Pensieri e giudizi/II/XX
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XX.
8 febbraio 1910.
L’ingegno straordinario e la virtù serena dell’animo avevano dato ad Angelo Maiorana1 il diritto alle ascensioni sublimi; la morte gli tarpò le ali poderose quando aveva già attinte le cime vertiginose del potere e conosciuta, forse, la vanità degli onori che può dare la vita.
Il cuore dei congiunti, degli ammiratori, degli amici n’è rimasto profondamente colpito; la mente del filosofo trova qualche opportuno conforto, non solo nella certezza che la morte liberò il valentuomo dai tormenti di una insanabile infermità e dalla pena d’assistere con piena coscienza al proprio disfacimento, ma anche nel pensiero che la compassione destata sempre dalla fine immatura di un uomo di genio ne rende generalmente cara e venerata la ricordanza, compensandolo, con una lunga sopravvivenza nel cielo della storia, dei pochi anni perduti nella vita mortale e del paradiso illusorio creato da una orgogliosa speranza e pomposamente trafficato dalla tonsurata impostura.
Note
- ↑ Professore nell’Università di Catania e ministro del Tesoro, morì a quarantacinque anni.