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— Oh! non l’andrà per le lunghe, mormorò.
In dieci minuti Zoè l’aiutò ad indossare un vestito ed a metter un cappello. Non le importava gran fatto d’esser mal conciata. Mentre stava per scendere, il campanello echeggiò di nuovo. Questa volta era il carbonaio. — Beh! starebbe a far compagnia al vetturale, così se la spasserebbero meglio quei due. Se non che Nana, temendo una scenata, attraversò la cucina e se la svignò per la scaletta di servizio — era abituata a passarvi; non c’era altra briga che quella di rialzare lo strascico.
Quando una donna è buona madre, bisogna perdonarle tutto, sentenziò la Maloir rimasta sola con madama Lerat.
_— Ottanta di re, rispose questa assorta nel giuoco.
- E entrambe s’ingolfarono in una partità interminabile.
La tavola non era stata sparecchiata. Un torbido vapore riempiva la camera, l’odore delle vivande e il fumo delle zigarette di Nana.
Le due vecchie tornarono da capo ad immergere pezzetti di zuccaro nel cognac.
— Giuocavano e succhiavano da una ventina di minuti, quando ad una terza scampanellata, Zoè entrò di botto spingendole a urtoni come fossero state pari sue.
— Orsù! disse. Suonano daccapo. Se vien molta gente mi occorre tutto l’appartamento.... Andiamo, via presto! via! La Maloir voleva finir la partita; ma Zoè, avendo fatto l’atto di confonder ed afferrar le carte, si decise a pigliarle su con cura, senza frammischiarle, mentre madama Lerat portavasi dietro il cognac, lo zuccaro ed i bicchieri. E tutte due si rifugiarono in cucina, dove presero posto ad un angolo della tavola, fra i cenci stesi ad asciugare e la ciottola tuttavia piena della lavatura dei piatti.
— Abbiamo detto 840. A voi.
— Giuoco cuori.
Quando Zoè tornò, le trovò di nuovo assorte nel gioco. In capo ad un momento, mentre la Lerat mescolava de carte, la Maloir chiese:
— Chi era?
— Oh! nessuno, rispose la fantesca con noncuranza, un