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con quel moto fiessuoso da serpe con cui soleva uscire da una camera, quando un signore vi entrava. Avrebbe però potuto rimanere. La Tricon non sedette neppure. Non vi fa che uno scambio di parole rapide.

— C’è qualcuno per voi, oggi; lo volete?

— Sì..., quanto?

— Venti luigi.

— À che ora?

— Alle tre.... Allora, è cosa intesa?

— Cosa intesa.

La Tricon parlò subito del tempo che si metteva all’asciutto e che invitava a passeggiare. Aveva ancora quattro o cinque visite da fare. E se ne andò dopo aver consultato un libriccino di note.

Rimasta sola, Nana parve sollevata. Un lieve fremito le scorreva sulle spalle, si ricacciò nel letto caldo con una pigrizia da gattina freddolosa.

A poco a poco le palpebre si chiusero; sorrideva all’idea di mettere il suo Gigino in fronzoli il domani: mentre, nel sonno che la riprendeva, il suo sogno febbrile di tutta la notte, un rombo prolungato d’applausi, formava come un accompagnamento e cullava la sua stanchezza..

Alle undici, allorquando Zoè fe’ entrar in camera madama. Lerat, Nana dormiva ancora. Ma al rumore si destò, e subito:

— Sei tu? andrai oggi a Rambouillet.

— Vengo per ciò, disse la zia. C’è una corsa a mezzodì e venti. Sono in tempo.

— No, il denaro non lo avrò che dopo mezzogiorno, riprese la giovane stirandosi col petto rigonfio. Farai colazione con me, poi vedremo.

Zoè portava un accapatoio.

— Signora, mormorò, c’è il parrucchiere.

Ma Nana non volle passare nello spogliatoio. Gridò lei stessa:

— Entrate, Francesco.

Un signore attilato spinse l’uscio, salutò. Appunto allora Nana metteva fuori le gambe nude dal letto. Non si diè premura, stese le mani perchè Zoè le infilasse l’accapatoio. E