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Insurrezione e Costituente Le due Costituenti

L'insurrezione ora è un fatto1


Italiani! La misura è colma, l’ora è suonata, su, in nome di Dio e del popolo! è il grido di Mazzini. La guerra sta per diventar generale; su vari punti della terra lombarda, generosa terra e tanto vilipesa, è già cominciata. Non è piú la guerra di quei che capitolano, non è la guerra di quei che nella vittoria per l’indipendenza non veggono che l’acquisto di un territorio, di quei che a metà cammino tradiscono, è la guerra santa del popolo, è la guerra che si combatte per l’acquisto della nazionalità e libertà nostre conculcate, è la guerra che sola può rigenerare l’Italia.

Italiani! Chi non si sente fremere il cuore in petto al grido di Mazzini, chi non s’alza risoluto, pronto a porvi la vita, chi non anela all’ora del combattimento, quegli è indegno di libertà, è indegno d’avere una patria. Ah no! Gli italiani non dieno il triste esempio, lo spettacolo allo straniero di venir meno nell’ora suprema del pericolo.

L’opera del tradimento sta per essere distrutta dal coraggio dei prodi lombardi. L’Italia invano ha tentato risorgere con a capo il principio della monarchia. Italia voglia sorgere davvero, il popolo si muova, il popolo otterrà quello che l’armata regolare, l’invincibile armata regolare, non poteva, né capi volevano ottenere.

Ma se è il destino che l’Italia abbia a risorgere per mano del popolo, se la nostra vittoria ha da esser pura come la nostra bandiera, se l’intervento di chi si debbe chiamare estraneo alla causa italiana, benché sia in Italia, non ha luogo, la rigenerazione diventa compiuta, gli eterni ostacoli all’unità cadono infranti.

E per ciò v’è speranza. Molti sono in nostra mano gli elementi di vittoria. L’emigrazione già a quest’ora è discesa, ivi immenso è il desiderio di vendetta, Toscana non è piú oppressa dal giogo d’un Morfeo, Toscana è in mano del popolo, e ivi è Garibaldi, che non volle qui rimanere inoperoso o farsi strumento di tirannia. Oh! La Lombardia si levi tutta quanta, raccolta nel giuramento di vincere o di morire come un sol uomo, e la vittoria non sarà dubbia.

La patria nostra ha molto sofferto, fu a mal punto, e noi quasi per un istante abbiamo disperato; ma il momento della speranza è venuto, e noi lo salutiamo con gioia. Ogni speranza sta in noi, in noi soli: nessuna in un governo che dopo un intervento, come ei diceva, disinteressato, non vide che la fusione, che firmò un infame armistizio, lasciò passare il tempo inoperoso, ascolta indifferente i gemiti delle vittime scannate in Lombardia per avergli creduto, nega un pane ai fatti esuli per lui, conosce le vittorie ungaresi, lo sfasciamento dell’impero austriaco, vede il momento propizio e non si muove, anzi volge tutti i suoi sforzi, usa di tutte le sue arti a farci torcere lo sguardo dalla causa lombarda, a dividerci, a far che si sparga il sangue cittadino. No, niuna speranza in lui.

Ma che ci deve importare di lui? Noi guardiamo la cosa un po’ piú d’alto. Che sono questi bassi raggiri? Potranno essi arrestarci dal volgere lo sguardo là ove veramente si devono decidere le sorti nostre? Potrà la causa della nostra indipendenza andar perduta? No, questa non è piú affidata alle armi regie, questa ora è in mano del popolo.

Italiani! Un’insurrezione lombarda era un desiderio, una speranza: ora è un fatto; un fatto che bisogna aiutare con tutte le nostre forze, un fatto in cui tutto quanto è riposto, un fatto del quale se non profittiamo siamo disonorati, perduti.

Italiani! in Lombardia.


Note

  1. Il Diario del Popolo, 31 ottobre 1848. Scritto sotto la pressione di certe notizie che davan per certo l'ingresso di Garibaldi in Lombardia e l’insurrezione generale.