Pensieri e giudizi/IV/XII

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XII.

20 settembre 1907.

Fatti, non parole ci vogliono. Non gara di frementi discorsi, ma coraggio di mettere il ferro dov’è la cancrena. Non si tratta di dar la caccia ai preti, ma di fare entrare i preti nel diritto comune.

All’ambigua circolare ai prefetti si dia senso chiaro e preciso. «Invigilare» è parola vaga: si può vigilare e starsene con le mani alla cintola. Inchieste e ispezioni hanno a essere, affidate a cittadini liberi d’impegni di partito, con la sola passione della verità e della giustizia.

A ordinare codeste ispezioni le autorità municipali hanno diritto e dovere; e le autorità così dette tutorie mi pare non si possono e non si debbono opporre. È questione d’igiene e, direi anche, di pubblica nettezza: i focolai d’infezione si chiudano; si affidino i contravventori alla legge.

Il popolo vuole che i suoi rappresentanti facciano ogni lor potere per costringere il governo a rimettere in vigore la legge su le corporazioni religiose.

Il popolo vuole asili, educatori, ricreatori laici per i suoi figli.

Il popolo vuole che si faccia finita con la frode legale e con la distinzione volpina delle case religiose di istituzione privata. Non si vada in busca di scandali, ma si accerti, si smascheri la corruzione.

[p. 89 modifica]Il popolo vuole che gli Istituti municipali di carità siano tolti all’amministrazione, alla tutela, alla custodia del clero, che ha generalmente la carità di Don Tubero che masticava lo zucchero ai malati.

E se le autorità fanno orecchie di mercante, parli il popolo e si faccia ascoltare civilmente, non con le violenze e i vandalismi che non fanno altro che screditare la causa della civiltà.