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— Dammeli dunque, babbeo!.

Ma, mentre ella prendeva il mazzo, egli le balzò sulle mani e si diè a baciarle coll’ingordigia dei suoi diciassette anni.

Essa dovette picchiarlo per farlo smettere. Non ischerzava quel marmocchio! Però, pur gridandolo, Nana sorrideva tutta rossa, e, nel rimandarlo, gli permise di tornare.

Lui barcollava, non trovava più la porta.

Nana tornò nel suo spogliatoio, ove, quasi subito, si presentò Francesco per pettinarla definitivamente. Essa non si vestiva che la sera.

Seduta allo specchio, il capo chino sotto le agili mani del parrucchiere, essa rimaneva muta e pensosa, quandò Zoè entrò dicendo:

— Signora, ce n’è uno che non vuol andarsene.

— Ebbene! lo si lascia, rispose lei tranquillamente.

— E poi, ne vengon sempre degli altri.

— Be’! di’ che aspettino; quando avranno ben fame se n’andranno.

Aveva cambiato d’umore; era felice di tener a bada gli uomini. Un’idea la saltò assai divertente.

Sfuggì alle mani di Francesco e andò a spingere i catenacci; ormai potevano ammucchiarsi lì accanto, che non riuscirebbero a forar il muro, per caso. Zoè passerebbe dalla porticina della cucina.

Tuttavia il campanello elettrico suonava i sempre; ogni cinque minuti le vibrazioni echeggiavano chiare a rapide, con la sua regolarità di macchina ben montata, e Nana le contava per spasso.

Ma ebbe un repentino ricordo:

— E le mie mandorle toste.

Francesco le scordava anche lui. Trasse di tasca un sacchettino, col gesto cortese d’un signore che offre un regalo ad un’amica: il che non gl’impediva di metter in conto le mandorle ogni qualvolta presentava la sua nota. Nana prese il sacchetto in grembo e cominciò a far scricchiolare le mandole sotto i denti, voltando la testa alle leggiere spinte del parrucchiere.