro maestri mi dicono che si conducon bene. Ma che importa a noi? Non mi pare civiltá seccare questo gentilissimo ospite colle ciarle di due bambocci. — Io avea creduto fino a quel punto che le prime gioie di una madre dovessero essere i propri figli <0. In Capua mi sono avveduto che io non sapeva vivere. No, no, quando anche l’amore non avesse giá decisa la sorte della mia vita e del mio cuore, in Capua io non saprei né vivere né amare. Dopo questa lettera, Cleobolo trovasi da Capua passato tra’ lucani come per salto. Vi è nel testo una lacuna? o, nello scorrer le regioni intermedie, non ha trovato nulla degno di esser osservato e registrato? In veritá, al tempo del viaggio di Cleobolo, quelle regioni non erano le piú importanti dell’ Italia. Cuma era giá caduta; Pozzuoli appena sorgeva, né Pozzuoli si è mai elevato a gran fortuna; Napoli e Palepoli non valevano in quell’epoca quanto Taranto e Capua; i picentini, che separavano la Campania dai lucani, erano un picciolo popolo, che soffriva la sorte di tutti gli altri piccioli popoli d’Italia... (i) Questo istesso disse ad una dama capuana la gran Cornelia, madre de* Gracchi.