Pensieri e discorsi/La messa d'oro/XI
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XI.
Non è felice la nostra Patria, o padre! Ella è ristretta e povera per i suoi figli; e cercò, al pari delle altre nazioni, ma troppo tardi, altre terre per crearvi Italie nuove. E trovò il deserto e trovò Dogali e Abba Garima. Trovò la disfatta dove aveva sognato l’impero, trovò la strage dei suoi giovani eroi dove aveva disegnato le capanne dei suoi industri coloni. E noi malediciamo e bestemmiamo questo e quello, caricandolo di tutti i peccati, senza riuscir più a formarci l’idea, e vedere il fantasma della santa Italia nostra che credeva di far bene a far quello che fece per i suoi figli, e li seppe macellati in un mucchio, tanto lontano da lei! E i figli emigrano a centinaia di migliaia ogni anno, a fiumane di vite; e queste fiumane vanno a perdere il nome, il nome d’Italia, nel mare di nazionalità diverse. Ogni anno le altre nazioni crescono, ogni anno diminuisce la nostra: tanti sono quelli che partono per non ritornar più: per non ritornar più dove non è pane per loro, e non fu scuola che suggellasse a loro l’italianità dell’anima... Non parlare, anzi, o buon vescovo, di nemici della patria... Queste parole, tra tante tue così dolci e così pie, mi ferirono. Si tratta, o buon vescovo, d’una famiglia in cui le cose non vanno bene. Ci sono state sventure, ci sono disastri, non abbonda il cibo, non sempre c’è il lume. Ebbene, scoppiano dissensi e risse per un nonnulla. Ognuno ha dolore acuto nel cuore; e lo getta contro chi ha più vicino; e più vicino ha il fratello, e più vicina ha la madre. Che nemici? Vadano un po’ meglio le cose: si sorrideranno. Vadano un po’ peggio: si abbracceranno.